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Venerdì 25 SETTEMBRE 2020
Il dibattito sull’Ebm. Le ragioni dell’etica
Proseguiamo il dibattito sollevato dall'ultimo libro di Ivan Cavicchi sulle evidenze scientifiche in medicina con Maria Teresa Iannone: “Le scelte operative, per quanto espresse tecnicamente e schematicamente, devono sempre scrutare il senso sotteso alle dimensioni immateriali ed intangibili del lavoro di servizio, dando a queste, nell’operatività, visibilità e riconoscibilità”.
Nel panorama della letteratura che si occupa della riflessione in ambito sanitario appare un nuovo volume, “L’evidenza scientifica in medicina”, un’opera di alto livello, soprattutto nello stile pregevole contraddistinto da organicità e chiarezza.
Ivan Cavicchi realizzando un testo capace di esprimere globalmente e metodologicamente il suo pensiero sviluppato in anni di riflessione, ha saputo cogliere ancora una volta con competenza e passione, una caratteristica peculiare del mondo sanitario che purtroppo spesso è vittima di interpretazioni riduzionistiche: la complessità.
Leggendo si evidenzia in modo chiaro a chi scrive, l’improcrastinabile necessità di una forte messa in discussione dell’approccio al malato verso l’imprescindibile predisposizione al cambiamento che ricrei epistemologicamente le basi su cui ricostituire un’organizzazione sanitaria moderna. Va affrontata con coraggio la sfida di un ripensamento antropologico della Medicina, che da una parte faccia tesoro dei traguardi raggiunti proiettandoli nel futuro con un utilizzo eticamente orientato delle nuove tecnologie - oggi sempre più artificialmente intelligenti - che, in caso contrario, rischierebbero l'appiattimento delle relazioni, e dall'altra riscopra la sua arte superando le limitazioni derivate dall'aver perso di vista la "singolarità".
Emerge, nella complessità della responsabilità delle scienze bio-mediche e dei propri sistemi di valutazione che pongono nuovi interrogativi sulle certezze dell’attività e della cultura medica, l’esigenza di mediare tra le risultanze della medicina basata sulle evidenze e la capacità morale individuale, per creare un equilibrio tra le istanze e consentire alla complessità di non essere annullata ma assunta, compresa e governata. Il grande rischio, altrimenti, risulta quello di operare una netta separazione tra evidenze da un lato, e valutazioni personali dall’altro quasi come se queste ultime possano essere intese come una semplice accezione morale destinata a derive individualistiche e spesso utilitaristiche.
Predisporre, invece, le ragioni della scienza alla dimensione antropologica, orientando il cammino delle innovazione tecnologiche al servizio dell'uomo, può aiutare a superare la disarmonia tra sapere e comprendere, lì dove il progresso scientifico ci pone di fronte all’elevato rischio di una spersonalizzazione dell’assistenza medica sempre più sommersa di informazioni, tradotte a volte in un linguaggio ambiguo.
Aristotele, nell’Etica Nicomachea, affermava che “bisogna che sia determinata qual è la retta ragione e qual è la misura che la definisce”: per evitare, però, di confondere una scelta o una decisione razionale con il mero “arbitrio” dell’evidenza scientifica, bisogna ricercare il significato profondo della recta ratio che non può essere meramente un criterio di azione/valutazione ma deve rappresentare una vera e propria virtù, una disposizione interiore su cui attuare la complessità della valutazione.
L’equilibrio si realizza quando il punto di vista della singolarità non rappresenta più un azione di mediazione ma, più radicalmente, il giusto punto di prospettiva decisivo per la costruzione del sapere scientifico verso quelle verità “inderivate” in quanto dedotte da principi speculativi, sintesi tra evidenti e indimostrabili. L’intelligenza può operare solo in un momento successivo a quanto “percepito”, osservando che il ragionamento pratico non inizia conoscendo la natura umana dall’esterno ma sperimentandola.
Se l'etica è la volontà di vivere cercando il buono e il giusto, per farlo è necessario conoscere a fondo il mondo in cui ci muoviamo, in tutta la sua complessità e nei limiti che ne contraddistinguono gli approcci di valutazione. Per sapersi muovere nel mondo della salute è necessario dare corpo alla complessità della verità e, come diceva Paolo di Tarso, “non intratur in veritate nisi per charitatem”, non si entra nella verità senza l’amore; i migliori risultati si ottengono amando gli obiettivi. Ogni obiettivo può trasformarsi in un oggetto d’amore se ci impegniamo nella realizzazione di progetti tanto relazionali, quanto formativi e organizzativi da cui far emergere e crescere il nostro modo di essere e di porci di fronte “all'altro”.
Ma attenzione, non bisogna confondere tale prospettiva con un mero sentimentalismo da richiedere agli operatori; la responsabilità professionale richiesta a chi opera nel complesso mondo della salute, fa già ben riferimento ai concetti di diligenza, perizia e prudenza mancando i quali si connotano le caratteristiche della colpa intesa in senso penale. E tali concetti altro non sono che virtù: se la prudenza - scientia bene agendi – nasce dalla cultura, dalla specifica preparazione e dall’esperienza formando quella disposizione intellettuale per la quale, nelle singole situazioni, l’uomo responsabile sa scegliere ciò che è bene e adattarvi i mezzi e la perizia aggiunge al sapere il saper fare, la diligenza deriva il suo significato da diligere, amare, avere caro, apprezzare. Soltanto amando ciò che si fa, avendo interesse per ciò che si compie, l’attenzione è vigile e pronta ed è facile non solo evitare quelle distrazioni, quelle mancanze che possono costituire la base della colpa ma predisporsi a calare nella singolarità, la complessità dell’approccio scientifico.
Tale approccio può essere possibile solo presupponendo che la salute non sia un mero fatto biologico bensì un valore e che il parametro guida dell'efficacia possa essere valutato solo a partire da un concetto ontologico di "salute" senza il quale non sarebbe possibile stabilire nessun endpoint.
Per raggiungere questo grande traguardo, razionalità e coscienza personale devono vivere in amicizia per permettere alla prima di richiamare sempre la coscienza all’orizzonte di senso che le è proprio, e consentire alla coscienza di illuminare la recta ratio mettendo in luce il suo fondamento. Al sistema sanitario compete di trovare gli elementi di traslazione e proponibilità nell’ambito del comportamento organizzativo e delle pratiche lavorative e professionali; riuscire a legare la competenza tecnica al profilo umano, etico e deontologico permette poi di non dimenticare in nessun passaggio di essere al servizio della persona, considerando l’importanza delle relazioni e diventando una qualità autentica in grado di tradurre in gesti efficaci questa sua primaria responsabilità.
Va recuperata, quindi, come ho avuto già modo di esprimere, la dimensione della relazione in tutte le sue espressioni perché solo in questo modo si può ricostruire lo spazio ermeneutico in grado di comprendere la distanza tra medico e paziente. Distanza che, in modo prospettico, si pone non come freddezza ma come soglia di interpretazione: l’altro è conoscibile solo in uno spazio in cui la distanza non è prodotta dall’attività del soggetto interpretante ma si pone come qualcosa di dato.
L’interpretandum è colto dove esso già è, conservando, in questo modo, la sua vera ed originale autonomia. E’ la distanza, quindi, il vero campo della relazione che non esiste senza alterità e dove l’alterità non esiste senza relazione. E’ in quello spazio che si pongono e devono svilupparsi le valutazioni basate sulle evidenze che non può, quindi, e non deve rappresentare solo uno scambio sterile di informazioni, una acquisizione teorica di nozioni concrete a cui non dare lo slancio della riflessione, lo spazio umanizzante della partecipazione.
Relazione, però, anche tra dimensione giuridica e organizzativa e tra management e operatori, per favorire percorsi di conoscenza. E’ una questione di metodo e di consapevolezza che può consentire di assumere il ruolo che si rende necessario per facilitare l’incontro tra organizzazione e umanizzazione facendo entrare nella logica di sistema la responsabilità di comprendere che nel lavoro di ognuno si connota la qualità del lavoro e della vita degli altri.
Purtroppo i conflitti sempre più emergenti nel contesto di una medicina troppo difensiva e sempre meno accogliente mostrano la perdita di vista della scala dei valori che mettano in evidenza che il paziente prima ancora di essere malato è una persona; questo deve essere interesse tanto dell’operatore quanto di chi governa il sistema anche se molti operatori, sanitari quanto amministrativi, precipitano invece nell’ignoranza quando dimenticano che la comprensione non esiste al di fuori dell’interesse, che l’interesse non può esistere separato da un legame, e che questo non si costruisce quando il rapporto tra operatore e paziente è un rapporto di incuria della reciprocità.
Per dare un senso proprio alla complessità di un cui calare la EBM, è necessario che il sistema sanità - e in esso chi lo gestisce - non abbia paura, che all’interno di esso ci siano operatori che abbiano ben presente che il binomio economia ed etica possa essere al servizio della clinica; e che sia loro consentito di esprimere la loro percezione della verità che vivono e che sentono attorno ad essi. Le scelte operative, quindi, per quanto espresse tecnicamente e schematicamente, devono sempre scrutare il senso sotteso alle dimensioni immateriali ed intangibili del lavoro di servizio, dando a queste, nell’operatività, visibilità e riconoscibilità.
È necessario porre l’operatore della salute in una prospettiva comunicativa nuova in perfetta integrazione tra conoscenze, esperienza pratica e sensibilità che ci impegna professionalmente e umanamente. Questo libro potrà avere un ruolo importante per il lavoro quotidiano di molti medici; ma è un libro interessante anche per tutti coloro, operatori sanitari e non, che volessero approfondire il tema della complessità del mondo sanitario.
Maria Teresa Iannone
Responsabile del Servizio di Bioetica ed esperta di diritto della protezione dei dati personali, Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina
Leggi gli articoli precedenti di Gensini et al., di Manfellotto e di Mantegazza.
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