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Giovedì 09 GENNAIO 2020
Gli ospedali in Italia, un patrimonio abbandonato

A forza di parlare prevalentemente di distretti, di cure primarie, di territorio, abbiamo finito per relegare l’ospedale ai margini del sistema, cioè abbiamo finito per svalutarne noi per primi la sua importanza diventando, soprattutto ricordo certi anni, stupidamente “contro” l’ospedale

Recentemente Newsweek, in collaborazione con GeoBlue e Statista, ha pubblicato la 'top list' 2019 che elenca i migliori ospedali di 11 paesi: Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera, Corea del Sud, Giappone, Singapore, Australia e Israele.
 
La top list
I paesi sono stati selezionati in base a precisi parametri che per gli scopi di questo editoriale, non vorrei né menzionare né discutere. Le strutture che si sono guadagnate un posto in classifica forniscono un'assistenza, definita, di “prim'ordine”.
 
Al primo posto la Mayo Clinic  di Rochester, in Minnesota (Usa) considerato il migliore del mondo,  quindi la Cleveland Clinic di Cleveland (Usa), il Singapore General Hospital, The Johns Hopkins Hospital di Baltimora (Usa), il Charité  Universitätsmedizin di Berlino (Germania), il Massachusetts General Hospital di Boston (Usa), il Toronto General Hospital (Canada), l'università di Tokyo (Giappone), il Centre Hospitalier Universitaire Vaudois di Losanna (Svizzera), lo Sheba Medical Center Tel Ha Shomer (Israele).
 
L’Italia, come abbiamo visto, non compare tra i Paesi oggetto dello studio. Gli estensori della ricerca non spiegano i motivi della scelta di quegli 11 Paesi rispetto ad altri ma al di là di questo penso che questa classifica offra l’occasione per tornare a parlare del “sistema” ospedale del nostro Paese.
 
Ospedale e sistema ospedaliero
Valutare un ospedale, cioè un insieme di servizi diversi organizzato e gestito come un sistema, non è la stessa cosa che fare pagelle come in passato sulla base delle patologie trattate (Panorama 2017), o fare delle classificazioni in funzione delle specialità mediche, o riconoscere i bollini rosa agli ospedali più attenti alle donne (classifica Onda).
 
La valutazione di un ospedale in quanto ospedale dipende da un numero infinito di variabili che a loro volta dipendono dal contesto in cui opera, da come è organizzata la sua struttura, dal paradigma culturale di riferimento, dal livello tecnologico, dalle qualità delle prassi professionali, e, alla fine, dal grado di reputazione sociale delle struttura.
 
Assumendo come gradiente da 0 a 1 è impossibile che un ospedale non sia un ospedale (0) o che un ospedale sia perfetto (1), mentre è possibile che l’ospedale abbia un gradiente basso quasi vicino allo zero o abbia un gradiente alto più vicino all’uno.
 
Penso che il “sistema ospedaliero”, italiano nel suo complesso, quindi non parlo di singole strutture, abbia mediamente un gradiente più verso il basso che non verso l’alto e questo per almeno tre cause:
- le drammatiche diseguaglianze nel paese a tutti i livelli,
- la grave situazione di obsolescenza e di vetustà delle tecnologie, (secondo il rapporto Oasi 2019 almeno il 75% sono ampiamente superate, secondo il rapporto Assobiomedica 2017 almeno il 50% di esse sono da rottamare),
- le discutibili politiche sanitarie adottate sino ad ora.
 
Ovviamente in questa situazione vi sono anche le eccellenze che si distribuiscono tra il privato e il pubblico e tante buone e oneste strutture che, fanno, nonostante tutto, il meglio possibile e che sono la gran parte degli ospedali ma che, temo, non hanno nessuna possibilità di entrare in qualche top list al di là dei motivi di esclusione dell’Italia dalla classifica di Newsweek.
 
Politiche ospedaliere
La prima vera definizione di ospedale e di organizzazione del sistema ospedaliero, inizia con il regio decreto Petragnani del 1938 e si conclude circa 30 anni dopo, grazie alla riforma Mariotti del 1968. Quindi mezzo secolo fa.
 
Da allora ai nostri giorni, l’ospedale è stato oggetto di diverse politiche ma senza mai ridiscuterne la definizione e la organizzazione interna del 68:
- l’inizio è la riforma sanitaria del 78 che non modifica in nulla la riforma ospedaliera del 68, limitandosi a incorporarla tale e quale, con ciò  creando i presupposti per una infinità di problemi mai risolti come quelli della apparente non riformabilità e dell’integrazione. In pratica ancora oggi abbiamo due riforme concepite su presupposti diametralmente opposti e per molti versi inconciliabili;
 
- la conseguenza  è stata una lunga fase che potremmo definire contro l’ospedale-centrismo e a favore della deospedalizzazione”, nella quale a definizione invariante di ospedale, il territorio o il distretto è messo in competizione con l’ospedale;
 
- con l’accrescersi dei problemi di sostenibilità finanziaria si passa dalla deospedalizzazione  alla “ospedalectomia”, cioè il  taglio d’imperio di decine di migliaia di posti letto con conseguenze catastrofiche sulla funzionalità dei pronto soccorsi e sull’intero sistema di ricovero;
 
- ora dopo l’ospedalectomia  si è passati alla standardizzazione del minimo necessario sufficiente e consentito  e quindi al dm 70 un vero anacronismo dal momento che i suoi parametri ripropongono tali e quali i postulati della riforma di 50 anni fa soprattutto quello più assurdo di tutti cioè il posto letto come misura di una intera organizzazione.
 
Con una storia ospedaliera tanto mortificante è difficile che una qualche nostra struttura per quanto eccellente, possa entrare in una classifica internazionale.
 
Il patto per la salute e il regolamento ospedaliero (dm 70)
Il governo precedente, quindi il ministro Grillo, nei confronti dell’ospedale prevedeva:
 
la piena attuazione del decreto 2 aprile 2015 n. 70, che definisce gli standard qualitativi, strutturali, quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera (…), con l’obiettivo di rendere omogenei su tutto il territorio nazionale la qualità, i volumi e gli esiti delle cure, coniugando l’efficienza economica con l’accessibilità dei servizi” (nota al def).
 
A quel tempo su questo giornale avanzai delle obiezioni al ministro Grillo:
- per un governo che si definiva per il cambiamento non aveva senso  la  conservazione passiva del dm 70 cioè ribadire  una logica organizzativa che aveva almeno mezzo secolo,
- l’impatto del dm 70 con la realtà delle diseguaglianze avrebbe creato più problemi che soluzioni,
- il dm 70 andava superato mettendo mano ad una vera riforma dell’ospedale  cioè a quella riforma che non è mai stata fatta  ma che avremmo, se fossimo stati in grado di pensarla, dovuto fare.
 
L’attuale governo, quindi il ministro Speranza, nel patto per la salute nella scheda 15 scrive:“si conviene sulla necessità di revisione del decreto sugli standard ospedalieri, aggiornandone i contenuti sulla base delle evidenze e delle criticità di implementazione individuate dalle diverse Regioni, nonché integrandolo con indirizzi specifici per alcune tipologie di ambiti assistenziali e prevedendo specifiche deroghe per le regioni più piccole”.
 
Quindi si ammette che il dm 70 non ha funzionato ma anche in questo caso il salto riformatore che servirebbe viene accuratamente evitato, si sceglie come al solito di volare basso cioè di razionalizzare la razionalizzazione, ma, in nessun caso, ci si prende la responsabilità politica di un ripensamento. Se le idee per fare una riforma sembrano mancare non vuol dire che la riforma non sia necessaria.
 
Ancora dubbi (mi dispiace ministro ma non è colpa mia)
Caro ministro, nel mio articolo precedente (QS, 4 gennaio 2020) ho espresso dubbi sulla sua capacità di rafforzare la sanità pubblica.
 
