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Mercoledì 18 DICEMBRE 2019
La competenza professionale non indica quello che si “può” fare ma la “capacità” a farlo

Il riconoscimento normativo dell’avanzamento delle competenze delle professioni sanitarie è iniziato con la legge 42, che permette di identificare le competenze come capacità (e non come pertinenze) e afferma che sono da far salve e da rispettare reciprocamente quelle che corrispondono alle capacità progressivamente acquisite dai professionisti sanitari con la garanzia della formazione post-base

L’ultima frase del comma 2 dell’articolo 1 della legge 42 del 1999 ha un contenuto che, espressamente citato o genericamente considerato, ispira la riflessione di una parte di quanti contribuiscono al dibattito in corso su QS in materia di competenze avanzate dei professionisti sanitari. L’importanza di una riflessione sulla interpretazione di quest’ultima frase (da “fatte salve” in poi) del comma 2, visto il ruolo che la norma assume nel dibattito sulle competenze avanzate, sta nel fatto che essa è focalizzata sul concetto di competenza.
 
Quando viene preso in considerazione, questo riferimento normativo va preso in considerazione nella sua interezza, posto che esso è di interpretazione non univoca e non possono essere selezionati arbitrariamente alcuni suoi passi senza tener conto del testo nella sua interezza.
 
Ecco la seconda parte del comma 2; l’ultima frase è evidenziata in corsivo. “… Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.”
 
Stupisce in particolare che Ivan Cavicchi, nel suo intervento del 9 dicembre scorso, enuclei da un testo così articolato questi due punti isolati: “fatte salve le competenze previste per le altre professioni” e “il rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”.
 
La selezione di questi due passaggi è operazione sommaria e, proprio in quanto sommaria, non favorisce la riflessione su una norma di lettura complessa, che è fondamentale per quanto riguarda il dibattito sulle competenze avanzate e che, nello specifico, non costituisce di per sé valida dimostrazione della tesi che l’Autore intende dimostrare, vale a dire che “con la delibera del Veneto, cadono di fatto due condizioni definitorie storiche, quelle usate per prima nella legge 42 …”. Ciò proprio perché la parte omessa del testo è da interpretare come non idonea a supportare inequivocabilmente tale tesi.
 
La tesi contrastante che può essere sostenuta, e che sostengo,  è che la delibera della giunta regionale del Veneto del 29 ottobre 2019 si inserisce nel solco inizialmente tracciato dal comma 2 – specie dalla sua seconda parte –  dell’articolo 1 della legge 42 del 1999. Enfatizzo questa tesi con la osservazione ulteriore che le competenze avanzate erano contenute in nuce nel comma 2 che si considera.
 
Merita dunque attenta analisi la frase finale (da “fatte salve” in poi) del comma 2, perché il sostantivo “competenze” si presta a due interpretazioni discordanti ed il dilemma va risolto razionalmente se non si vuol banalmente considerare la frase come sibillina.
Il fatto fondamentale è che il significato del disposto normativo cambia in funzione dell’interpretazione scelta.
 
Da un lato, per competenza si può, infatti, intendere “ciò che compete”, “ciò che è di pertinenza”; ma anche, in senso difforme, “ciò di cui si è competenti”, “ciò che si ha capacità di fare”. In sintesi, competenza potrebbe essere sinonimo, alternativamente, di “pertinenza” oppure di “capacità”.
 
Le interpretazioni prevalenti della frase intendono competenza come sinonimo di pertinenza; tuttavia, seguendo questa interpretazione, non avrebbe senso la locuzione “competenze previste per le professioni mediche”. Infatti, all’attributo “previste” va dato necessariamente il significato di “previste dalla legge” e non esistono norme di legge che prevedano organicamente le funzioni di pertinenza del medico.
 
