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Lunedì 27 LUGLIO 2020
Incontinenza urinaria e bassa qualità di vita. Intervista a Nicola Veronese sui risultati di una meta analisi della Ulss 3 di Venezia

Un problema a prevalenza femminile che colpisce soprattutto gli over 65 generando ingenti problemi a livello fisico ma anche psicologico. La meta-analisi è stata condotta sulla popolazione a livello generale, con prevalenza in età geriatrica di cui circa i due terzi donne a conferma del fatto che l’incontinenza riguarda di più la popolazione femminile

Determinare l’impatto che l’incontinenza urinaria ha sulla qualità della vita. È questo lo scopo di una meta-analisi, attualmente in fase di revisione, condotta dal dott. Nicola Veronese, Medico Geriatra dell’Unità operativa complessa delle cure primarie presso uno dei distretti dell’Azienda Ulss 3 Serenissima di Venezia, il distretto di Dolo-Mirano, e colleghi, con il supporto incondizionato di Santex.
 
Lo studio, primo nel suo genere, è stato condotto su un ampio campione di persone e apre ulteriori scenari di analisi. Abbiamo chiesto a  Veronese di spiegarci in cosa consiste la meta-analisi e di illustrarci i risultati raggiunti.

Dottor Veronese, lei ha condotto una revisione della letteratura per valutare l’effettiva associazione tra incontinenza urinaria e scarsa qualità di vita. Può spiegarci quali studi sono stati presi in considerazione per vostra la meta analisi?
In questa meta-analisi abbiamo considerato studi osservazionali prevalentemente caso-controllo cioè quegli studi in cui i pazienti con incontinenza urinaria sono stati comparati con chi non aveva tale condizione, prendendo poi come variabile di esito la qualità di vita. Sono stati inclusi 23 studi per un totale di 24.983 persone di cui un terzo circa con incontinenza urinaria. La meta-analisi è stata condotta sulla popolazione a livello generale, con prevalenza in età geriatrica di cui circa i due terzi donne a conferma del fatto che l’incontinenza riguarda di più la popolazione femminile. Tra quelli presi in considerazione un solo studio è stato condotto in Italia mentre gli altri sono stati condotti tra Asia, Nord America, Oceania e altri Stati europei.
 
Quali risultati avete raggiunto?
La nostra meta-analisi dimostra che l’incontinenza urinaria è associata ad una bassa qualità di vita, soprattutto per quanto riguarda l’attività fisica. Questo risultato è spiegabile pensando che si possa avere una grande paura di queste perdite che va ad affliggere di più sia la componente fisica che la componente mentale entrambe importanti per la qualità di vita.
 
Quindi oltre all’aspetto fisico, anche la componente psicologica è molto importante…
Un dato largamente riportato in letteratura, ma che confermo anche io nella mia pratica clinica, è la vergogna soprattutto quando il soggetto è giovane o di mezza età, tra i 40 i 60 anni. L’incontinenza urinaria viene percepita come una difficoltà a socializzare e quindi a stare a contatto con altre persone.
Quali sono i punti di forza di questo studio e quali, invece, i limiti che si potrebbero tradurre in sviluppi futuri?
Un punto di forza importante è il largo campione incluso nello studio, ed il fatto che sia la prima meta-analisi sul tema. Tra i limiti invece, sicuramente il fatto che il campione fosse costituito quasi esclusivamente da donne, ma soprattutto il fatto che nella meta-analisi sono stati inclusi degli studi di caso-controllo in cui vengono paragonate persone con incontinenza e persone senza questa condizione. Serviranno quindi degli studi più sofisticati dal punto di vista metodologico proprio per vedere quanto impatto l’incontinenza urinaria ha sulla qualità di vita. Inoltre nessuno studio che abbiamo analizzato è stato condotto durante il periodo Covid e sarebbe interessante approfondire anche questo aspetto in futuro.
 
Quante persone soffrono di incontinenza urinaria nel nostro paese e quali fasce di popolazione sono interessate da questo problema?
L’incontinenza urinaria è sottoriportata proprio per la difficoltà a parlarne. È stato stimato che tra i 15 e i 64 anni vi sia una prevalenza negli uomini fino al 5% e nelle donne fino al 30%. Dai 65 anni in su questo dato aumenta in modo esponenziale, crescendo decade dopo decade. Tra l’altro si parla di incontinenza urinaria a livello di comunità ma se andiamo in altri ambienti che possono essere l’ospedale, la casa di riposo o altre strutture, abbiamo percentuali di incontinenza urinaria molto alte che sfiorando anche l’80%.
 
Quali strategie si potrebbero mettere in campo per migliorare la qualità di vita delle persone con incontinenza urinaria?
Diagnosi e presa in carico precoce soprattutto da parte di persone esperte in incontinenza, sono fondamentali. Soprattutto quando la persona è giovane e non ci sono altre comorbidità, come per esempio la demenza, serve che ci siano delle persone esperte che se prendano carico anche perché molte cause dell’incontinenza possono essere transitorie e potenzialmente reversibili. Ugualmente, se ci troviamo di fronte ad un caso irreversibile con un paziente geriatrico con demenza serve altresì un approccio specialistico multidimensionale tra medico geriatra, medico urologo infermiere e operatori socio-sanitari.
 
Quindi non basta il medico di medicina generale
Assolutamente no, serve sensibilizzare i colleghi della medicina generale per intercettare il problema dell’incontinenza ed in secondo luogo serve costruire una rete in modo che il paziente sia indirizzato dagli specialisti giusti al momento giusto. In ultimo, specialmente nelle forme più gravi, penso che sia molto importante un approccio specialistico multidimensionale al fine di identificare bisogni specifici del paziente e prescrivere l’ausilio più adatto al paziente giusto per migliorarne la qualità di vita.
 
Marzia Caposio
 

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