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22 DICEMBRE 2019
La “saggezza” della Fnomceo sulle sentenze della Consulta su suicidio assistito e caso “Venturi”



Due recenti sentenze della Corte Costituzionale hanno chiarito alcuni punti in tema di deontologia e di ruolo degli Ordini; sono la sentenza 242/19, sull'aiuto al suicidio in determinate condizioni deroganti dall'art. 580 cp, e la sentenza 259/19, sui limiti dell'esercizio del potere disciplinare, nata questa dalla radiazione di un Assessore regionale medico per aver proposto alla Giunta una delibera considerata lesiva del Codice Deontologico.
 
Le sentenze sono importanti su versanti diversi. La 242/19, al di là del riconoscimento della libertà di ognuno di finire la propria vita - nei limiti del possibile - secondo le sue personali scelte e non secondo la volontà altrui, costringe i medici a riflettere sulla morte oggi. Se la morte rientra nei confini naturali della biologia quando questi siano piegati dal potere della tecnica, che talora protrae una vita senza qualità né dignità, allora aiutare a morire chi lo richiede rientra o no nei compiti di una medicina attenta più all'uomo che ai propri trionfi?
 
La Corte spinge i medici a riflettere sulla morte non solo sul piano biologico (la definizione di Harvard sembra tuttora valida) ma su quello antropologico. La scienza ha modificato il processo del nascere e quello del morire e la deontologia non può restare indifferente. Non credo necessario modificare l'art. 17 del CD bensì rivedere l'approccio medico al concetto di morte come opposizione alla vita o come fatto che biologicamente è parte della vita.
 
Anche la sentenza 249/17 chiama in causa la deontologia perché ne definisce il perimetro. Nel far questo (un'operazione ovvia ma necessaria) la Corte afferma che la disciplina deontologica si applica alle vicende professionali o che possano gettare disdoro sulla professione. L'Ordine non può invadere terreni non di sua pertinenza, quali il mandato istituzionale di un iscritto, o interferire con il libero esercizio del mandato politico di un organo collegiale quale la Giunta Regionale. 
 
Nel caso in oggetto l'accusa era di aver favorito l'esercizio abusivo della professione affidando a infermieri, come avviene ovunque, l'esecuzione di prestazioni sul 118 in base a protocolli predisposti da medici. La questione è se i medici possono normare i limiti dell'agire di professionisti non medici e se, nel caso, si debba prevedere anche l'inverso. Il SSN è un'enorme impresa dalle così tante sfaccettature funzionali, rispetto alla rigidità dei titoli di studio, che non può che preparare autonomamente le competenze necessarie in relazione all'aumento dei bisogni e dell'offerta tecnologica. Dovrebbe essere un tipico aspetto del governo clinico.
 
In quanto alla responsabilità dei professionisti impegnati in politica, quando la legge Bossi Fini impose ai medici la denuncia degli extracomunitari privi di permesso di soggiorno nessuno ubbidì. La legge fu votata anche da alcuni parlamentari medici ma nessuno prese in considerazione l'infrazione deontologica perché gli onorevoli sono sì soggetti a giudizio ma solo secondo procedure previste dalla legge.
 
La sentenza 259 stabilisce altre determinazioni assai utili: gli Ordini sono enti sussidiari dello Stato e quindi ne esercitano funzioni vicarie nei compiti loro assegnati; sono enti non frazionabili e quindi a disciplina nazionale; il loro potere disciplinare è volto a garantire il rispetto delle regole deontologiche nell'interesse del pubblico e nell'esercizio della professione di medico "tenendo conto degli obblighi degli iscritti derivanti da normative regionali e nazionali nei limiti di contratti e convenzioni".
 
L'Ordine assolve "funzioni pubbliche imputabili all'apparato statale", fondamentalmente inerenti la tenuta degli albi e la formazione nonché "il potere disciplinare finalizzato alla salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici indicati nei Codici Deontologici". E' opportuno adeguare il CD al dettato della sentenza 259/19 onde evitare equivoci rivelatori di scarsa conoscenza della Costituzione.
 
Questa doppia sfida esorta a una rinnovata riflessione su quelli che potremmo chiamare "i limiti della medicina" nella tensione sempre più evidente tra diritto all'autodeterminazione della persona e i condizionamenti che la tecnoscienza pone alla coscienza del medico e alla concreta libertà del cittadino.
 
D'altro lato gli Ordini debbono rivendicare il ruolo di vigilanza sull'esercizio della professione senza falsarne il perimetro. E' opportuno l'atteggiamento che la Fnomceo ha tenuto su entrambe le sentenze.
 
E' atteggiamento saggio di fronte a alcune voci esagitate e scomposte. Quando, come diceva un mio antico concittadino, "il presente ci offende e il futuro ci minaccia" si tende a far valere più i diritti che i doveri mentre la professione medica vive nel loro sapiente equilibrio.
 
Antonio Panti

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