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Martedì 06 OTTOBRE 2020
La Cgil propone di aggiungere una “S” al Ssn: “Abbiamo bisogno di un Servizio socio-sanitario nazionale”. Le proposte del sindacato in vista della manifestazione con Roberto Speranza e Maurizio Landini

Pronti due documenti di indirizzo e proposta che presentiamo in anteprima ai nostri lettori in vista della manifestazione “Sanità pubblica e per tutti” promossa dalla Cgil confederale e dalla Funzione pubblica del sindacato di Corso d’Italia. Molte le proposte: dalla conferma e rilancio delle Case della Salute al potenziamento della prevenzione. Fino alla proposta di un nuovo Lea che garantisca livelli adeguati di spesa per il personale sanitario. I DOCUMENTI: CONFEDERALEFUNZIONE PUBBLICA

Il prossimo 10 ottobre la Cgil (nella sua componente confederale e quella della Funzione pubblica) ha indetto una manifestazione nazionale a Piazza del Popolo per illustrare le proprie proposte per la sanità con il segretario generale Maurizio Landini e il ministro della Salute Roberto Speranza.
 
Il sindacato arriva a questo appuntamento dopo un lungo lavoro di elaborazione che ha portato alla stesura di due documenti, uno della Cgil e uno della Fp Cgil, che puntano a un vero e proprio ripensamento degli attuali assetti del sistema sanitario con l’obiettivo di creare tutti i presupposti per un grande balzo in avanti del nostro Ssn che, secondo la Cgil, deve aggiungere una “S” alla sua ragione sociale trasformandosi in “Servizio Socio-Sanitario Nazionale”.
 
Per farlo la FP Cgil parla di un nuovo “New Deal per la Salute” riprendendo lo slogan lanciato nel 2006 dall’allora ministro della Salute Livia Turco che così titolo il suo programma di legislatura nel II Governo Prodi, lo stesso programma che lanciò le Case della Salute a livello nazionale, già allora in sintonia con il sindacato che infatti oggi rilancia questa forma di aggregazione per la medicina territoriale che viene ancora una volta individuata come la prima emergenza riformatrice per il nostro sistema di tutela della salute.
 
I due documenti del sindacato sono molto articolati ma con obiettivi molto chiari che troviamo in premessa nel position paper della FP Cgil:
• Rendere esigibile il diritto alla salute delle persone in ogni fase della propria vita
• Valorizzare il lavoro di tutte e tutti coloro, operatori e operatrici, che rendono questo
materialmente possibile
• Rendere il Servizio Socio-Sanitario Nazionale davvero Pubblico e Universale
 
Tre obbiettivi-slogan che nei due testi proposti alle istituzioni nazionali e regionali trovano la loro declinazioni in diverse azioni normative e organizzative da intraprendere per ridisegnare il nostro sistema sanitario nell’ambito di un più generale “welfare dei diritti universali”.
 
Ma andiamo con ordine. E’ soprattutto il documento della Funzione Pubblica Cgil a entrare nel vivo delle proposte per la sanità e si parte, come ovvio per un’organizzazione sindacale, dal lavoro.
 
Il rilancio del SSSN deve necessariamente ripartire dalla valorizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici” scrive la Fp Cgil che ritiene “indispensabile partire da un piano assunzionale straordinario, unitamente alla stabilizzazione dei precari, finalizzato a calibrare sul territorio nazionale i reali fabbisogni secondo standard collegati ai bisogni di salute”.
 
Ma per il sindacato non è solo questione di risorse: “Per rimettere al centro il valore del lavoro – si legge nel documento - oltre ad interventi di investimento economico, sono altrettanto fondamentali quelli sulla qualità dell’organizzazione del lavoro in una prospettiva di integrazione multiprofessionale che trovi declinazione anche nei contratti collettivi nazionali che devono contenere risposte alle esigenze di riconoscimento delle competenze maturate per formazione e per esperienza”.
 
E in questa prospettiva “è fondamentale il perseguimento dell’obiettivo di un’unica filiera contrattuale per le lavoratrici e i lavoratori alle dipendenze del SSSN (notare che nel documento si parla sempre di SSSN, con una “S” in più, ndr.) che riconosca competenze specifiche e responsabilità distinte”.
 
