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Lunedì 01 GIUGNO 2020
Per ammodernare ospedali e strutture servono 32 miliardi ma ne abbiamo solo 22 (ante fondi Covid) e neanche riusciamo a spenderli tutti. Il rapporto della Corte dei Conti

Le risorse sono già poche. E in più tra burocrazia, incapacità progettuale e tempi biblici per la realizzazione i soldi non si riescono nemmeno a spendere. La dotazione di risorse per l’edilizia sanitaria è arrivata a quota 22 mld, ma di questi solo 12,5 sono stati accordati alle Regioni e addirittura 1,5 mld sono stati revocati. Fotografia impietosa della Corte dei conti sul capitolo degli investimenti in sanità

Investimenti in sanità al palo ma anche le poche risorse che vengono stanziate tra mille pastoie burocratiche non vengono spese o addirittura vanno perse. È questo il quadro che emerge dalla lettura del capitolo sanità, nella parte dedicata agli investimenti, dell’ultimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica dove si evidenzia come le difficoltà finanziarie abbiano inciso sull’adeguamento delle infrastrutture anche in campo sanitario. Gli investimenti infatti si sono ridotti tra il 2008 e il 2017 da 7,8 miliardi a meno di 6. Dopo un andamento altalenante tra il 2008 e il 2011, la flessione è stata continua fino al 2016 (-35 per cento), per poi iniziare a recuperare a partire dal 2017”.
 
La Corte rimarca come “particolarmente netto il è calo delle costruzioni (insomma per ospedali o presidi), passate da un budget di 3,6 miliardi del 2012 a circa 1,2 miliardi nel 2017. In riduzione anche gli investimenti immateriali (ricerca e sviluppo, software e base dati) mentre hanno mantenuto un profilo positivo gli investimenti in apparecchiature, passati da 2,6 nel 2011 a 3,8 miliardi nel 2017. E infatti siamo tra i Paesi europei per risonanze e Tac, che sono pari o superiori alle principali economie europee: rispettivamente 35,1 e 25,2 contro 21,4 e 15,4 della media europea. Un aspetto positivo certamente anche se ci espone al rischio di un loro rapido invecchiamento e quindi all’esigenza di sempre maggiori risorse per rimpiazzarle.
 
In 20 anni sbloccate poco più della metà delle risorse. Ma non sono i soli vincoli finanziari ad incidere sul rallentamento della politica infrastrutturale. La Corte dei conti ha analizzato infatti come si è evoluta negli anni l’attuazione della legge 67/1988 (e il famoso ex articolo 20), che rappresenta ancora il principale strumento di intervento per la riqualificazione del patrimonio edilizio e tecnologico pubblico e la realizzazione di residenze sanitarie assistenziali così come agli interventi specifici che si sono aggiunti ad esso negli anni. Sono 15,3 i miliardi destinati agli Accordi di programma ripartiti tra le regioni tra il 1998 e il 2008. Le due ultime leggi di bilancio hanno poi aumentato la dotazione di altri 6 miliardi (compresi i 2 mld stanziati nell’ultima Legge di Bilancio). Ovvero in totale circa 22 miliardi. Ma nonostante questa iniezione di denaro, al 31 dicembre 2019 erano stati sottoscritti 85 Accordi di programma per un importo pari a 12,5 miliardi. Insomma, poco più della metà.
 
Sono infatti numerose le regioni che non hanno ancora definito progetti di intervento per una quota significativa delle risorse destinate: è il caso dell’Abruzzo che ha attivato solo il 36 per cento dei fondi, del Molise il 21 per cento, ma anche della Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna tutte al di sotto del 60 per cento ed infine il Lazio che ha sottoscritto accordi per il 75 per cento. Va poi considerato che, sottoscritto l’Accordo, la Regione o la Provincia Autonoma, verificata l’appaltabilità degli interventi in esso previsti, chiede al Ministero della salute l’ammissione a finanziamento; a partire da questa, le risorse statali sono effettivamente erogabili dal Ministero dell’economia e delle finanze, detentore del capitolo di spesa. Per il Lazio e, soprattutto, la Campania le risorse ammesse a finanziamento sono ancora una quota limitata di quella prevista dagli accordi: nel caso del Lazio il 72,7 per cento e per la Campania solo il 31,1 per cento.
 
1,5 mld di risorse revocate. Ma oltre alle lungaggini del sistema la Corte dei conti evidenzia come “nella valutazione sullo stato di attuazione è da tener conto che la legge 266/2005 ha disposto la risoluzione degli accordi di programma, con la conseguente revoca dei corrispondenti impegni di spesa, per quella parte di interventi la cui richiesta di ammissione al finanziamento non risulta presentata al Ministero della salute entro trenta mesi dalla sottoscrizione degli accordi medesimi. Nel 2019 sono stati revocati investimenti per 76,8 milioni, portando il totale delle somme revocate a circa 1.445 milioni”.
 
Ritardi nell’attuazione si registrano anche per interventi minori. È il caso, ad esempio, dei finanziamenti per la Libera professione inframuraria disposti dalla legge 388/2000. Dei 79,3 milioni destinati alla Campania e dei 19 dell’Abruzzo risultano autorizzati, rispettivamente, il 49,5 e il 53,4 per cento. Per la prevenzione incendi, la progettazione, la costruzione e l’esercizio delle strutture sanitarie pubbliche e private, sempre a fine 2019, dei 90 milioni ripartiti ne erano state ammesse a finanziamento 58,6. Del “Programma di investimento per la riqualificazione dell'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani”, per il quale era previsto un finanziamento di 1,2 miliardi, a 20 anni dall’avvio sono stati erogati solo il 73 per cento dei fondi. I fondi disponibili sono tutti in perenzione amministrativa (314,7 milioni).
 
I ritardi nella fase di realizzazione sono dovuti a modifiche nelle scelte progettuali. Tra gli interventi di grande rilievo a livello regionale programmati, ma ancora da realizzare, il rifacimento del Policlinico Umberto I a Roma e il nuovo ospedale Galliera a Genova. Ancora in corso di valutazione i progetti per la riqualificazione e l’ammodernamento tecnologico dei servizi di radioterapia oncologica di ultima generazione nelle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna, con particolare riferimento all’acquisizione di apparecchiature dotate di tecnologia robotica o rotazionale a cui il d.l. 243/2016 riservava una quota pari a 100 milioni delle somme per gli Accordi di programma.
 
Il fabbisogno attuale per rinnovare il parco sanitario italiano è di 32 miliardi. A tanto ammonta il fabbisogno per interventi in infrastrutture da realizzare sull’intero territorio nazionale (disomogeneo sia per classificazione sismica, sia per vincoli storico-artistici, e altresì per caratteristiche impiantistiche e strutturali degli immobili). Ma a fronte di ciò la disponibilità attuale è di circa 22 miliardi di cui, in base ai nuovi criteri di classificazione sismica, 12,4 miliardi dovrebbero essere destinati alle aree più critiche. Insomma, come rimarca la Corte, le risorse sono già poche e tra l'latro non vengono neanche spese tutte.
 
Inoltre, la Corte sottolinea anche “l’esigenza per investimenti in tecnologie sanitarie”. La rilevazione effettuata con le regioni sul fabbisogno per il triennio 2018-2020 ha riguardato il numero di sistemi che si intende acquisire sia come nuove acquisizioni (per potenziare l’offerta) che come sostituzioni per obsolescenza, per i quali non si dispone delle relative risorse finanziarie. Il fabbisogno complessivo finalizzato al piano di rinnovo e potenziamento delle tecnologie è risultato di oltre 1,5 miliardi in relazione a 1.799 macchine. Si tratta di 1.401 macchine da sostituire per una spesa di oltre 1,1 miliardi e di 398 nuove tecnologie da acquisire per il potenziamento del parco tecnologico per una spesa di 405,3 milioni”.

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