Vi sono solo disposti che disciplinano alcuni aspetti dell'esercizio di quest'ultima professione; si tratta, per esempio, delle norme in materia di prescrizione di farmaci, di accertamento della morte, di trapianti di organo, di trasfusione di sangue, di interruzione di gravidanza, di procreazione assistita, di trattamenti sanitari obbligatori. Se poi a “previste” si vuole dare un significato generico, senza chiarire la fonte della previsione, la frase “fatte salve etc …”, seguendo l’interpretazione di competenza come pertinenza, diviene del tutto vacua.
 
Conseguentemente, la frase appare illogica, perché non possono essere fatte salve competenze che non sono previste per legge né, a maggior ragione, competenze di cui si prospetta una previsione meramente postulata senza identificare la fonte da cui essa origina.
 
Se, in alternativa, si intende competenza come conoscenza-capacità, la frase in discussione (“fatte salve etc …”) non sarebbe più assurda, come invece risulta seguendo la precedente interpretazione. Piuttosto, in questa seconda ipotesi, assumerebbe un senso ben preciso il richiamo conclusivo al “rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”; la frase rappresenterebbe quindi il riconoscimento delle capacità progressivamente acquisite in ambito professionale da chi è concretamente in grado di padroneggiare o gestire relazioni, atti, tecnologie o procedure.
 
E si tratta di capacità acquisite in forza della “formazione post-base” contemplata nel medesimo comma 2 dell’articolo 1 della legge 42.  Ciò significa – in quest'ultima prospettiva interpretativa – che il campo di esercizio professionale è, con la garanzia della formazione post-base, in continuo divenire ed in continua ridefinizione in rapporto al progressivo abbandono dei modelli tradizionali di medicina e di assistenza sanitaria in genere.
 
Una siffatta concezione dinamica delle funzioni è consona alla logica ed allo sviluppo culturale che ha portato alla valorizzazione delle professioni sanitarie, le quali, tramite competenze ulteriori, sono chiamate a garantire alcune funzioni correlate, tra l'altro, con la riorganizzazione del servizio sanitario, con l'evoluzione rapidissima delle tecnologie in ambito sanitario e con la deriva in senso ultraspecialistico della medicina.
 
Ho già detto che, in riferimento alla frase finale del comma 2 dell’articolo 1 della legge 42 del 1999, è prevalente l’interpretazione del termine “competenza” come demarcazione di pertinenze professionali sulla base delle attribuzioni predeterminate per il medico, se non dalla legge (perché non esiste una norma attinente), almeno dalla prassi.
 
Ma proprio questa è la debolezza di questa interpretazione prevalente, perché il fatto che le competenze siano determinate solo dalla prassi è contraddittorio: sono proprio le prassi ad essere soggette al cambiamento, e non può essere identificata una competenza prevista dalla mutevole prassi.
 
Mancando una previsione normativa delle competenze del medico, non c’è modo di interpretare la frase (“fatte salve etc.”) come delineante i limiti delle competenze delle professioni sanitarie rispetto alle competenze del medico e come supporto alla negazione delle competenze avanzate.
 
Il riconoscimento normativo dell’avanzamento delle competenze delle professioni sanitarie è iniziato dunque con il comma 2 dell’articolo 1 della legge 42, che permette di identificare le competenze come capacità (e non come pertinenze) e afferma che sono da far salve e da rispettare reciprocamente quelle che corrispondono alle capacità progressivamente acquisite dai professionisti sanitari con la garanzia della formazione post-base.
 
L’attenzione va posta dunque sulla formazione post-base, che il citato comma 2 contempla dover essere attuata mediante corsi disciplinati da appositi decreti ministeriali.
 
L’anomalia, rispetto alla legge 42, sono i corsi istituiti con delibere di giunta regionale in forza di un’interpretazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto sanità.
 
Null’altro per ora aggiungo, perché su quest’ultimo argomento mi propongo di tornare con una ulteriore nota scritta.
 
Prof. Daniele Rodriguez
Medico legale
Padova

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