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Lunedì 12 MARZO 2012
Rivoluzione medica. Passare dalle parole ai fatti

L’associazionismo medico, una responsabilità progettuale se la deve prendere. Deve dire che razza di medico e di medicina ha in testa, incoraggiando apertamente le proposte già disponibili, almeno quelle condivisibili, e che da anni aspettano solo di essere usate

Sono colpito da due cose che QS ci ha segnalato: l’incontro tra medici convenzionati e medici ospedalieri (8 marzo) e l’intervista di Eva Antoniotti ad Amedeo Bianco (9 marzo).
 
Nel primo si è rivendicato “la centralità professionale” del medico, ci si è dichiarati disponibili a superare le storiche divisioni tra territorio e ospedale, tra convenzione e dipendenza,quasi a dirci che unità e centralità della professione sono sinonimi; il secondo, neanche a farlo apposta, per dirci che, se davvero si vuole “essere centrali” è necessario ripensare medico e medicina e persino l’azienda e l’università ed altre cose. Riunificarsi va bene ma mettendosi in discussione. Una doppia sfida: una che riguarda la medicina quale paradigma e una che riguarda il medico quale prodotto del paradigma in questa società e in questa sanità.
 
La “questione medica”, come io la chiamo da anni, e rispetto alla quale la politica ha sempre balbettato offrendo il contentino del governo clinico, è un grumo di complessità che nasce da tanti limiti che non voglio ripetere. Sono limiti vecchi, che non sono originati dalla crisi, e che ci dicono che uno dei problemi più grandi dei medici, i veri nemici dei medici, sono i loro ritardi storici, cioè i loro debiti con il cambiamento. Sono anni che si dice che “oggi” i conti con il cambiamento e con l’inadeguatezza delle strategie, i medici devono farli sul serio. Ma questi “oggi” sono stati continuamente rimandati, con il risultato che a problemi si aggiungono altri problemi. Come quello inquietante del mercato del lavoro. Le previsioni sulla uscita dei medici dal sistema pubblico per pensionamento, la carenza di medici specialisti, la cronicizzazione del precariato medico, il crescente impoverimento degli organigrammi causato dal blocco del turn over, la crescita dei medici disoccupati e sottoccupati, gli squilibri e i conflitti crescenti tra professioni, stanno creando tali e tante contraddizioni da rendere sempre meno plausibili le soluzioni del passato, come ad esempio il numero chiuso nelle università, o le grandi differenze tra contratti convenzionati e dipendenti, o il controllo del numero delle convenzioni attraverso i massimali, o le soluzioni contrattuali dell’ultima generazione.
 
Recentemente è stata avanzata una proposta, che nessuno ha ripreso, sulla liberalizzazione delle convenzioni di medicina generale, in analogia con i farmacisti e altre professioni, che, nonostante la sua innegabile problematicità, nel contesto dato… attenzione.. lo dico al saggio Giacomo Milillo, non è così implausibile e improbabile. Guardate che di questi tempi è difficile vivere di rendita, lo sanno bene i farmacisti, i tassisti, i pensionati, e persino i soliti evasori fiscali. Se le contraddizioni del mercato del lavoro non saranno governate per tempo con un po di lungimiranza, saranno guai per tutti. Per questo sono rimasto colpito dall’incontro tra medici convenzionati e medici dipendenti, e in particolare da una frase del presidente della Cimo:”il medico non è un dirigente ma è una figura professionale specifica”. Se capisco bene, sotto sotto, si tratta di una critica alla legge 229, che 13 anni fa, aveva offerto ai medici delle soluzioni, che alla prova del tempo, si sono rivelate più problematiche di quello che si pensava: l’intra-moenia, la dirigenza generalizzata, l’abolizione dei primari, la frantumazione dell’organizzazione del lavoro in unità semplici e complesse per dare un contentino a tutti, ecc. Andare oltre il medico dirigente per definire una professione specifica, cioè altra da altre professioni, se capisco bene, vuol dire fare i conti con la legge che pensava di razionalizzare il sistema senza cambiarlo. Razionalizzare è cosa buona ma più che mai oggi insufficente.
 
Ma cosa ne pensa l’Anaao, a suo tempo grande ispiratrice della 229? Personalmente ho sempre sostenuto che questa legge, non priva di meriti, non ci avrebbe aiutato a pagare i debiti accomulati nel tempo nei confronti del cambiamento. Essa con la razionalizzazione ha favorito l’economicismo e il compatibilismo, aggirando, ma con il consenso dei medici, il cambiamento, che avremmo dovuto produrre e che non abbiamo prodotto e di cui oggi parla Amedeo Bianco. Perchè 13 anni fa non abbiamo ripensato l’azienda? Eppure sapevamo tutti che già allora non funzionava. Come sapevamo già allora che la formazione di base dei medici andava ripensata, come pure i rapporti tra medicina convenzionata e medicina ospedaliera. Perchè ci siamo accontentati di “monetizzare” la questione medica con la libera professione e la dirigenza generalizzata, pur sapendo che saremmo andati incontro a pesanti disconferme? Potrei continuare di questo passo… ma lasciamo perdere. Allora quale pensiero forte? Cioè quale cambiamento? Quale pensiero riformatore? La questione, dice il mio amico Amedeo, al quale auguro affettuosamente ogni bene in tutti i sensi, non può essere “un affare medico interno”, bisogna coinvolgere il mondo delle idee. Bene anzi benissimo ma ora che abbiamo capito diamoci una mossa perché in questi anni tante belle iniziative sono apparse effimere come la vita delle farfalle. Penso ad esempio a quella straordinaria intuizione di Fiuggi finita nel nulla. La Fnomceo e in genere l’associazionismo medico, una responsabilità progettuale se la deve prendere, cioè deve dire che razza di medico e di medicina essa ha in testa, incoraggiando apertamente le proposte già disponibili, almeno quelle condivisibili, e che da anni aspettano solo di essere usate.
 
Ivan Cavicchi
 

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