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Lunedì 07 SETTEMBRE 2020
Le sfide per una nuova medicina non sono iniziate con il Covid

In realtà le sfide preesistevano alla pandemia ma la società e i governi avevano deciso di far finta di niente; pochi protestavano inascoltati. Adesso i fatti costringono a riflettere e a prendere decisioni efficaci che, però, riguardano interventi diretti alla collettività e, per questo, talora imitativi della libertà individuale

"La clinica e l'igiene, costituenti insieme la Medicina Politica, cooperano alla soluzione dei più grandi problemi che si affacciano del pari alla mente del medico e del moderno uomo di Stato". La frase di Guido Baccelli apparsa sul "Lavoro" del 1/11/902 (citata da G. Cosmacini della sua "Storia della Medicina in Italia") introduce assai bene la riflessione sul momento storico della medicina che stiamo vivendo.
 
Ognuno sostiene che non si può e, più che altro, non si deve, tornare al passato e che la lezione da apprendere è di cambiare molte cose, rimediare a molti errori, garantire tuttavia i principi fondanti della sanità universale e pubblica, rinnovandola e rendendola adeguata alle sfide poste dalla pandemia.
 
In realtà le sfide preesistevano alla pandemia ma la società e i governi avevano deciso di far finta di niente; pochi protestavano inascoltati. Adesso i fatti costringono a riflettere e a prendere decisioni efficaci che, però, riguardano interventi diretti alla collettività e, per questo, talora imitativi della libertà individuale.
 
Sottesa a ogni considerazione giuridica sulla tutela dei diritti delle persone è la necessaria ricomposizione dei due aspetti fondamentali della medicina, quella clinica, individuale, e quella sociale, comunitaria o di popolazione, già ricongiunti nel dettato costituzionale: "la Repubblica", il potere pubblico che agisce nei liniti delle leggi, "tutela la salute" come "diritto dell'individuo e interesse della collettività"; diritti e interesse sembrano posti sullo stesso piano dalla congiunzione "e". Altresì l'individuo si connette con la collettività mediante la solidarietà la cui doverosità la stessa Costituzione sancisce.
 
La questione della medicina sociale si è posta nella storia della medicina con diverso vigore ma, da Ippocrate a Ramazzini a Virchow, la attraversa tutta. Negli ultimi decenni la medicina si è dedicata alla cura di target sempre meno numerosi con oneri sempre maggiori e i diritti dell'individuo hanno prevalso sul paternalismo ippocratico fino a giungere al trionfo della cultura dell'autodeterminazione. Il consenso informato è alla base della relazione tra medico e paziente che deve essere paritaria pur nel rispetto dell'autonomia professionale del medico.
 
Tuttavia i maggiori successi della sanità sono quelli sociali dei vaccini, della potabilizzazione dell'acqua, della corretta alimentazione insomma della prevenzione e della promozione della salute. Di fronte alle grandi scoperte della chimica e della fisica che stavano cambiando la metodologia clinica, alla fine del secolo XIX le vittorie della medicina sociale facevano sperare in un futuro volto al benessere di ogni uomo all'interno di comunità sane.
 
La pandemia ha richiamato con forza i problemi sanitari della collettività. La terapia, fermo restando la cura dei singoli pazienti, è quasi del tutto riposta nei provvedimenti di sanità pubblica. Nelle calamità non c'è altra strada, in attesa di un'altra terapia sociale, il vaccino.
Immaginiamo un medico che abbia in cura alcuni soggetti asmatici. Curerà ognuno di questi secondo le singole peculiari esigenze. Ma la preoccupazione per il continuo incremento dell'inquinamento atmosferico e i suggerimenti professionali per ridurlo, costituiscono parte integrante della terapia di quei singoli asmatici e, in quanto prevenzione collettiva, della comunità.
 
Siamo tornati ai concetti sostenuti da molti medici a fine ottocento, che la medicina clinica e quella sociale sono inscindibili e che la medicina tutta non può non essere politica. E una politica forte perché incide sull'economia; inoltre, secondo le più recenti tesi dell'OMS, la sanità non è che una faccia della sicurezza globale dei cittadini.
 
La medicina deve occuparsi sia di ambiente che di medicina collettiva prendendo coscienza di due questioni fondamentali: che la salute non può più essere meramente antropocentrica ma deve considerare in un’unica visione la biodiversità, il rispetto dell'ambiente, la vivibilità del mondo anche per le future generazioni; che la preparazione alle calamità, la promozione della salute, la medicina preventiva e sociale sono una delle facce della medicina moderna che deve trovare sintesi tra la tutela della salute individuale nel rispetto dei diritti inalienabili della persona e gli interessi della collettività.
 