E poi per la Fp Cgil “non è più rinviabile una riforma complessiva dell’accesso ai corsi di laurea per tutte le professioni sanitarie e per le scuole di specializzazione, ad iniziare da una revisione del numero chiuso che è oggi causa di un imbuto formativo che mortifica i giovani aspiranti con le loro famiglie, ed è causa della grave carenza di personale formato”.
 
Nonché pensare a “una revisione complessiva dei vari sistemi di affidamento alle cooperative e alle associazioni non lucrative che operano nel settore socio-sanitario-assistenziale-educativo-privato, ponendo altresì criteri stringenti, per gli enti gestori, nell’applicazione dei ccnl sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ivi inclusi gli accordi di secondo livello territoriali”.
 
Fin qui il lavoro, ma fondamentali sono anche “i luoghi di cura” e per il sindacato bisogna ripartire dalla prevenzione rafforzando “i Dipartimenti di prevenzione con investimenti tecnologici e di personale che sono fattore determinante per garantire la massima apertura e la massima accessibilità ai cittadini”.
 
Ma senza maxi accorpamenti generali perché “il dimensionamento dei servizi dovrebbe tenere conto della composizione della popolazione in termini di età, vocazione produttiva (es. territorio ad alta densità di fabbriche piuttosto che territorio a vocazione agricola), impatto antropico in termini di inquinanti, e pertanto andrebbe calibrato su uno studio epidemiologico e non soltanto dimensionale”.
 
Seconda priorità sono i “luoghi del soccorso e dell’emergenza” con l’obiettivo di una piena omogeneizzazione del sistema di emergenza urgenza: “Modelli organizzativi e gestionali diversi ed il ricorso alle forme di lavoro precarie e/o non contrattualizzate determinano una disomogeneità inaccettabile nei livelli essenziali di assistenza e un quadro di tutele variabili non più accettabile per operatori e cittadini”.
 
Omogeneità anche per i mezzi di soccorso “in termini di garanzia minima di equipaggio al fine di garantire equità di trattamento ed omogeneità di competenze ed efficacia dell’intervento” tenendo conto che “la carenza cronica dei medici di emergenza urgenza rende necessario affrontare in questa fase il problema della appropriatezza di intervento (…), tenendo rpesente, d’altro canto, che “il personale infermieristico ha acquisito una professionalità tale da condurre in autonomia gli interventi di stabilizzazione del paziente per una gran parte delle casistiche”.
 
E poi i “Distretti”. Per la Fp Cgil, “occorre implementare ulteriormente i LEA affinché i Distretti tornino alla loro funzione originaria, innovandola, su tutto il territorio nazionale e dando immediatamente seguito agli impegni previsti nel Patto per la Salute 2019/21 sui livelli e sui servizi essenziali nel territorio, prevedendo, esplicitamente, parametri uniformi su personale, servizi e strutture”.
 
“I Distretti Socio Sanitari, se potenziati – sottolinea il documento - possono svolgere un ruolo fondamentale sui determinanti di salute della popolazione e per la riduzione della componente privata della spesa sanitaria, aumentata esponenzialmente negli ultimi anni e principale indicatore delle diseguaglianze di salute in atto”.
 
E in questo ambito si conferma la scelta delle “Case della Salute” che “debbono diventare il luogo, aperto, identificabile, facilmente accessibile e fruibile H24, della presa in carico delle persone, nel quale si realizzino, con investimenti straordinari in personale e tecnologie, le proposte elaborate più di 15 anni orsono dalla Cgil, dallo SPI e dalla FP Cgil con i medici e gli operatori del comparto, aggiornandole e sviluppandole ulteriormente, partendo dalle migliori esperienze regionali fatte sino a qui”.
 
Va poi “ripensato profondamente il sistema della residenzialità extraospedaliera e dell’assistenza sociosanitaria residenziale e semi residenziale per la non autosufficienza e, in generale, per tutte le fragilità”.
 
Per la Fp Cgil, “l’emergenza pandemica ha reso evidente, nella sua drammaticità, l’insufficienza della componente sanitaria del sistema, il profondo squilibrio nel rapporto pubblico-privato, l’inadeguatezza dei requisiti minimi, da autorizzazione e accreditamento, di gran parte delle strutture, la carenza di organici, di formazione e di sistemi di prevenzione e protezione”.
 
“Criticità che non si risolvono con semplici linee guida, strumenti di scarso impatto sulle normative di autorizzazione e accreditamento che fanno capo alle regioni e province autonome e sugli accordi contrattuali coi gestori privati che ne conseguono”, ma che per il sindacato “necessitano di essere affrontate con strumenti più cogenti e uniformi sul territorio nazionale, soprattutto sul terreno degli standard assistenziali e delle garanzie per l’applicazione del CCNL”.
 
Per gli “ospedali”, la Fp Cgil pensa che, anche se “non si può tornare indietro nel tempo in tema di piccoli ospedali ad alto rischio di inappropriatezza, dall’altro è urgente una verifica ed un aggiornamento complessivo del DM 70/2015 che stabilisce vincoli rigidi sul numero di posti letto per abitante. Il nostro paese, infatti, è passato dai 3,9 posti letto/ab. del 2007 ai 3,2 del 2017, a fronte di una media europea che va dai 5 ai 5,7”.
 
Inoltre “è necessario riequilibrare il rapporto pubblico/privato in alcune regioni, sottoporre a verifica di appropriatezza, rispetto ai complessivi parametri del DM 70/15, anche la rete ospedaliera privata convenzionata e prevedere per tutte le regioni dei criteri omogenei di autorizzazione e accreditamento che tengano conto di standard organizzativi e assistenziali definiti in base alla complessità assistenziale”.
 
Il “come” fare tutto questo. Per la Cgil “l’applicazione dei modelli organizzativi per essere coerente alle specificità territoriali dovrebbe sempre essere preceduta dall’analisi dei contesti demografici, ambientali, sociali, culturali infrastrutturali e organizzativi. In questa direzione e con queste premesse è fondamentale il ruolo delle regioni e del sistema delle autonomie locali ma è altrettanto importante una regia forte e strutturata del Ministero della Salute e delle Agenzie da esso dipendenti, opportunamente rafforzate e riordinate”.
 
In questo quadro “il potenziamento dei servizi di igiene e sanità pubblica, oggi collocati nell’ambito dei Dipartimenti di prevenzione, deve essere il presupposto imprescindibile sul territorio, soprattutto attraverso le indagini e gli studi epidemiologici finalizzati all’individuazione dei bisogni di salute di una popolazione”.
 
E ancora, “non è più rinviabile una riorganizzazione complessiva dell’assistenza territoriale anche attraverso una riforma profonda e strutturale di tutta la medicina convenzionata della specialistica ambulatoriale, della Medicina Generale e delle Cure Primarie che dovrebbero rappresentare il primo vero avamposto strategico nella presa in carico della cittadinanza nel contesto di un sistema integrato e organizzato ed invece ancora oggi ne rappresentano il vero punto di fragilità e discontinuità soprattutto a causa dell’isolamento nel quale sono costretti ad operare i Medici di Medicina Generale”.
 
“Chi” deve fare. Per il sindacato “è urgente e necessario un ripensamento complessivo, a Costituzione invariata e con legislazione ordinaria, della governance complessiva del nuovo SSSN, in particolare, come sottolineato di recente dal Presidente della Repubblica, attraverso una revisione del ruolo, delle funzioni e delle procedure della Conferenza Stato Regioni, secondo un principio di leale collaborazione, in nome dell’Articolo 32 della Costituzione”.
 
Ai Lea è poi attributo il compito di sancire che la spesa per il personale diventi un vero e proprio livello essenziale di assistenza, “come parametro di valutazione e di garanzia per i livelli essenziali di assistenza dentro un sistema che, sia per il pubblico che per il privato accreditato, abbia al centro i criteri dell’appropriatezza delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie su tutto il territorio nazionale”.
 
Da riconsiderare poi gli accorpamenti delle aziende sanitarie. “Riteniamo necessaria e urgente – si legge nel documento - una riflessione e l’identificazione di parametri nazionali riguardo il dimensionamento ottimale delle aziende sanitarie in relazione ai compiti complessi ad esse attribuiti, per evitare che il processo, da qualche anno avviato, di una loro riduzione risponda più che a esigenze di riorganizzazione e innovazione solo a processi di traduzione operativa dei tagli, sicuramente non auspicabili”.
 
C.F.


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