quotidianosanità.it
stampa | chiudi
Venerdì 19 GIUGNO 2020
Covid. Sondaggio Omceo Brescia: tamponi quasi solo in ospedale, pochissimi quelli sul territorio. Bocciata la gestione della Regione
La difficoltà a fare diagnosi tempestive (con tamponi e sierologia) per i medici di famiglia, la mancanza di dispositivi di protezione individuale e l’assenza di chiare indicazioni cliniche sono stati gli elementi di maggiore criticità nella gestione dei pazienti. Per il 72% dei medici la principale fonte di informazioni è stata la discussione tra colleghi. Quasi la metà dei camici bianchi ha dichiarato di aver avuto sintomi ascrivibili al Covid. Questi alcuni risultati di un sondaggio online che ha coinvolto 1.841 medici bresciani.
La difficoltà a fare diagnosi tempestive (con tamponi e sierologia), la mancanza di dispositivi di protezione individuale e l’assenza di chiare indicazioni cliniche sono stati gli elementi di maggiore criticità nella gestione dei pazienti Covid -19. La principale fonte di informazione è stata la discussione tra colleghi e viene bocciata la gestione da parte della Regione Lombardia. Promossi invece gli ospedali. Sotto il profilo psicologico, oltre allo stress emergono impotenza, tristezza e paura.
Questi, in sintesi, i risultati principali di un'indagine online condotta dall'Omceo di Brescia che ha coinvolto complessivamente 1.841 medici (vedi nota di sintesi).
Il sondaggio ha ottenuto un riscontro molto significativo, con la partecipazione complessiva di 1.841 medici, pari al 24,2% dei 7.621 iscritti. Il 28,7% del campione è rappresentato da medici dipendenti pubblici, il 7,2% da medici dipendenti di strutture private, nel 29,4% si tratta di liberi professionisti, nel 15,7% di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Fra gli intervistati si registra la parità di genere, mentre il maggior tasso di risposta interessa le fasce di età fra 51 e 64 anni e fra 36 e 50 anni.
Il coinvolgimento clinico e la gestione dei pazienti. Il coinvolgimento dei medici è stato intenso, con un contatto precoce con i pazienti, fin dalle prime fasi della diffusione della malattia. Quasi il 60% dei medici intervistati ha trattato un numero significativo di casi Covid-19 (almeno 30). Nello specifico tra i medici ospedalieri pubblici e privati il 47% ha trattato più di 60 pazienti, mentre il 67% dei medici di famiglia si è fatto carico di oltre 30 pazienti (e il 12% oltre 100).
I tamponi. I medici di medicina generale hanno avuto la possibilità di sottoporre a tampone nasofaringeo a scopo diagnostico solo una parte limitata di casi: circa la metà dei medici di famiglia (44%) dichiara che solo una quota tra il 10 e il 30% dei pazienti ha avuto accesso al tampone, mentre per il 21% la situazione è stata peggiore, con meno del 10% dei pazienti esaminati con test nasofaringeo. Tra i pediatri di libera scelta la situazione è ancora peggiore, con il 43% che non ha potuto sottoporre a tampone nessun paziente e il 38% meno del 10% dei pazienti.
Sembra che i tamponi siano stati sostanzialmente circoscritti ai pazienti che hanno avuto accesso alle strutture ospedaliere: il 74% dei medici che lavorano in ospedale dichiarano che il tampone è stato eseguito su tutti i pazienti.
Gli ostacoli incontrati. La difficoltà a fare diagnosi tempestive (con tamponi e sierologia), la mancanza di dispositivi di protezione individuale e l’assenza di chiare indicazioni cliniche sono stati gli elementi di maggiore criticità nella gestione dei pazienti Covid -19. In particolare, per i medici ospedalieri ha pesato l’eccessivo carico di pazienti e il conseguente poco tempo da dedicare ad ognuno, insieme alla mancanza di chiare indicazioni cliniche, mentre per i medici di famiglia e i pediatri la difficoltà a fare diagnosi e la mancanza di dispositivi di protezione sono stati i fattori più problematici.
