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Sabato 15 FEBBRAIO 2020
Non siamo un paese per giovani... ma neanche per i bambini
Non bastano solo bonus o asili nido gratis. Invertire la tendenza della denatalità, come dato strutturale sapendo che la denatalità diminuisce la ricchezza sociale attraverso effetti negativi sulla economia e sulla psicologia collettiva, significa rimettere al centro il futuro delle persone
Nello stesso giorno in cui l'Istat ha reso noti i dati drammatici e dirompenti sull'ennesimo crollo demografico del Paese, è intervenuto anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affermando che "Va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno", perché si rischia un indebolimento del tessuto del nostro Paese".
Per il quinto anno consecutivo la popolazione si contrae: al 1° gennaio 2020 i residenti sono 60 milioni 317mila, 116mila in meno su base annua. Il ricambio naturale della popolazione nel nostro Paese appare "sempre più compromesso": per ogni 100 residenti morti arrivano soltanto 67 neonati. Dieci anni fa erano 96. 120mila gli italiani emigrati all'estero.
Nonostante l'ennesimo record negativo di nascite, la fecondità nel 2019 rimane costante al livello espresso nel 2018, ossia 1,34 figli per donna. Nell'ultimo biennio, in particolare, tra le donne residenti in età feconda (convenzionalmente di 15-49 anni) si stima una riduzione di circa 180mila unità. I tassi specifici di fecondità per età della madre continuano a mostrare un sostanziale declino nelle età giovanili (fino a circa 30 anni) e un progressivo rialzo in quelle più anziane (dopo i 30).
L'età media al parto ha toccato i 32,1 anni, anche perché nel frattempo la fecondità espressa dalle donne 35-39enni ha superato quella delle 25-29enni. Fanno più figli le donne ultraquarantenni di quanti ne facciano le giovani sotto i 20 anni di età, mentre il divario con le 20-24enni è stato quasi del tutto assorbito.
Nel 2019 migliorano le condizioni di sopravvivenza della popolazione e si registra un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita. A livello nazionale gli uomini sfiorano gli 81 anni, le donne gli 85,3. Per gli uni come per le altre l'incremento sul 2018 è pari a 0,1 decimi di anno, corrispondente a un mese di vita in più. L’Italia con 1,34 figli per donna in età fertile è fanalino di coda in Europa e, secondo le ultime previsioni Eurostat, nel 2050 nasceranno appena 375 mila bambini.
Questo vuol dire che stiamo ridisegnando l’idea di famiglia: tre quinti dei nostri bambini non avrà fratelli, cugini e zii; solo genitori, nonni e bisnonni. Già oggi per 161 persone di età maggiore di 64 anni, ci sono solo 100 bambini di età inferiore a 15 anni. Di questo passo il welfare diventerà insostenibile.
Bisogna a tutti i costi invertire questa tendenza, prevedendo facilitazioni per le famiglie e sostegno per le mamme, prima e dopo il parto. Bisogna riportare i bambini al centro del futuro.
La denatalità si contrasta anche con le misure di sostegno alla famiglia nei primi sei mesi di vita Tra di esse è fondamentale sostenere la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, e in particolare sostenere i papà oltre le mamme, portando anche il loro congedo a 30 giorni come avvenuto in Francia. La natalità non è una questione privata, ma sociale e politica che interessa trasversalmente tutti i settori e le istituzioni. Sostenere oggi i nuovi nati incentiverà le coppie ad avere bambini.
Le donne sono scoraggiate, perché è difficile conciliare i tempi di vita e lavoro e per questo talvolta rinunciano ad allattare e spesso ad avere un secondo figlio. La scelta di avere uno o più figli non dipende solo dalla condizione economica ma principalmente dal livello di benessere, cioè dalla qualità della vita; a bassi tassi di occupazione femminile corrispondono bassi tassi di fecondità. In Italia, infatti, solo il 48,9% delle donne in età fertile lavora, contro una media del 62,4% dell’Unione europea.
