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Venerdì 29 MAGGIO 2020
Se con l’emergenza Covid 19 ci si dimentica della riabilitazione



Gentile Direttore,
l’emergenza COVID ha imposto una visione rianimatoria-intensivistica della risposta sanitaria caratterizzata dalla rapida riconversione di intere strutture sanitarie in unità di terapia intensiva o almeno pneumologica. Questa riconversione rischia di dare una immagine falsamente omogenea delle conseguenze cliniche dell’epidemia. Si rischia di fare apparire i singoli pazienti diversi soltanto per maggiore o minore rischio di mortalità e non anche per condizioni individuali.
 
La fase immediatamente post-emergenziale (cosiddetta fase 2) dovrebbe dare spazio ad una riflessione clinica più articolata. Vorrei qui segnalare la particolare condizione di pazienti con disabilità acuta di natura neuromotoria e cognitiva. L'epidemia ha messo in ombra, ma non eliminato, malattie e lesioni acute del sistema nervoso: ictus cerebrali, tumori cerebrali o del midollo spinale, malattie infiammatorie e infettive non-COVID del sistema nervoso. L’epidemia ci porterà ancora nuove e ulteriori disabilità neuromotorie da lesione diretta del sistema nervoso. Infine, l’epidemia non ha eliminato nemmeno fratture, politraumi e possibili lesioni nervose associate.  
 
Criticità della riabilitazione neuromotoria post-acuta.
E’ stato garantito un percorso riabilitativo adeguato a questi pazienti? Questo percorso non è differibile.  I pazienti possono soffrire di paralisi, incontinenza, disfagia con rischio di polmonite da aspirazione di alimenti, deficit cognitivi (linguaggio memoria attenzione e altro). Spesso i pazienti sono portatori di catetere vescicale, sondino naso-gastrico, catetere venoso, tracheostomia, drenaggi. E’ necessario che alla dimissione dalle unità per acuti i pazienti siano trasferiti direttamente in unità ospedaliere di riabilitazione specialistica, possibilmente del tipo definibile di “alta complessità” secondo due delibere della Regione Lombardia (DGR X/1185 del 2013; DRG X/1520 del 2014) purtroppo non ancora attuate.
 
L’alta complessità sta nel dover coordinare intorno al singolo paziente un gruppo multi-professionale molto variegato: medici (principalmente fisiatri), infermieri, fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali, psicologi e neuropsicologi, assistente sociale, ai quali si aggiungono molte altre competenze specialistiche in consulenza. Sono indispensabili anche le più varie diagnostiche strumentali, dalla Risonanza Magnetica alla  elettromiografia.
 
Tre domande-proposte
Nel progetto nella fase 2  non appaiono sviluppati  almeno tre punti essenziali.
 
1) Non è stimato quantitativamente il bisogno attuale di unità e posti-letto di riabilitazione specialistica neuromotoria. Si tenga poi conto del fatto che i ricoveri “differibili” in unità di neurochirurgia, neurologia, ortopedia sono stati interrotti ma non lo saranno per sempre. Non è noto quante unità di riabilitazione siano state precipitosamente riconvertite in unità assistenziali “genericamente” rivolte a pazienti sintomatici-COVID positivi.
 
2) Resta da chiarire quali e quante unità riabilitative “sopravvissute” alla riconversione accolgano soltanto pazienti che, immediatamente prima del ricovero, risultino negativi al tampone diagnostico oppure accettino anche pazienti che risultino positivi.
 
3) Si considerino le Unità riabilitative (forse la maggioranza) che accolgono soltanto pazienti “negativi”. Inevitabilmente alcuni casi si “positivizzano” dopo il ricovero stesso: soprattutto perché il paziente può trovarsi in fase di incubazione quando accede. Qual è l’incidenza di questi casi? Come vengono assistiti? Per restare apparentemente “libera da COVID”  un’Unità di Riabilitazione non deve fare altro che sbarrare le porte ai pazienti  COVID positivi proposti da unità per acuti e dimettere prematuramente  (non importa verso dove) quelli che si positivizzano dopo il ricovero. Bisogna verificare che questa prassi sia davvero inevitabile e non opportunistica.
 
In breve, quale che sia la politica delle strutture riabilitative è necessario un intervento politico che a) identifichi un sufficiente numero di reparti o di moduli ricettivi verso pazienti COVID positivi e che b) determini regole di funzionamento e tariffazioni specifiche. In caso contrario questi pazienti correranno un  rischio aumentato  di mortalità e di disabilità evitabile, anche senza sintomi di malattia da COVID. per il solo fatto di avere riportato un tampone positivo.
 
Le conseguenze cliniche di un’assistenza generica su questi pazienti non sono accettabili né scientificamente, né professionalmente, né eticamente. Si consideri poi che la disabilità evitabile di queste persone comporterà un aggravio di costi assistenziali nel lungo periodo.
 
Appare davvero opportuno  che Governo e Regioni considerino con priorità i tre punti sopra elencati in termini di ricognizione, di programmazione e di disposizioni normative.
 
Luigi Tesio
Professore Ordinario di Medicina Fisica e Riabilitativa
Università degli Studi di Milano
Direttore, Dipartimento di Neuroscienze Riabilitative
Istituto Auxologico Italiano, IRCCS, Milano

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