Davanti a una malattia nuova e sconosciuta, in assenza di linee guida e indicazioni cliniche precise, la principale fonte di informazioni per i medici è stata la discussione e il confronto con i colleghi (determinante per il 72% degli intervistati).
Responsabilità professionale. Per il 92% degli intervistati è necessaria una copertura legislativa sulla responsabilità professionale nella gestione clinica dei pazienti Covid-19 (di questi il 50% ritiene che debba essere riservata solo al personale sanitario, il 42% che vada estesa anche a chi ha gestito gli aspetti organizzativi e amministrativi).
La gestione della crisi e il ruolo delle istituzioni. Per la stragrande maggioranza dei medici intervistati (83%) coinvolti nell’emergenza la gestione della crisi a livello istituzionale (Regione, ATS) è stata poco adeguata o del tutto inadeguata: nello specifico il 49% ritiene che il sistema non sia stato governato e il 34.6% che la gestione sia stata poco adeguata e che si poteva fare di più.
La mancata possibilità di identificazione/diagnosi dei casi sospetti al domicilio, l’assenza di coordinamento fra i livelli istituzionali e la carenza di chiare indicazioni operative sono gli errori più rilevanti denunciati dai medici.
Bene invece gli ospedali: secondo l’81% degli intervistati gli ospedali hanno saputo svolgere il loro compito gestionale nella fase dell’emergenza, con un fattivo coinvolgimento dei medici di tutte le specialità.
I medici ammalati. Quasi la metà dei medici intervistati dichiara di avere avuto sintomi chiaramente o parzialmente ascrivibili a Covid-19: in particolare il 17,1% ha riscontrato sintomi inequivocabili dell’infezione, il 24,2% sintomi sospetti. Gli ospedalieri e i medici di medicina generale risultano tra i più colpiti.
Il 23,2% dei medici con sintomi chiaramente riconducibili al Covid non è stato sottoposto a tampone nasofaringeo, percentuale che si alza al 58% tra chi presentava sintomi sospetti. Il 6,6% dei medici con chiari sintomi del contagio dichiara di essersi dovuto arrangiare da solo per eseguire il tampone.
Le conseguenze emotive e psicologiche. Il 90% degli intervistati dice di essersi “sentito impotente di fronte a una malattia sconosciuta e grave”, il 54,6% dichiara “ho pianto, mi sentito svuotato e triste”, l’82,8% ha avuto “paura per me e per i miei familiari”. Il tutto solo in parte controbilanciato da sentimenti positivi: l’85,8% dichiara che “è stata una prova dura, ma mi sono arricchito sul piano professionale” e il 53% che “la fatica e l’impegno non mi sono pesati”. Va sottolineato come, al di là della retorica sui “medici eroi”, percepire la solidarietà e il rispetto della gente sia stato un fattore di incoraggiamento positivo per l’83% dei colleghi.
Le conseguenze continuano in ogni caso a farsi sentire: il 40,3% dichiara che ancora oggi fa “fatica a dormire e affrontare la giornata con serenità”.
I medici più giovani appaiono più fragili ed esposti ai sentimenti negativi come tristezza e paura, oltre che al peso della fatica e dell’impegno. Mentre le donne sono quelle che sentono maggiormente il senso di impotenza di fronte al Covid-19.
Il futuro. Per la stragrande maggioranza degli intervistati (76,7%) il futuro appare incerto, in assenza di sicuri elementi di conoscenza, ed è necessario prepararsi ad ogni scenario. Effettuare i tamponi a tutti i casi sospetti, anche al domicilio, è l’azione principale da mettere in campo per gestire la situazione sanitaria in futuro, secondo la quasi totalità del campione (93%). Altro miglioramento indispensabile è dare maggiori risorse ai medici di famiglia per la gestione dei pazienti al domicilio (DPI, infermieri di famiglia, ecc.), indicato dall’87% degli intervistati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA