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Martedì 06 OTTOBRE 2020
Covid. Speranza in Parlamento anticipa le nuove misure per frenare la seconda ondata

Il ministro della Salute oggi alla Camera (e poi al Senato) per illustrare la situazione della pandemia e anticipare i nuovi provvedimenti allo studio del Governo in vista della proroga dello stato di emergenza e delle prossime misure allo studio per contenere l'aumento dei nuovi contagi registrato ormai da alcune settimane. Oltre all'obbligo esteso a tutta Italia di indossare sempre la mascherina anche l'annuncio di maggiori controlli per far rispettare i divieti di assembramento già in vigore. Ma se questo non basterà potrebbero arrivare misure più dure.

Mascherine obbligatorie anche all'aperto e poi nuove misure per garantire il rispetto del distanziamento evitando gli assembramenti. Sono queste le due misure preannunciate questa mattina alla Camera (e poi al Senato), ma senza entrare nel dettaglio, dal ministro della Salute Roberto Speranza, in vista della prossima approvazione dl nuovo Dpcm prevista per domani sera. 
 
Confermata anche l'intenzione di prorogare al 31 gennaio 2021 lo stato di emergenza (è previsto già un Cdm oggi per varare la proroga), perché, ha detto il ministro, “l'emergenza non è finita, questa è la semplice verità con cui dobbiamo fare i conti e per noi è fondamentale mantenere quell'impalcatura istituzionale che abbiamo costruito in questi mesi”.
 
In sostanza, da quello che si è capito fin'ora, e una conferma viene anche da alcune indiscrezioni trapelate dall'incontro di ieri tra Speranza e le Regioni, al momento non ci saranno nuove strette sulle attività produttive, quindi niente nuove chiusure per ristoranti, bar, palestre, ecc, ma se la mascherina per tutti e i maggiori controlli sugli assembramenti non basteranno e i contagi continueranno ad aumentare, provvedimenti più restrittivi e di parziale "lockdown" dovremmo aspettarceli.
 
Di seguito l'intervento integrale del ministro Speranza.
 
"Onorevoli colleghi, considero ogni passaggio parlamentare un'occasione utile per un confronto e una condivisione di analisi, di scenario e anche di iniziativa rispetto a una vicenda epidemiologica che, come è sotto gli occhi di tutti, è in costante evoluzione. Ho sempre considerato fin dall'inizio - e lo considero oggi in maniera particolare - ogni momento di dialettica parlamentare un bene per la nostra democrazia.
 
Come sempre, come già fatto in altre occasioni, prima di arrivare a ragionare sulle valutazioni del Governo, in modo particolare rispetto al prossimo DPCM, così come previsto dalla normativa appena richiamata dal Presidente della Camera, cioè il decreto n. 19, che proprio quest'Aula ha inteso modificare indicando l'ipotesi di un confronto parlamentare preliminare a ogni adozione di DPCM, io vorrei, prima di arrivare a questa parte, offrire alcuni dati di scenario, perché poi ritengo che i numeri su cui ogni giorno ci confrontiamo siano l'elemento da cui far partire le valutazioni che poi ci portano ai diversi provvedimenti.
 
È sotto gli occhi di tutti che il quadro internazionale, il quadro europeo e anche il quadro nazionale, segnali oggettivamente una mutazione di fase rispetto ai mesi passati. Vorrei partire, dentro questo contesto, da alcuni dati di carattere internazionale. Il primo è quello del numero dei contagiati nel mondo, che è arrivato a superare il dato di 35 milioni e, come è noto, nei giorni scorsi il dato dei decessi avvenuti per via del COVID-19 ha superato ben un milione di persone (un dato assolutamente rilevante).
 
Poi, vorrei ricordare l'indicazione dell'ECDC, cioè il centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che ci offre settimanalmente un'indicazione di incidenza del virus nei diversi Paesi europei. Questa indicazione ci arriva attraverso un indice, un numero, che viene costruito sulla base dei contagi avvenuti in quel Paese in 14 giorni su 100 mila abitanti. Questo è un numero importante che ci consente di avere una prima fotografia di ciò che sta avvenendo in Europa.
 