La medicina deve recuperare una vocazione antropologica e sociale e una dimensione etica e politica che, per certo, non modifica in nulla la relazione col paziente quale base del ruolo di aiuto nella sofferenza. La pandemia, in conclusione, ha reso attualissimo e cogente l'articolo 32 della Costituzione. Il che poi dovrebbe favorire la sostenibilità del sistema salute e introdurre nel concetto sempre fondante della beneficialità una buona dose di equità e di giustizia.
 
La medicina non è soltanto storia della relazione coll'individuo e della tutela dei suoi diritti (la centralità del paziente) ma anche storia dei grandi interventi sociali che si fondano sulla centralità della comunità dei cittadini anzi dell'intera umanità. La sanità si volge alla tutela di un diritto individuale, la salute, ma funziona come bene comune perché fruibile da chiunque.
 
Tutto ciò purché si rispetti l'autonomia e la libertà della persona umana. Il rischio di TSO collettivi e di intollerabili limitazioni della libertà (pensiamo a chi è stato intubato a Bergamo e si è risvegliato in Germania) esiste, ma i limiti della libertà individuale rispetto ai valori della solidarietà - la fraternité - sono di pertinenza della buona politica, della costante verifica etica nonché della vigilanza democratica dei cittadini. Appartengono a questa categoria di problemi anche le decisioni in carenza di risorse, difficoltà che sempre più spesso si presenta nella medicina moderna.
 
Nella sanità quotidianamente vissuta occorre inoltre ben distinguere la lesione dei diritti umani per abbandono colpevole o inevitabile, sempre censurabile sul piano deontologico, dalle decisioni che possono condurre a un deficit di umanità o a una limitazione della libertà personale derivanti però da un superiore interesse quale la salute di tutti, purché tali obblighi rispondano a criteri di efficacia, di proporzionalità e di legalità e rappresentino un onere equo e tollerabile.
 
In conclusione la tensione tra "diritto" dell'individuo e "interesse" della collettività non può essere affrontata limitatamente all'episodio pandemico. Occorre collocare correttamente la questione: i cambiamenti climatici e la pervasività della moderna tecnologia hanno condotto a quello che ormai molti definiscono "antropocene", un'epoca caratterizzata dal dominio delle attività umane.
 
In siffatto profondo mutamento (Papa Francesco ha sottolineato che non viviamo in un'epoca di cambiamento ma in un cambiamento di epoca) emerge l’idea di una gestione “securitaria” della salute che ne inquadri i problemi tra le nuove ed emergenti minacce alla sicurezza collettiva poiché la diffusione di malattie infettive altamente patogene può minare le basi politiche, economiche e sociali degli Stati.
 
La sicurezza sanitaria è quindi una delle dimensioni della sicurezza umana. Diversi rapporti internazionali hanno definito l’interrelazione tra salute e sicurezza umana, includendo la sicurezza sanitaria tra le sette dimensioni della sicurezza umana, insieme con la sicurezza economica, la sicurezza alimentare, la sicurezza ambientale, la sicurezza personale, la sicurezza garantita dalla comunità e la sicurezza politica. Il rapporto OMS del 2010, Human Security, evidenzia l’impatto multidimensionale e transnazionale delle minacce sanitarie, riafferma l’approccio integrato che caratterizza la sicurezza umana, fa risaltare l’interconnessione e l'interdipendenza tra salute pubblica, sicurezza e diritti umani e riconduce la sicurezza sanitaria nella più ampia nozione di sicurezza umana. (1)
 
Infine oggi la frattura tra la storia politica e lo sviluppo tecnologico propende pericolosamente verso una sorta di autonomia della tecnica che sembra apprestarsi a sovrastare l'uomo. Occorre sfruttare la tecnologia per ricondurne l'uso ad un rinnovato umanesimo nel quale il rispetto della persona si manifesti anche in quello della comune umanità.
 
Questa rinnovata visione di un'antica idea di medicina deve trovar posto in un rinnovato Codice Deontologico che copra alcune evidenti carenze fatte emergere dal covid. La medicina resta professione di aiuto a chi soffre tuttavia, se non vogliamo tornare come prima della pandemia, quando questi problemi erano conosciuti ma negletti, occorre rispondere alle grandi sfide del cambiamento climatico e dell'aumento delle disuguaglianze anche attraverso il completamento dell'attuale Codice Deontologico in una visione più ampia che, fatti salvi gli irrinunciabili diritti individuali, sul loro rispetto ponga le basi di una rinnovata alleanza tra medicina e società.
 
Antonio Panti

(1) Report of the Secretary-General Human Security, A/64/701, 8 March 2010; Report of the Secretary-General, Follow-up to General Assembly resolution 64/291 on human security, A/66/763, 5 April 2012; Report of the Secretary-General, Follow-up to General Assembly resolution 66/290 on human security, A/68/685, 23 December 2013.
 

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