quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Martedì 07 GENNAIO 2020
“Medici sotto assedio”, si poteva evitare?
Gentile Direttore,
l’articolo “Medici sotto assedio” pubblicato su La Repubblica del 5 gennaio scorso, delinea con assoluta fedeltà il clima con il quale tutto il Personale sanitario, in particolare dell’aera di emergenza, sia sul territorio che negli ospedali, vive e lavora e soprattutto subisce quotidiane violenze, più spesso verbali, ma ormai anche fisiche.
In questi giorni i cosiddetti “media” hanno alzato l’attenzione su questo grave problema, che gli operatori, i sindacati, da anni cercano di denunciare.
Ma si poteva evitare di arrivare a queste drammatiche situazioni? La violenza sui Sanitari è “figlia” di tanti genitori: il degrado delle aree di emergenza, in particolare dei Pronto Soccorso, il diffuso convincimento che ogni condizioni morbosa possa avere una cura, l’altrettanta diffuso pregiudizio nei riguardi dei sanitari, medici ed infermieri.
Il degrado è a suo volta figlio di scellerate scelte di politica sanitaria nazionale e regionale, sulle quali è inutile spendere altre parole: la sanità è un costo, non una risorsa, e bisogna risparmiare. Punto. Viviamo di promesse non mantenute, il degrado è progressivo, inesorabile, sotto gli occhi di tutti.
Riguardo all’atteggiamento degli utenti occorre invece che anche chi ha responsabilità nell’informazione, si faccia un serio, analitico, esame di coscienza. Chi ha ingenerato queste aspettative sulla salute? chi ha da anni dato troppo risalto, spessissimo senza prove e senza riscontri, ai presunti casi di “malasanità"? (già il termine in se è volgare, non mi pare siano stati, giustamente, coniati altrettanti termini come “malapolitica”, “malaeconomia”, “malagiustizia” o “malaistruzione”).
Ho avuto modo di conoscere molti giornalisti in tanti anni di lavoro, come medico e come rappresentante sindacale: mi sono spesso trovato a discutere su quale enfasi, quale taglio dare alle notizie, evitando di cadere nei soliti cliché della “malasanità”, cercando di far capire che al di là dell’errore medico, errore che è impossibile negare esista, ma che solo in caso di palese negligenza, imperizia ed imprudenza rappresenta un colpa individuale, occorre cercare anche le condizioni nelle quali si lavora, dalle risorse umane alle risorse strutturali messe a disposizione.
Processi mediatici a medici ed infermieri, titoli a tutta pagina, nomi e cognomi pubblicati ancor prima ci sia stato un rinvio a giudizio (neanche una condanna almeno in primo grado!), hanno sicuramente contribuito a diffondere questo clima di sfiducia nei confronti di chi esercita la medicina.
Per questo occorrerebbe che almeno le testate giornalistiche più autorevoli si imponessero un codice di comportamento riguardo all’informazione in ambito sanitario, in modo da non generare allarmismi, paure, diffidenze, ma allo stesso tempo creare false o esagerate aspettative di salute.
L’alternanza di articoli dove si passa una volta da eroi e l’altra da assassini non può continuare. Si trovi un equilibrio.
Ricordiamo che chi lavora in emergenza è il primo ad affrontare l’evento medico, ma è anche il primo ad interagire con l’ambiente circostante, parenti, amici ecc. Se il clima è di diffidenza, saranno i primi a pagare le conseguenze. Il Personale dell’emergenza è il più fragile ed il più esposto. Nelle “retrovie”, corsie, ambulatori, ecc, il clima è in parte migliore, c'è più tempo per interagire, spiegare, conoscersi. Ma anche qui progressivamente si assiste al degrado dei rapporti tra utenti e sanitari.
Sulle violenze agli operatori, occorrono, sicuramente, strumenti di punizione più efficace (non tanto sull’inasprimento di pene che già esistono, quanto nella presenza fisica di tutori della legge), ma soprattutto uno sforzo per ricucire il solco creato tra cittadini e medici.
Dobbiamo essere orgogliosi della nostra Sanità che nonostante gli immensi problemi e le scarsissime risorse, garantisce ancora un livello di welfare, quasi unico nel mondo. Dobbiamo esserne orgogliosi come gli Inglesi, anche loro preoccupati che il loro sistema sanitario, nostro modello per anni, sia in grandi difficoltà: in un servizio della BBC di pochi anni fa, sullo stato di un Pronto Soccorso, si vedevano scene non dissimili da quelle dei nostri Pronto Soccorso, ma alla fine del filmato c’era un paziente che abbracciava un’infermiera. Così come il recente fatto di cronaca dove un padre se la prende con il Primo Ministro Inglese per i tagli imposti al servizio sanitario, che avevano causato problemi per la cura del figlio, ma loda l’operato dei sanitari dell’ospedale.
Noi non vogliamo nè lodi nè fango, vogliamo lavorare sereni.
Sandro Petrolati
Coordinatore Commissione Emergenza Anaao Assomed
© RIPRODUZIONE RISERVATA