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Giovedì 21 NOVEMBRE 2019
Lancet: in Italia la speranza di vita è tra le più alte del mondo. Merito del Ssn e del nostro stile di vita
L’aspettativa di vita in Italia è alta e in aumento dal 1990, ed è tra le più alte al mondo. Uno studio pubblicato su The Lancet analizza l’evoluzione della situazione sanitaria del Paese dal 1990 al 2017. Il merito? Per i ricercatori del Servizio Sanitario Nazionale (che esiste dal 1978) e di uno stile di vita sano che permettono una condizione di salute generalmente buona della popolazione, anche rispetto ad altri Paesi europei
L’Italia è un Paese in salute. La speranza di vita della popolazione è tra le più alte del mondo e i principali indicatori sanitari risultano tra i migliori in Europa. L’invecchiamento della popolazione e un basso tasso di fecondità però impongono nuove sfide, tra cui un aumento delle persone affette da Alzheimer e demenza. È quanto emerge da uno studio pubblicato su The Lancet, che si basa sull’analisi delle stime derivate dal Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study(GBD).
La ricerca ha preso in considerazione i dati dal 1990 al 2017 su prevalenza, cause di morte, anni di vita persi, anni vissuti con disabilità, attesa di vita corretta per disabilità, aspettativa di vita alla nascita e a 65 anni, aspettativa di vita sana e Healthcare Access and Quality index(indice HAQ). Gli autori hanno anche confrontato le stime per l'Italia con quelle di altri 15 paesi dell'Europa occidentale.
Dallo studio è emerso che il Servizio Sanitario Nazionale (che esiste dal 1978) e uno stile di vita sano, permettono una condizione di salute generalmente buona della popolazione, anche rispetto ad altri Paesi europei.
Nel 2017, l'aspettativa di vita alla nascita ha raggiunto 85,3 anni per le femmine e 80,8 per i maschi, classificando l'Italia ottava a livello mondiale per le femmine e sesta per i maschi.
Tra il 1990 e il 2017 i tassi di mortalità a causa di malattie cardiovascolari sono diminuiti del 53,7%, per le neoplasie del 28,2 % e del 62,1% per gli infortuni durante il trasporto. Inoltre, “la riduzione della mortalità infantile e sotto i 5 anni molto bassa” è un ulteriore indicatore “dell'efficienza del sistema sanitario”, hanno commentato gli autori dello studio.
Tuttavia la combinazione di bassa fertilità e alta aspettativa di vita ha portato a un rapido cambiamento nella struttura della popolazione, con l'età media della popolazione che è passata da 39 anni nel 1990 a 45 anni nel 2017. Le conseguenze di questa tendenza sono evidenti: l'invecchiamento della popolazione sta causando un aumento del carico di malattie specifiche, come il morbo di Alzheimer e altre forme di demenza.
L’attesa di vita corretta per disabilità (in inglese: Disability-adjusted life yearo DALY) è una misura della gravità globale di una malattia. Il carico di DALY in Italia attribuibile ai fattori di rischio dipendenti dallo stile di vita come il consumo di alcol, il fumo, un livello elevato di colesterolo LDLè diminuito in modo significativo. Non sono variati invece i DALY attribuibili all'alto indice di massa corporea e all'elevata concentrazione di glucosio nel plasma a digiuno dal 1990.
I ricercatori sottolineano che “il fumo, l'elevata concentrazione di glucosio nel plasma a digiuno, l'ipertensione, i rischi alimentari, l'alto indice di massa corporea e l'uso di alcol sono ancora i principali fattori di rischio del carico di malattia in Italia”. E precisano che abbiamo un margine per investire maggiormente nella prevenzione, considerando che nel 2015, il sistema sanitario ha speso 87 euro pro capite in misure preventive, contro i 111 in Germania e i 155 nel Regno Unito.
Una prevenzione importante, perché come osservano Anna Odone e Natasha Azzopardi-Muscat in un editoriale che accompagna lo studio: “Sebbene questo articolo riferisca risultati incoraggianti sulla riduzione delle tendenze nel fumo e nel consumo di alcol e nonostante abbia una lunga tradizione della dieta mediterranea, l'Italia ha il secondo tasso più alto di obesità infantile in Europa, che probabilmente influenzerà negativamente la loro salute in futuro”.
In questa analisi non sono state considerate le differenze tra le regioni, sebbene esistano disparità rilevanti in termini di esiti sanitari, prestazioni del sistema e PIL tra nord e sud.
“Nel Servizio sanitario nazionale italiano, le singole regioni sono responsabili della pianificazione e della consegna dei servizi sanitari e esistono ampie disparità nelle prestazioni tra i servizi sanitari regionali. Queste differenze si riflettono sia negli indicatori sanitari a livello regionale che nei risultati clinici”, hanno commentato le autrici. Il prossimo passo, concludono i ricercatori, sarà proprio l’analisi dei dati a livello subnazionale.
Camilla de Fazio
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