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Martedì 10 MARZO 2020
Coronavirus. Qui si fa l’Italia!

Alla oramai frequente preghiera che si sente in giro («che Iddio ce la mandi buona») occorrerà pertanto assicurare un grande impegno collettivo e unitario, quasi a realizzare una sorta di competizione sociale ove le comunità regionali dovranno fornire la prova di non di essere affatto da meno degli altri. Una gara che troverà nel Sud qualche avversario in più, a cominciare dalla inadeguatezza delle strutture. E c'è anche un problema con le Regioni commissariate... 

La situazione è grave. Numeri che si incrementano alla velocità del Telethon. Territori compromessi dalla epidemia riconosciuti in netto allargamento in poche ore, tanto da imporre al Governo l'adozione di un provvedimento che ha esteso le restrizioni, sino ad ieri imposte alla Lombardia e a quattordici province, a tutto il territorio nazionale. Dunque, un Paese interamente «contaminato», oramai divenuto un tutt'uno nella lotta contro il coronavirus, nell'impegno dei cittadini ad ossequiare gli ineludibili doveri, ivi compreso quello di tutelare i loro figli, evitando che gli stessi si comportino in modo irresponsabile perché, per età, portati a disattendere ai divieti.
 
Il pareggio non serve
Una battaglia che necessita vincere a tutti i costi, ovunque. Una sfida che vede però il Paese diviso in «lotti» geografici di diversa efficienza che, in quanto tale, daranno risposte differenziate al bisogno di assistenza.
Alle grandi strutture del nord e del centro - sia del sistema pubblico, al lordo degli eccelsi Irccs che rendono il Ssn invidiato in tutto il mondo, che di quello privato accreditato - si contrappongono infatti quelle non propriamente efficienti del sud e delle isole. Quel patrimonio strutturale, quest'ultimo, reso strumento di dignitosa assistenza solo per lo stoicismo e l'impegno indefesso del personale che vi opera, fornendo così la prova che un Mezzogiorno attrezzato di ciò che hanno altrove e che non hanno ivi saputo realizzare nel passato, per colpa di una malagestio della politica, non avrebbe nulla da invidiare ad alcuno, sia in termini di professionalità che di abnegazione.

Qui si fa l'Italia!
Alla oramai frequente preghiera che si sente in giro («che Iddio ce la mandi buona») occorrerà pertanto assicurare un grande impegno collettivo e unitario, quasi a realizzare una sorta di competizione sociale ove le comunità regionali dovranno fornire la prova di non di essere affatto da meno degli altri. Una gara che troverà nel Sud qualche avversario in più, a cominciare dalla inadeguatezza delle strutture, spesso fatiscenti, dalle tecnologie obsolete e da un personale reso ai minimi livelli dalla sottoposizione dei sistemi della salute a piani di rientro e a commissariamenti esercitati con incapacità ed incoscienza.
 
Non solo. L'ingenuità del Governo di non avere reso efficace il Dpcm dell'8 marzo scorso - quello che impediva correttamente ai residenti nella zona rossa allargata di potere valicare il detto confine - prima di darne notizia alle Regioni e soprattutto ai partiti ha determinato danni incalcolabili. Ciò in quanto, a seguito della «minacciata» adozione di un così utile provvedimento restrittivo, contingibile e urgente e in quanto tale da non negoziare con alcuno, un siffatto ingenuo modo di agire ha fatto rompere le righe a tutti quei figli del sud che hanno preferito raggiungere, in decine di migliaia, i loro cari. Un evento che ha fatto sì che gli stessi arrivando, con ogni mezzo, nei luoghi di destinazione senza adempire ad alcun obbligo di quarantena, hanno ivi incrementato il rischio di diffusione del virus e messo, potenzialmente, in più affanno di quanto già lo fosse per suo conto il relativo sistema ospedaliero.
 
Il DPCM di ieri sera, di fatto reitera per tutto il Paese le misure cautelative scandite nell'omologo provvedimento del giorno prima, rendendo inutili pericolose fughe e impropri trasferimenti da regione a regione.

Non solo il DPCM, ma anche un provvedimento legislativo
Il Governo ha fatto tuttavia di altro. Ha adottato un importante decreto legge (il n. 14/2020) recante le «Disposizioni urgenti per il potenziamento del servizio sanitario nazionale in relazione all'emergenza COVID-19». Con questo ha generato, introducendo una apprezzabile disciplina a tutela delle emergenze, invero non poca confusione per quelle Regioni che sono a tutt'oggi commissariate ex art. 120, comma 2, della Costituzione.
 
Quelle che registrano la presenza, per l'appunto, dei commissari ad acta messi lì a sostituire, in ambito della gestione della salute, gli organi regionali (quindi, Presidenti, Giunte e Consiglio, non in sede legislativa) non più ritenuti meritevoli e capaci di adempiere ai loro compiuti istituzionali. Una osservazione, questa, che consiglierebbe una ulteriore regolazione specifica implementativa di quella ad oggi attuativa dell'anzidetto articolo della Carta (129, c. 2), che così com'è risulta impeditiva della applicazione del decreto legge a cura degli organi regionali canonicamente intesi.
 
Quanto al contenuto del decreto legge, sul quale si invita a leggere la sintesi schematica pubblicata dalla redazione, è appena il caso di sottolineare alcune sue corrette previsioni, prima fra tutte quella di rendere disponibile un consistente finanziamento (845 milioni di euro, di cui 660 per personale e 185 per dispositivi per la terapia intensiva) indispensabile per le iniziative che le singole Regioni sono tenute a perfezionare a tutela della salute delle rispettive collettività. Un importo che dovrà necessariamente essere implementato in corso di conversione in legge sulla base delle emergenze che si presumono verosimilmente destinate ad incrementare.

Tocca alle Regioni e qui si parrà la loro nobilitate
Ora sarà compito delle Regioni adoperarsi allo scopo di redigere, tenuto conto del fabbisogno epidemiologico da soddisfare e di quello del personale in stretta relazione con le loro carenze organizzative e strumentali, gli atti pianificatori del loro intervento e gli indirizzi cui dovranno riferirsi le aziende della salute e gli enti del Ssn ricadenti nel loro territorio, relativamente agli incrementi dei posti letto occorrenti, al reclutamento del personale necessario, sia dipendente che convenzionato, all'incremento dell'attività specialistica ambulatoriale e a tutto quanto previsto nel provvedimento medesimo.
 
Riusciranno a fare questo, bene e tempestivamente, le Regioni, soprattutto quelle in eterno ritardo nel rendere efficienti, efficaci e sostenibili i loro rispettivi servizi sanitari regionali? Che «Iddio ce la mandi buona!».
 
Ettore Jorio

 

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