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Lunedì 02 APRILE 2012
Hiv e carceri. In GU l’intesa per potenziare diagnosi e cure

Implementare le esecuzioni di test di screening Hiv negli istituti penitenziari e garantire a tutti i pazienti l’offerta di assistenza e terapia necessaria alla loro condizione di salute. Lo prevede l’intesa approvata in Conferenza Unificata il 15 marzo e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale di ieri.

Garantire una serie di azioni volte a superare i principali problemi e le attuali disomogeneità nell’assistenza e cura della persona sieropositiva per Hiv nelle carceri. È questo lo scopo dell’intesa su “Infezione da Hiv e detenzione” approvata dalla Conferenza Unificata il 15 marzo scorso e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 77 del 31 marzo 2012.

Il problema dell’Hiv nelle carceri è stato, fino ad oggi, sottostimato. Come dimostra il fatto che l’incidenza, come si legge nel documento, può essere solo stimata. Questo soprattutto a causa del basso numero di test effettuati, in base ai quali è emergerebbe comunque che il tasso di sieropositività nelle carceri sia pari al 2% rispetto allo 0,5% della popolazione generale. Ma dove negli istituti in cui ad effettuare il test è stato oltre l'80% dei detenuti, il tasso è cresciuto fino al 7,5%.

La prima cosa da fare, sottolinea dunque il test, è implementare un’offerta “convincente e, se necessario, reiterata” del test con l’obiettivo di raggiungere almeno il 60% della popolazione detenuta in ogni istituto.

Ai detenuti vanno poi garantite le terapie necessarie, che significa anche garantire la distribuzione di farmaci agli orari prescritti e garantire i controlli ematochimici, virologici e immunologici ai tempi richiesti.

Gli istituti dovranno poi impegnarsi a garantire un costante rapporto medico-paziente, con couselling specialistico continuativo, teso a migliorare l’adesione alla terapia.

Ogni processo non potrà comunque prescindere da un’adeguata formazione per tutto il personale penitenziario, nei confronti del quale dovranno essere promosse campagne di prevenzione rivolte anche ai detenuti, per informare sul rischio contagio, prevedendo anche l’impiego di mediatori culturali per facilitare la comunicazione con i detenuti stranieri.

 

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