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Martedì 08 MAGGIO 2012
Degenerazione maculare senile. Conferme per i rischi con l’off- label

Anche nei dati a due anni dello studio CATT la possibilità di eventi sistemici è maggiore con bevacizumab non autorizzato per uso oftalmico, ma usato fuori indicazione, rispetto a ranibizumab. Per il primo numerose segnalazioni nel mondo anche di infiammazioni e infezioni oculari.

Il trattamento autorizzato nella degenerazione maculare senile (DMS) di tipo neovascolare, il tipo più grave della malattia della macula retinica che porta spesso a cecità, è quello con l’anticorpo monoclonale ranibizumab, che blocca le forme biologicamente attive del fattore di crescita endoteliale (Vegf-a) aumentato in questa e altre patologie oculari. Il farmaco è stato sviluppato e formulato esclusivamente per l’uso oftalmico, a differenza di un altro anticorpo monoclonale nato come antitumorale che non è autorizzato per la DMS ma del quale si fa un uso “off-label” cioè fuori indicazione nella malattia, per una questione di costi. Entrambi agiscono sul Vegf e nella DMS sono iniettati per via intravitreale, ma si accumulano le evidenze che mettono in dubbio la sicurezza a livello sistemico del farmaco non autorizzato, in aggiunta alle numerose segnalazioni in vari paesi di gravi infiammazioni e infezioni.

Dubbi che trovano ulteriore conferma nei risultati a due anni dello studio CATT (Comparison of Age-related macular degeneration treatment trials), in accordo con i primi dati pubblicati un anno fa. Il completamento dello studio su 1.107 pazienti con DMS neovascolare mostra un rischio aumentato del 30% nel totale degli eventi avversi seri sistemici con bevacizumab in confronto a ranibizumab, dato simile al primo anno. Risulta per bevacizumab una maggiore frequenza di eventi aterotrombotici, emorragie sistemiche, insufficienza cardiaca congestizia, trombosi venosa, ipertensione e morte per causa vascolare; inoltre, come nei dati a un anno, un numero più elevato di disturbi gastrointestinali. “Ranibizumab ha un’azione diversa che influisce soprattutto sul profilo della sicurezza sistemica, per esempio è eliminato rapidamente dal circolo e questo riduce il rischio di eventi indesiderati” spiega Paolo Lanzetta dell’Università di Udine, nel collegamento in web conference con il congresso ARVO a Fort Lauderdale, in Florida, dove sono stati presentati i dati del CATT-2. Analisi retrospettive sull’ampio database Medicare e altri studi hanno in precedenza mostrato rischi di mortalità e di eventi come ictus emorragico superiori per bevacizumab non autorizzato rispetto a ranibizumab; più alto anche quello di infiammazioni oculari.

“Al di fuori degli studi clinici, anche nella pratica clinica  a livello mondiale ci sono numerose segnalazioni di endoftalmite e infezioni, anche gravi, nell’uso oftalmico non approvato di bevacizumab” aggiunge. Il rischio oculare si lega sia al fatto che questo farmaco  non è disegnato e formulato per l’uso oftalmico, sia che è in fiale il cui contenuto viene frazionato in più dosi per diverse iniezioni, con conseguenze sulla stabilità e sul pericolo di infezioni. “I pazienti dovrebbero venir informati sui rischi a livello sistemico e oculare quando sono trattati con un farmaco off-label come bevacizumab” conclude Lanzetta. Bevacizumab d’altra parte non è autorizzato in nessun paese per qualsiasi patologia oculare, mentre ranibizumab lo è per la DMS neovascolare (o umida) in 100 paesi e in 60 anche per la diminuzione visiva da edema maculare diabetico e nell’edema maculare da occlusione venosa retinica. In Italia ranibizumab è autorizzato e rimborsato per i pazienti con DMS età-correlata con acuità visiva uguale o superiore a due decimi, il costo di una fiala è di 1.100 euro; l’azienda ha fatto un accordo con l’agenzia del farmaco Aifa di tipo “payment for result”.

Nel 2011 Novartis, che ha sviluppato ranibizumab con Genentech, ha lanciato il programma Luminous che punta a reclutare più di 30.000 pazienti nel mondo per aumentare le conoscenze sulle malattie oftalmiche e sull’uso del farmaco nella indicazioni autorizzate. Tra gli studi che porteranno ulteriori elementi in tal senso il trial IVAN, della durata di due anni e ancora in corso, i cui risultati saranno pubblicati l’anno prossimo con un rapporto anticipato online.

E.V.
 

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