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Sabato 07 MARZO 2020
Calabria, ci può salvare solo la Protezione Civile

Non è fantascienza. Già avvenne nel 2007 e ora appare cme unica soluzione con un provvedimento straordinario del presidente del Consiglio, sia in relazione all'imminente stato di pericolo derivante dall'epidemia in atto che di quello che da dieci anni non garantisce ai calabresi la salute pubblica, mettendone in pericolo l'esistenza e l'incolumità degli operatori sanitari che operano nel relativo sistema della salute

Lo scenario 
Un Paese diviso nelle paure, una nazione non propriamente unitaria perché in concorrenza a causa dei comuni e naturali egoismi che accompagnano la protezione delle singole famiglie, un SSN che accentua le ben note differenze nord-sud e presenta i limiti della «periferia» inadeguata, salvato anche questa volta in corner dai soliti IRCCS (tale è il mitico Spallanzani!) che lo rendono migliore di quello che è.
L'affondo dell'economia che fa il resto, impoverendo di tutto e di più, tra la speranza di uscire presto e la certezza di riuscirci.
 
Su tutto il peggio del peggio
Un commissario ad acta che litiga con i suoi sub, il primo perché era palesemente inadeguato e «ingombrante» e la seconda perché più esperta di lui in materia di organizzazione della salute. Una politica che non sa assumere le decisioni che servono per attenuare, quantomeno, i danni creati con il famigerato decreto legge 35/2019, che sarà ricordato nella storia come la peggiore «peste» che ha colpito la Calabria dal dopoguerra in poi, e non generarne degli altri.
 
Un bilancio storico della sanità predato da tutti, spogliato da indebite percezioni degli extrabudget, magistralmente organizzate e acriticamente assicurate dal management, che sono passati di mano in mano con aggravi di maggiori e inauditi costi senza che la magistratura si sia impegnata per intervenire sulle evidenti notitiae criminis et damni reiteratamente evidenziate a mezzo stampa.
 
Un deficit patrimoniale del bilancio consolidato ancora da rendicontare in considerazione delle ruberie ivi perpetrate, dei doppi/tripli e oltre pagamenti effettuati per la medesima obbligazione e di una gestione che definire allegra si genera una offesa al vocabolario operettistico. Un coronavirus che bussa alle porte, segnando la sua presenza destinata sensibilmente a crescere a causa del rientro dal nord degli «emigrati» che sono davvero in tanti, sfuggiti alle maglie dei controlli delle zone a rischio ovvero da quelle comunque con maggiori presenze di infetti.
 
Un sistema della salute che non c'è più da tempo, smembrato dei presidi ospedalieri che c'erano senza che si fosse assicurata un'offerta alternativa, nonostante tante centinaia milioni di euro disponibili da oltre dieci anni. Una disponibilità di posti letto - originariamente previsti in eccesso per accontentare con primariati a go go, i potenti di turno - ridefinita a capocchia (un napoletanismo che rende meglio l'idea!) con provvedimenti che non hanno avuto alla base alcuna rilevazione dell'ineludibile fabbisogno epidemiologico, indispensabile per definire altresì l'organico mancante da coprire prima che subito. Una politica sanitaria regionale che non esiste perché in difetto di tali elementi pianificatori e perché lasciata in mano ad «analfabeti» della materia e affaristi.
 
Tutti questi sono gli elementi che caratterizzano la Calabria di oggi, messa alle corde da «mascalzonate» di ogni tipo di cui è stata da sempre vittima tanto da renderla esposta a subire danni inenarrabili nell'ipotesi di estensione dell'epidemia Covid-19 con la sua disponibilità irrisoria di posti di riabilitazione e terapia intensiva che superano di poco le 100 unità disponibili. Non solo. Con una rete di assistenza territoriale inesistente, con un livello ospedaliero dignitoso sfornito però persino del materiale su consumo più urgente, messo allo stremo con pronto soccorsi privati dei presidi minimi protettivi (mascherine & Co.), cui si sono aggiunte le tende della pProtezione civile montate all'esterno ma completamente vuote e inattive. Per non parlare dei numeri telefonici dell'apposita emergenza ove non c'è alcuno che risponde.
 
