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Sabato 04 APRILE 2020
Bene la salvaguardia giuridica ei sanitari ma serve anche un indennizzo per eredi delle vittime
Gentile Direttore,
nel violento succedersi di tragici bollettini nosografici e nel prendere atto della nostra fragilità, riponiamo una condivisa speranza nello stato di welfare di “beveridgiana” memoria, ovvero nelle strutture sanitarie, nei medici e tutto il personale sanitario che faranno il possibile per salvarci. E’ l’“emergenza”, dunque, che deve spingere i cittadini verso l’assunzione di una “responsabile” resistenza al “nemico” comune.
Fin dai primi giorni è stato chiaro che il dramma della pandemia realizza una grave crisi sulla tenuta del Paese e sul sistema sanitario che rivela le sue debolezze, dopo anni di privatizzazioni e indebolimento delle strutture, e che oggi viene sottoposto ad uno stress-test immane.
E valga il vero: il principio ispiratore della legge 24/2017 (cd. legge Gelli) evidenzia una profonda attualità proprio nella intenzione di spostare il baricentro dal concetto accusatorio di responsabilità sanitaria, a quello solidale di sanità responsabile, che intende rafforzare la convinzione che la realizzazione delle attività di prevenzione e gestione del rischio sanitario (clinical risk management), rappresenta un interesse primario che deve assicurare il rispetto del principio della sicurezza delle cure.
Ancor di più all’indomani dell’emanazione del D. L. 17 marzo 2020, n. 18 (cd. decreto Cura Italia), ove la laurea in medicina diventa “abilitante” alla professione medica, occorre abbandonare una certa logica dell’obbligazione di risultato, sia per quanto riguarda prestazioni che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.) ove il prestatore (il medico) non risponde dei danni se non in caso di dolo e colpa grave, sia rispetto agli interventi di routine.
La “medicina difensiva”, che danneggia il Servizio Sanitario Nazionale, è di per sé un fatto negativo; ma di fatto viene vista come mezzo per cautelarsi dal rischio di una possibile causa a fronte del boom del contenzioso in materia di medical malpractice degli anni passati.
A lume di tanto, appare opportuno che il Governo nazionale adotti provvedimenti finalizzati a salvaguardare il ruolo dei medici e del personale sanitario con scelte adeguate all’attuale stato emergenziale (“stato di necessità”) nei confronti di coloro che sono impegnati contro il Covid 19, adottando soluzioni giuridiche idonee a renderli immuni da responsabilità per colpa in ipotesi di morte dei pazienti, sia in sede civile, sia in sede penale (per quest’ultimi, “non punibilità” per i reati colposi), al fine di salvaguardare la salute di tutti i cittadini e portare avanti la loro missione con la consapevolezza che, seppur entro determinati limiti, non corrano il rischio di vivere la pendenza di diversi procedimenti giudiziari a loro carico.
Ma non bisogna sottacere che occorrerà anche evitare di inondare le Aule di Giustizia italiane, per i prossimi 15 anni, di migliaia di procedimenti giudiziari, sia civili che penali.
Oggi è il tempo della responsabilità dicevamo, e da avvocati potremmo avere tutto l’interesse professionale a che vi sia un aumento del contenzioso in subiecta materia, invece, sempre da avvocato (al singolare questa volta), appare opportuno, proprio per quell’invocato senso di responsabilità, eliminare tate rischio per un principio più alto di solidarietà generale.
Al fine di tutelare medici ed operatori sanitari che svolgono la propria attività in emergenza presso strutture ospedaliere e nosocomi in tema di protezione dal Covid 19 dovrebbe, quindi, esser precluso adire l’Autorità Giudiziaria competente per richiedere l’accertamento della responsabilità professionale con contestuale richiesta di risarcimento del danno da contagio in caso di decesso, per i casi di natura colposa, sia nei confronti dei medici e del personale sanitario, sia nei confronti delle strutture ospedaliere e nosocomi, nonché al fine di tutelare medici ed operatori sanitari dovrebbe esser prevista, in sede penale, la “non punibilità” per i reati colposi.
Invece, di converso, accertato il decesso per causa imputabile a Covid 19, ivi comprese le concause, occorrerebbe realizzare un condiviso afflato di responsabilità solidale con la previsione di un indennizzo a favore degli eredi delle vittime da Covid 19.
Appare evidente che il risarcimento del danno costituisce una materia completamente diversa dall’indennizzo. L’indennizzo assume il significato di misura di solidarietà sociale cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale, mentre il risarcimento del danno trova il proprio presupposto nell'accertamento di una responsabilità colposa o dolosa come stabilito dall’art. 1218 c.c. e 2043 c.c.
L'indennizzo deve consistere in un assegno composto di una parte in misura fissa e di una parte in misura variabile, determinato (per la parte variabile) anche sulla base delle tabelle in vigore del Tribunale di Milano (età, prospettive di vita, indice Istat, ecc.), da corrispondere da parte del Ministero della Salute.
Sotto tale delicato profilo, nel ginepraio di norme e al fine di tutelare medici ed operatori sanitari che svolgono la propria attività in emergenza, sarebbe utile un ponderato e lucido intervento legislativo che possa, da un lato, porre un limite alle azioni individuali al fine di realizzare, per dirla con i francesi, un barràggio, ovvero possa porre un argine ad azioni individuali, addivenendo per tale via ad un condiviso afflato di responsabilità solidale; dall’altro, di converso, prevedere meccanismi indennitari a favore dei congiunti da vittime da Covid 19, con la consapevolezza che quel pretium doloris o “denaro del pianto” giammai potrà compensare il dolore dei congiunti per tali gravi perdite.
Pasquale Mautone
Avvocato Cassazionista e giornalista, già Docente in Diritto Sanitario. Dottore di Ricerca in “Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni sanitarie” - Federico II Napoli.
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