Provo a citare velocemente questi numeri: la Spagna è a 319 ed è il Paese europeo con la maggiore difficoltà in questo momento; la Francia è arrivata a 246; l'Olanda a 243; il Belgio a 220; la Gran Bretagna a 163. L'Italia è in questo momento, dentro questo scenario che ho provato velocemente a indicare, al dato di 45, quindi un numero notevolmente più basso, in questo momento, rispetto agli altri Paesi europei.
 
In questi Paesi è del tutto evidente che siamo a un cambio di fase. Cioè, dopo una fase lunga in cui la tendenza dei Governi è stata quella di alleggerire le misure e di favorire le ripartenze della vita sociale, economica e produttiva, in questo cambio di fase in tutti i Paesi che ho elencato c'è, invece, un'inversione di marcia e, quindi, si ripristinano le misure restrittive che erano state in qualche modo caratterizzanti della fase precedente, cioè dei mesi di marzo, di aprile e di maggio.
 
La tendenza è una tendenza molto chiara che riguarda tutti i Paesi europei e che riguarda chiaramente anche il nostro Paese.
 
L'Italia sta meglio in questo momento - i numeri sono chiari - rispetto agli altri Paesi europeie, insieme alla Germania, è in questo momento tra i grandi Paesi europei quello che sta reggendo meglio questa seconda ondata, ma non dobbiamo farci alcuna illusione. Io vorrei su questo punto essere molto chiaro e molto netto: sarebbe sbagliato, profondamente sbagliato, immaginare, soltanto sulla base di questi numeri, di esserne fuori, cioè immaginare, ad esempio, che un grande Paese, un Paese importante come la Francia ha 17 mila casi in un solo giorno, che un Paese importante come la Gran Bretagna nella giornata di ieri fa riscontrare 12.500 casi e che noi, invece, siamo fuori pericolo. Sarebbe un azzardo, sarebbe un errore, sarebbe una valutazione priva di fondamento.
 
In queste ultime ore - lo avete visto - in alcune importantissime capitali europee si assumono provvedimenti coercitivi significativi. A Madrid e a Parigi ci sono tracce, diciamo, di nuove forme restrittive, in alcuni casi abbastanza vicine anche a ipotesi di lockdown.
 
Nella giornata di ieri, come è noto, il Governo francese ha disposto, per la città di Parigi, ad esempio, la chiusura dei bar, la chiusura delle piscine, la chiusura delle palestre, e io penso che noi dobbiamo essere pienamente consapevoli di quello che sta avvenendo, cioè che c'è una fase di peggioramento oggettivo e dentro questa fase di peggioramento c'è un Paese, come l'Italia, che sta un po' meglio rispetto agli altri, ma che da nove settimane, da ben nove settimane, ha una tendenza che va nella direzione di una crescita di questi numeri.
 
Io penso che questo sia l'elemento di partenza della nostra valutazione e c'è, in Italia, anche un altro elemento che vorrei subito mettere sul tavolo di questa discussione e riflessione parlamentare che io penso rappresenti una grande novità rispetto alla stagione della primavera e delle giornate difficilissime di febbraio, marzo e aprile: allora, il virus, nel nostro Paese, aveva colpito essenzialmente, prevalentemente, un pezzo di Italia geograficamente circoscritto, la Lombardia, prima regione ad essere colpita, e alcune province rilevanti, molto importanti, del nord del Paese; oggi, dentro questo secondo passaggio, c'è un elemento di novità rilevante, non c'è più una dinamica di territorialità, per cui c'è un pezzo di territorio pesantemente colpito e larga parte del resto del Paese sostanzialmente colpito in modo molto marginale.
 
Tra l'altro, permettetemi di ricordarlo, lo studio di siero prevalenza che noi abbiamo condotto grazie al lavoro dell'Istat e dei volontari della Croce Rossa ha segnalato nel mese di luglio questi dati con evidente chiarezza, la siero prevalenza in Lombardia è del 7 per cento, tutte le regioni del Sud in quello studio di luglio erano sotto l'un per cento, a dimostrare una fotografia di un Paese che aveva un'enorme differenza sul piano dell'impatto.
 