Oggi per gli ospedali, che nonostante tutto restano il più importante servizio di cura del SSN, lei si prepara ad aggiornare degli standard a modello di ospedale invariante quando dovrebbe assumere il sistema ospedaliero pubblico come una vera priorità politica del paese e farne l’oggetto di un vero nuovo autentico riformismo sanitario.
 
Non penso che riformare l’ospedale sia una cosa facile ma so senza ombra di dubbio che oggi non è più una cosa rinviabile. Pensi solo allo stato pietoso in cui si trova il parco tecnologico ospedaliero, pensi alla situazione drammatica dei tanti pronto soccorso e ai gravi squilibri tra ospedali del nord e ospedali del sud. Il problema della mobilità dei malati dal sud al nord è un problema soprattutto di ospedali.
 
La questione dell’ospedale, signor ministro è un esempio eloquente di come la sinistra di governo abbia “bucato” la sfida riformatrice.
 
Da mezzo secolo non facciamo altro che mettere a tavola la stessa minestra riscaldata senza accorgerci che l’ospedale sta perdendo, agli occhi della gente, la sua reputazione scientifica e senza capire che buona parte dei problemi di credibilità del sistema derivano proprio dall’impatto difficile tra società e ospedale.
 
L’ospedale deve tornare ad essere ciò che da molti decenni non è più, cioè una priorità politica.
 
Ri-spedalizzazione
Ma la reputazione di un ospedale soprattutto oggi dove ci sono cittadini che nei pronto soccorso, esasperati dalle disfunzioni, aggrediscono fisicamente gli operatori, è un concetto che attiene certamente al grado di adeguatezza non solo organizzativa e tecnologica ma anche culturale, nel senso delle modalità operative attraverso le quali si definiscono le prassi ospedaliere.
 
Oggi trattare il malato in ospedale come un paziente tradizionale quindi trattare un malato solo come malattia, sarebbe un grave errore. Rammento di sfuggita la proposta di Trento che, nella sua deontologia, significativamente, ha proposto di considerare il malato in ospedale non più un “ricoverato” ma un “ospite” fino a regolare l’attività dell’ospedale con gli accordi di ospitalità. (QS, 2 luglio 2018).
 
Oggi signor ministro creda a me: la sfida riformatrice passa per una nuova idea di ospedale adeguato in tutti i sensi al nostro tempo e alle complessità del paese.
 
Purtroppo, caro ministro, la sfida dell’adeguatezza, il dm 70, quindi la sinistra di governo, l’ha già persa e lei da quel che vedo una nuova idea di ospedale non ce l’ha. Lei come sinistra di governo continua nell’equivoco dell’irriformabilità dell’ospedale e quindi si illude come chi l’ha preceduta che aggiustando semplicemente degli standard di risolvere questa importante questione.
 
Per garantire un’assistenza di prim’ordine  come quella della Mayo clinic, serve “ri-spedalizzare” ciò che è stato inopinatamente de-ospedalizzato e ospedalectomizzato.
 
A forza di parlare prevalentemente di distretti, di cure primarie, di territorio, abbiamo finito per relegare l’ospedale ai margini del sistema, cioè abbiamo finito per svalutarne noi per primi la sua importanza diventando, soprattutto ricordo certi anni, stupidamente “contro” l’ospedale.
 
Conclusioni
Lei signor ministro intende mantenere il dm 70 pur con qualche aggiustamento, ebbene due sono i grandi problemi che questo regolamento contribuisce ad accentuare:
- continua a organizzare l’ospedale sulla base del posto letto come parametro principale,
- continua a portare avanti un sistema duale diviso in territorio e ospedale senza riuscire a concepire un solo sistema integrato.
 
“Ri-spedalizzare” per me significa risolvere una volta per tutte questi due problemi storici. Qualche anno fa commentando criticamente l’approvazione del dm 70 scrissi: a questo paese serve un cappotto, nuovo, rivoltare quello vecchio non basta più perché ormai è troppo logoro.(QS, 5 settembre 2014).
 
Ivan Cavicchi

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