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Sabato 27 GIUGNO 2020
Per la riforma dell’emergenza urgenza serve progetto condiviso no a proposte unilaterali



Gentile Direttore,
dobbiamo notare come, supportato da una singola società scientifica, la quale fornisce un punto di vista senz’altro rispettabile ma, nel contempo, ben lungi da poter essere ritenuto rappresentativo dell’intero corpo interprofessionale operante nell’emergenza urgenza, il M5S proceda nel proporre un disegno di legge, fino all’approdo in Commissione Sanità del Senato, che lascia perplessi sotto molti aspetti.
 
La struttura dipartimentale cui si fa riferimento, intanto, spalmata su un livello provinciale e regionale, ricorda più una di quelle strane entità, degne della prima Repubblica, colme di poltrone di dubbia utilità e di difficile integrazione, rispetto ad un sistema decisionale snello quale ad esempio un singolo dipartimento regionale che, a nostro parere, sarebbe certamente auspicabile, più utile operativamente e meno inutilmente dispendioso.
 
Colpisce poi il superamento “de facto” del sistema 112, con un balzo indietro di almeno un decennio, almeno per quanto concerne alcune zone della Nazione che lo hanno già implementato con successo, con una altrettanto fattuale violazione di quanto già prescritto dalla normativa europea in materia di istituzione delle CUR 112.
 
Evidentemente a ben altro pensava il legislatore europeo all’atto della scrittura di detta normativa.
 
Non necessitiamo, in primis come cittadini, di medici, o infermieri, spalmati a pioggia sul territorio a vicariare servizi che se pure esistenti non funzionano, e che si continua a non volere far funzionare, ma di medici specialisti che possano intervenire in situazioni di stabilizzazione avanzata di pazienti critici per i quali le procedure infermieristiche in uso, largamente sufficienti, come da letteratura, in più del 95% dei casi, non siano adatte a garantire la ottimale gestione del caso,  vedendo la necessità di un intervento in equipe multiprofessionale.
 
Necessitiamo di allargare a livello nazionale le esperienze di luoghi che hanno portato l’infermieristica ad esprimersi ad altissimo livello professionale e di autonomia e non, certamente, di livellare anche quelle esperienze verso il basso.
 
Pare di assistere, invece, ad un tentativo di resuscitare un modello vetusto e ormai largamente soppiantato da concezioni maggiormente performanti e sostenibili. Sistemi illuminati e moderni, come ad esempio quello Lombardo, Toscano o dell’Emilia Romagna, solo per citarne tre di molti, ormai da anni supportati da ampia letteratura scientifica e con solo pochi sparuti ed interessati detrattori, hanno già ampiamente tracciato la strada da percorrere.
Competenza e professionalità associate ad un percorso di studi dedicato, hanno identificato il professionista infermiere come risorsa da spendere sul territorio in maniera ampiamente strutturata.
 
L’evoluzione della normativa ha accompagnato nel tempo questa trasformazione. Una presenza, quella dell’infermiere, in una rete di soccorso che risponda per livelli ed intensità di assistenza. Esattamente il concetto che manca in questo disegno di legge.
 
Inutile parlare di continuità tra pronto soccorso e emergenza territoriale per i professionisti se prima non si decide come questi professionisti devono essere utilizzati nei settings nei quali li si va a collocare.
 
Mezzi con medico ed infermiere, almeno 1:60000 abitanti, inseriti senza tenere conto della tipologia dei luoghi e di molte altre variabili, da tenere in considerazione in fase di progettazione, potrebbero creare più difficoltà che soluzioni.
 
Quanti dovrebbero essere poi, in proporzione i mezzi infermieristici? Perché non lo si definisce? Questa avrebbe potuto essere una buona occasione per farlo, definendo finalmente quale deve essere il livello minimo di assistenza che si intende fornire all’utenza. Volontari? Infermieri?
 
Chi dovrebbe muoversi intorno a quella diade medico-infermieristica definita nel Ddl, in quali casi e con quali attribuzioni?
 
I mezzi di cui si parla troppo genericamente nel Ddl finirebbero, pure esprimendo un livello professionale nominalmente altissimo, per erogare una assistenza inadeguata, anche e soprattutto in termini di corretta e razionale allocazione delle risorse professionali, se non inseriti in una rete di soccorso estremamente ben strutturata e definita.
 
Unica nota positiva la richiesta di passaggio ad un regime di dipendenza per tutti gli operatori del SET 118. Questo è un passaggio che condividiamo in toto, soprattutto per eliminare lo sconcio, in primis professionale, a cui si assiste in alcune regioni, ma che da solo non può dare dignità ad un disegno di legge che andrebbe rivisto profondamente nell’impianto di base.
 
Una riforma è senz’altro necessaria, anche e soprattutto al fine di superare una varianza oggettivamente inaccettabile tra le varie aree del Paese.
 
Una riforma volta anche ad indicare, finalmente, il ruolo ricoperto dai professionisti sanitari nel sistema di emergenza territoriale, la mission del sistema, ormai largamente e colpevolmente  disattesa, ed i percorsi formativi richiesti ad ogni professionista per accesso e mantenimento del ruolo.
 
Auspichiamo però che l’eventuale proposta parta da una base condivisa tra la maggior parte degli attori del sistema, e non da una piccola parte di essi come in questo caso, basandosi su paradigmi ben più innovativi rispetto a quelli che si leggono in questo disegno di legge di cui non possiamo che sperare in un pronto ritiro, cui segua l’apertura di un confronto più ampio e con tutti gli attori coinvolti, associandoci a quanto già espresso dalla Presidenza di SIMEU.
 
Roberto Romano
Presidente Società Italiana Infermieri di
Emergenza Territoriale (SIIET)

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