Calabria, l'assente persino dai pensieri!
Questa è la Calabria, della quale non si tiene affatto conto nelle decisioni dei Governi presieduti da Giuseppe Conte, ma anche di quelli che li hanno preceduti. Una regione trattata come un vuoto a perdere al quale nessuno assicura le dovute attenzioni, salvo declamarne le bellezze naturali, magari frequentandole d'estate, o denigrarla per essere la patria natìa della 'ndrangheta.
In queste condizioni, nell'ipotesi di un verosimile incremento degli infetti, una tale stupenda regione sarebbe a rischio assoluto, con possibilità di decimazione della propria popolazione, composta per lo più da calabresi anziani, malandati nella condizione di salute e privi di risorse utili a permettersi il lusso di recarsi altrove.
 
La soluzione sta in una ritrovata «cura» politica
Cosa fare, dunque, per evitare una tale minacciata strage sociale e istituzionale?
Prioritariamente, si renderebbe necessaria da parte del Governo una indispensabile chiarezza giuridica.
In presenza, infatti, di un commissariamento ad acta - incaricato da oltre dieci anni non solo dell'esecuzione del piano di rientro ma anche del ripristino dei Lea, mai percepiti a siffatte latitudini, ivi compreso quello posto a «tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro» (la prevenzione) - occorrerebbe fare chiarezza sui comportamenti da tenere nella straordinarietà e, soprattutto, su come conciliare l'intervento sostitutivo, ex art. 120 comma 2 della Costituzione, con quello coevo di Protezione civile, cui è stata rimessa la gestione del fenomeno epidemico, che rintraccia nella neo Presidente della Regione il soggetto attuatore.
 
Un dovere istituzionale, quello che si ritiene indispensabile da parte dell'Esecutivo, sufficiente a realizzare in Calabria:
a. nell'immediato, l'ineludibile intervento protettivo nei confronti della dilagante epidemia da coronavirus che ivi rintraccia quattro casi conclamati, cui vanno aggiunti quelli in corso di accertamento chimico-clinico;
 
b. strutturalmente, la ricostruzione del proprio SSR, distrutto da un patrimonio negativo plurimiliardario, da un disavanzo annuo di centinaia di milioni di euro divenuto oramai una costante fissa e da una consistenza patrimoniale infrastrutturale privata dei requisiti minimi, addirittura di quelli prescritti per rendersi titolare/destinatario di autorizzazione all'esercizio per non parlare di quelli previsti per l'accreditamento istituzionale;
 
c. una corretta e tempestiva rilevazione del fabbisogno epidemiologico ordinario indispensabile per riprogrammare quanto in atto, tenuto conto degli interminabili quattro ospedali finanziati da decenni e a tutt'oggi neppure iniziati, peraltro con assegnazione ed esecuzione di appalti a dir poco discutibili persino nella conservazione delle rispettive titolarità.
 
Via il commissariamento, dentro la Protezione civile come nel dicembre 2007 (Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3635)
Esigenze, queste, irrinunciabili. In quanto tali, da soddisfare attraverso:
1) l'adozione repentina di misure straordinarie che assolvano il compito di mettere su ogni tutela utile a fronteggiare, in stretto coordinamento con l'attività nazionale messa in piedi dal Governo, l'ulteriore espandersi in Calabria del Covid-19, sguarnita di tutto ciò che occorrerebbe per difendersi, del quale ogni altra regione è più o meno attrezzata;
 
2) la riprogrammazione di tutte le azioni necessarie a ridisegnare il SSR, previa accurata rilevazione del fabbisogno di salute da effettuarsi con l'ausilio di tutti i sindaci e le categorie professionali sociosanitarie, individuando in proposito una radicale riforma strutturale dello stesso, da proporre al Consiglio regionale per la sua approvazione in legge.
 
Un intervento complessivo che - nell'impossibilità di assolverlo attraverso l'espletamento di procedure ordinarie ovvero di quelle commissariali, che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione quo ante - andrebbe affidato complessivamente alla Protezione civile. Ciò a mente del combinato disposto dell'art. 5 della legge 225/1992 e del vigente D.L. 343/2001 convertito e successivamente implementato, idonea ad assicurare sia il superamento dello stato di emergenza attuale che quello finalizzato a riportare a regime la tutela della salute, attraverso l'esercizio del conseguente potere di ordinanza.
 
Un provvedimento straordinario da assumere dal Premier sia in relazione all'imminente stato di pericolo derivante dall'epidemia in atto che di quello che da dieci anni non garantisce ai calabresi la salute pubblica, mettendone in pericolo l'esistenza e l'incolumità degli operatori sanitari che operano nel relativo sistema della salute.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

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