Un trend, purtroppo, non solo italiano, ma in cui il nostro Paese registra uno tra i tassi più bassi al mondo, come evidenziato dal Pew Research Center. Attualmente il tasso di fertilità è di 2,5 figli per donna a livello mondiale, ma scenderà a 1,9 nel 2100, sotto la soglia del 2,1 che secondo i demografi consente a una popolazione di rimanere stabile.
Secondo Eurostat, senza arrivi dall’estero, l’Italia è destinata a dimezzare la sua popolazione entro 80 anni. In Italia le donne dichiarano di pensare ad avere un figlio non prima dei 35 anni, secondo una recente ricerca del Censis. Le giovani coppie italiane hanno il primo figlio alla stessa età in cui quelle francesi hanno il secondo. Come hanno affermato di recente tre docenti di demografia dell’Università di Roma nella ricerca “Avere figli in Italia: una questione di BES”.
Gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile, incidono fortemente sulla scelta di mettere su famiglia e di avere bambini. La ricerca, infatti, ha messo in luce una correlazione diretta tra i BES e la fecondità: non è un caso che le famiglie del Nord abbiano una maggiore prolificità rispetto a quelle del resto del Paese e che in particolare la provincia di Bolzano (al top per tutti i parametri BES) sia anche l’unità territoriale in cui il numero medio di figli per donna è stato il più alto d’Italia.
La crisi economica dell’ultimo decennio ha pesato su tutto, anche sul desiderio di avere figli. Il sentimento di paura verso il futuro e la preoccupazione di non riuscire a mantenere il precedente tenore di vita ha innescato un tarlo profondo. Una società che non riesce ad intravedere come ristabilire rapporti sociali per stare bene insieme, uno accanto all’altro e non saziarsi di internet e smartphone con la difesa di uno schermo, non ha più il desiderio di rimboccarsi le maniche, volontà di fare, capire, migliorarsi. Sono cresciuti timori, risentimento, autoreferenzialità.
Molti dicono che in Italia non si può più vivere perché non si intravede prospettiva. Tanti vanno all’estero. Le nuove generazioni, quelle in età fertile, vanno a studiare o a lavorare all’estero e lasciano il Paese al suo declino. E’ sempre più difficile accettare la sfida della genitorialità. Le culle sempre più vuote sono il risultato di un Paese impaurito, incapace di pensare al futuro.
C’è un quadro di incertezza occupazionale ed economica di depauperamento dello stato sociale, di famiglie mononucleari e di anziani soli con malattie cronico degenerative, che hanno sconvolto il vecchio paradigma sociale dell’aiuto delle famiglie e che contribuisce a una profonda revisione anche dei modelli culturali relativi alla procreazione.
Cosa deve fare la politica? Ricostruire una prospettiva lavorando sul tessuto sociale per ricostruire un’idea di comunità dove sia centrale la dignità dell’essere umano con la dignità del proprio lavoro, dove il rispetto dell’altro, uomo e donna, diversamente abile, anziano o bambino, bianco o nero giallo o meticcio, cattolico o di altra religione e cultura, sia la cifra dei comportamenti relazionali.
Non bastano solo bonus o asili nido gratis. Invertire la tendenza della denatalità, come dato strutturale sapendo che la denatalità diminuisce la ricchezza sociale attraverso effetti negativi sulla economia e sulla psicologia collettiva, significa rimettere al centro il futuro delle persone: dei lavoratori, delle donne, dei bambini, degli anziani, in sostanza un noi collettivo come argine valoriale all’ego narcisistico imperante, che ci rende sempre più pochi e sempre più soli.
Costruire pragmaticamente linee di politiche attive della famiglia sul versante sociale, fiscale e del lavoro, che riportino al centro l’infanzia e i suoi diritti, la genitorialità dell’uomo e della donna come fattore di sviluppo del nucleo familiare, il lavoro paritario nell’accesso e nel salario, lo sviluppo sostenibile di una economia della conoscenza e della conciliabilità dell’uomo con la natura e l’ambiente, lo sviluppo della scienza e della tecnologia al servizio dell’uomo e del benessere della società.
Queste sono le sfide di fronte a noi. Non possiamo sfuggire è una responsabilità che abbiamo per il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità
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