In questa seconda fase, non è più così; i numeri ci segnalano con grande chiarezza che la crescita è una crescita diffusa, generalizzata, che tocca tutti i territori anche quelli che erano stati risparmiati nella fase precedente e, quindi, nessuna regione e nessuna realtà possono sentirsi fuori dai rischi che tutto il Paese corre.
 
Questo ci porta a dire che c'è bisogno, più che mai, della massima attenzione in ogni angolo del Paese e questo mi porta a dire, da subito, che ci sarà bisogno in queste ore di ripristinare, come è stato già nei mesi precedenti, la massima condivisione nella relazione tra Stato e regioni; ieri sera c'è stata una riunione con i presidenti di regione e ce ne sarà un'altra successiva a questo momento di confronto parlamentare, prima della disposizione del nuovo DPCM.
 
Le regioni potranno naturalmente assumere misure più restrittive, ma è evidente che in questo tempo nuovo ci sarà bisogno di un livello di coordinamento molto più forte e molto significativo rispetto agli ultimi mesi.
 
Per essere ancora più chiari, io penso che l'Italia in questo momento abbia un piccolo vantaggio rispetto agli altri Paesi europei e lo dicono i numeri, numeri chiari che ho provato velocemente ad indicare e che sono appunto i numeri certificati dall'agenzia europea per la sorveglianza e il controllo delle malattie, l'ECDC, ma questo vantaggio non può essere sprecato, non possono essere vanificati il lavoro e i sacrifici di milioni di italiani che nei mesi più difficili ci hanno consentito, in primis con le loro abitudini e con i loro comportamenti, di piegare la curva.
 
In questo momento, il nostro lavoro è guardato anche con attenzione da altri Paesi del mondo; io sono, però, per una linea di grande prudenza, per mantenere i piedi per terra e per dare un messaggio molto chiaro a noi stessi e all'opinione pubblica del nostro Paese; i risultati ottenuti sono senz'altro figli del lavoro della nostra comunità nazionale, lo voglio ribadire anche qui, non è il risultato di una parte, non è il risultato del Governo o di una regione, ma è il risultato di tutta la comunità nazionale e, in primis, io penso, del nostro Servizio sanitario nazionale, delle donne e degli uomini del nostro Servizio sanitario nazionale che non smetteremo mai di ringraziare per il contributo fondamentale che ci hanno dato e ci stanno dando per reggere questa sfida dentro cui ancora siamo pienamente.
 
Però, la chiarezza deve portarci a questa valutazione e voglio essere su questo molto chiaro e molto netto: i risultati non sono risultati acquisiti, non sono acquisiti per sempre, la sfida è aperta e tutto si rimette in discussione ogni giorno.
 
Per questo bisogna insistere e continuare su quella linea della prudenza che io credo finora ci abbia guidato. È questa la ragione di fondo per cui il Presidente del Consiglio ha già annunciato pubblicamente che la valutazione del Governo va nella direzione di una continuità rispetto allo stato di emergenza fino al 31 di gennaio.
 
Io credo personalmente che questa valutazione sia semplicemente corrispondente allo stato reale del Paese; l'emergenza non è finita, questa è la semplice verità con cui dobbiamo fare i conti e per noi è fondamentale mantenere quell'impalcatura istituzionale che abbiamo costruito in questi mesi, questa impalcatura istituzionale che gravita attorno alla Protezione civile come soggetto fondamentale, ai suoi poteri di ordinanza, al commissario straordinario e al ruolo del Comitato tecnico-scientifico che ha aiutato con un ruolo importante di supporto il Governo, le regioni, persino i soggetti sociali, nell'individuazione di strade adeguate anche in questa stagione tutt'altro che facile di convivenza con il virus.
 
E io penso che questa impalcatura, pur nella difficoltà delle situazioni, pur nella complessità delle situazioni che evolvono di giorno in giorno, sia un'impalcatura che ha funzionato e che ci ha consentito evidentemente una maggiore rapidità di intervento dinanzi alle necessità che si sono presentate.
 
Anche qui mi sia permesso di dirlo, lo stato di emergenza in molte occasioni nella storia d'Italia è stato prorogato, dal 2004 ci sono state 154 dichiarazioni di emergenza e 84 di queste sono state rinnovate. Anche qui, con grande serenità, credo che dovremmo valutare la specificità di un'epidemia, anche rispetto a tutte le altre emergenze. Le emergenze con cui il nostro Paese ha tradizionalmente avuto a che fare - lo ricordo, 154 dal 2004 a oggi - erano mediamente eventi unici che si svolgevano dentro un arco temporale molto ristretto, molto determinato, penso all'ipotesi di un terremoto, penso all'ipotesi di un'alluvione, eventi che hanno un inizio e una fine, che si consumano in un ambito molto ristretto; qui, invece, siamo di fronte a una inedita realtà e cioè a un evento che è in qualche modo dinamico, che si protrae nel tempo, la cui prevedibilità è molto complicata, come ci dimostrano i fatti di queste ore.
 
Allora, io penso che nel prossimo DPCM, che è la ragione formale della mia presenza, sulla base della norma che è stata prima richiamata del decreto-legge n. 19, noi dobbiamo continuare su quella linea della prudenza che ci ha guidato finora, proprio sulla base delle valutazioni di fondo che ho velocemente provato ad offrirvi.
 
Dentro questo DPCM, che è in scadenza domani e che dopo il confronto con queste regioni dovrà vederci chiaramente approvarlo probabilmente già nella serata di domani, noi proveremo a confermare l'indirizzo del Governo, a confermare quelle misure essenziali che fin qui ci hanno consentito di provare a gestire la fase di convivenza con l'epidemia, ma provando anche a dare un segnale al Paese di primo rafforzamento di queste misure, un primo rafforzamento che è utile perché in sintonia con la tendenza epidemiologica di risalita dei casi che da nove settimane, come ho già detto, contraddistingue la situazione epidemiologica dell'Italia.
 
Tre regole fondamentali sono l'asse portante del DPCM che andremo a proporre al Parlamento,come stiamo facendo stamattina, e, poi, alle regioni nelle prossime ore.
 
Le tre regole che abbiamo chiesto con insistenza ai cittadini italiani di rispettare e che ci hanno consentito di gestire questa fase di transizione sono le seguenti: la prima, è l'utilizzo corretto delle mascherine, le mascherine sono uno strumento essenziale per contrastare la diffusione del COVID.
Noi, nel DPCM che ci accingiamo ad adottare, valutiamo l'estensione dell'obbligo dell'utilizzo delle mascherine anche all'aperto e diciamo con forza ai cittadini del nostro Paese che dobbiamo fare uno sforzo in più, perché, in ogni situazione in cui c'è il rischio di incontrare persone non conviventi, c'è la necessità di usare queste mascherine.
 
I dati della diffusione del contagio delle ultime ore, degli ultimi giorni, segnalano che la stragrande maggioranza di questi contagi avviene dentro relazioni consolidate delle persone, dentro relazioni amicali, dentro relazioni strette, dentro relazioni familiari. E quindi abbiamo la necessità di dare questo messaggio molto forte: quando si ha a che fare e si incontrano persone con cui non si convive, l'utilizzo della mascherina è il primo strumento essenziale. E per questo la proposta che noi facciamo e a cui stiamo lavorando è esattamente quella di estenderne l'utilizzo in maniera continuativa anche all'aperto.
 
Il secondo punto, la seconda regola essenziale che abbiamo imparato in questi mesi, è quella del distanziamento di almeno un metro ed è quella del divieto di assembramenti: sono norme già vigenti nel nostro Paese, che, però, dobbiamo rendere più esecutive possibili dentro questa stagione di ripresa del contagio e del virus; per questo noi lavoriamo nelle prossime ore, chiaramente con gli strumenti che sono a nostra disposizione, per aumentare il livello di controllo, perché gli assembramenti sono un rischio reale che non possiamo permetterci e che rischia di favorire un'ulteriore impennata della curva.
 
E ancora, il terzo punto, come è noto, ha a che fare con il rispetto delle fondamentali norme igieniche e, in modo particolare, con il lavaggio delle mani.
 
Su queste tre regole essenziali è costruito il DPCM che approveremo nella giornata di domani e permettetemi subito di dire che su queste regole essenziali c'è la piena condivisione di tutta la comunità scientifica mondiale. Anche qui, voglio dirlo con tutto il garbo possibile, ma sarebbe profondamente sbagliato dividersi su questo. Qui non c'entra la politica, non c'entra destra e sinistra, sono le indicazioni della comunità scientifica internazionale per provare a contrastare il virus e su questo credo che noi dovremo dare un grande messaggio di unità del nostro Paese.
 
Rispettare queste norme, rispettare queste regole fondamentali significa provare a tenere la curva sotto controllo e significa, di conseguenza, evitare una dinamica che può mettere in difficoltà il nostro Servizio sanitario nazionale.
 
Anche qui voglio dare alcuni numeri perché credo che i numeri siano importanti, i numeri del nostro Paese: in questo momento in Italia ci sono 58.900 persone che hanno riscontrato, registrato, la positività al Coronavirus; nel mese di agosto, il 6 agosto, quindi esattamente due mesi fa, le persone positive al Coronavirus erano 12.600, quindi in due mesi c'è un salto in avanti significativo, che non possiamo far finta di non vedere; le persone ricoverate con sintomi in questo momento, nelle nostre strutture sanitarie, sono 3.487; e ancora, le persone in terapia intensiva, a ieri sera, sono 323.
 
È chiaro che questi numeri, ad oggi, per come ve li ho velocemente indicati, sono numeri sostenibili per il nostro Servizio sanitario nazionale, che è un Servizio sanitario nazionale che ha dimostrato la sua forza, con le sue donne, con i suoi uomini, e su cui tra l'altro stiamo continuando ad investire risorse molto significative. L'ho ripetuto in varie occasioni: noi abbiamo messo più soldi in cinque mesi sul Servizio sanitario nazionale che negli ultimi cinque anni. Sul piano delle terapie intensive, come è noto, nel “decreto Rilancio” abbiamo fatto uno stanziamento che ci porterà a un più 115 per cento alla fine di questo percorso, rispetto al dato iniziale di posti letto disponibili.
 
Però, anche qui, la realtà va guardata per quello che è: è chiaro che rispetto ai giorni più difficili, quando avevamo 4 mila persone in terapia intensiva, averne 323 significa stare in una situazione che evidentemente è molto migliore rispetto a quella, però non possiamo anche in questo caso non vedere la tendenza: durante l'estate eravamo arrivati ad avere trenta persone in terapia intensiva, oggi siamo a 323 persone.
 
Questo significa che stiamo gestendo una fase di convivenza, ma che il virus c'è, circola e continua a mandare persone in stato di vera e significativa sofferenza. E quindi dobbiamo avere grande prudenza, grande attenzione.
 
E qual è la novità di fondo, l'altra grande novità di fondo di questa seconda ondata, che spiega almeno parzialmente anche i dati di impatto sul Servizio sanitario nazionale? L'altra novità di fondo ha a che fare con l'età mediana dei contagiati, perché nei mesi più difficili di marzo e di aprile, l'età mediana delle persone contagiate ha sfiorato i 70 anni, è stata sostanzialmente tra i 65 e i 70, in qualche giorno addirittura ha raggiunto, ha toccato i 70 anni.
 
Oggi, in questo momento, nell'ultima settimana, l'età mediana delle persone contagiate è di 41 anni, ed è chiaro che una persona più giovane è mediamente molto più capace di resistere, diciamo, alle evoluzioni più complicate che il virus può portare al corpo umano. Però, anche da questo punto di vista, c'è una tendenza che non può farci stare tranquilli, perché nel mese di agosto l'età mediana era, invece, 31 anni; quindi, anche sul piano dell'età c'è una tendenza che va nella direzione di un innalzamento.
 
E dovremo, in modo particolare in questi mesi difficili, tenere la massima attenzione possibile alle persone più fragili, agli anziani, a chi ha altre patologie. E dobbiamo stare attenti, in modo particolare, al contagio infra-familiare, perché, se l'età si è così alzata, è perché evidentemente è dentro le famiglie che dalle generazioni più giovani, almeno parzialmente, il virus è stato portato a generazioni che sono più avanti negli anni.
 
Ancora, in queste ore stiamo tenendo la massima attenzione sulla questione delle scuole: io credo che la riapertura delle scuole sia stata una scelta giustissima che le nostre istituzioni e la nostra comunità nazionale hanno condiviso; lo stesso Parlamento, insomma, in più atti di indirizzo aveva spinto il Governo ad accelerare la riapertura delle scuole e anche a seguirla con la massima attenzione. Io penso che sia ancora presto per un giudizio definitivo sulla capacità del Paese di reggere e di mantenere un livello basso del contagio nelle scuole, ma i primi dati, i primi numeri, che ieri il Ministro della pubblica istruzione ha voluto offrire anche all'opinione pubblica, segnalano un impatto in questo momento basso e una buona capacità di tenuta.
 
E di questo, permettetemi, voglio ringraziare tutta la nostra comunità nazionale, ma, permettetemi, in modo particolare gli insegnanti, il personale delle scuole, i presidi, che stanno facendo un lavoro inedito, un lavoro senza precedenti, oggettivamente, anche dentro questo lavoro di nuova connessione, a cui io credo molto, tra l'universo del Servizio sanitario nazionale e l'universo del sistema scolastico.
 
I casi ci sono, è evidente, i casi ci saranno ancora nelle prossime settimane; come è noto, in una parte del Paese le scuole hanno riaperto il 14 di settembre, ma in un'altra parte, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, soltanto nell'ultima decade di settembre, insomma, le scuole hanno riaperto, quindi valuteremo e monitoreremo passo per passo con molta attenzione.
 
I casi ci sono, ma i protocolli che abbiamo individuato, tra l'altro col voto unanime della Conferenza unificata, quindi di tutte le regioni, le province e i comuni italiani, in questo momento sono protocolli solidi che, se rispettati con rigore, possono, io credo, consentirci di gestire la partita decisiva delle scuole.
 
Ancora, stiamo rafforzando la nostra capacità di testing, che, come noto, è un'arma fondamentale per gestire questa fase di transizione. Abbiamo superato nei giorni scorsi la soglia dei 120 mila test al giorno, una soglia molto più alta rispetto a quelle che avevamo raggiunto in precedenza.
 
Quando sono stato in Aula l'ultima volta avevamo indicato in 100 mila la soglia record di quel momento, ora siamo arrivati a 120 mila, io credo che dobbiamo ancora lavorare per crescere e per rendere la nostra capacità di testing e di tracciamento la più forte, la più rapida e la più veloce possibile.
 
Oltre ai test molecolari classici, che rappresentano il gold standard, quindi il riferimento più solido per la diagnosi, abbiamo utilizzato, ormai dal 13 di agosto, a partire dall'esperienza degli aeroporti, i test antigenici. L'esperienza negli aeroporti è stata un'esperienza che abbiamo verificato per più settimane; ha dato risultati incoraggianti e, come è noto, con una circolare del Ministero della salute abbiamo allargato l'ambito di utilizzo dei test anti genici anche fuori dagli aeroporti, a partire proprio da quei luoghi dove è più indispensabile avere - diciamo - una capacità di testing molto rapida e molto veloce.
 
Sugli aeroporti tra l'altro un lavoro importante è stato fatto in questi mesi e continueremo a verificare ora per ora l'evoluzione epidemiologica di ogni singolo Paese e adattare anche le nostre scelte. Ci sono Paesi che oggi stanno meglio rispetto a mesi scorsi e Paesi che stanno peggio e quindi noi adatteremo chiaramente le misure del Governo anche rispetto al testing dei passeggeri in arrivo a seconda dell'evoluzione epidemiologica dei singoli Paesi.
 
L'auspicio è che oltre ai test antigenici si possa più presto anche arrivare ad un utilizzo significativo dei test salivari. I test salivari hanno un grande vantaggio: sono meno invasivi rispetto al tampone classico e quindi possono metterci in condizioni di un migliore utilizzo, in modo particolare rispetto ai più piccoli.
 
La mia opinione è che la scienza che è quella che di volta in volta ci fornisce strumenti nuovi - i test di oggi sono più rapidi e più affidabili di quelli di ieri, quelli di domani lo saranno molto probabilmente rispetto a quelli di oggi - la scienza io sono convinto che ci darà ben presto anche risultati incoraggianti sugli altri grandi fronti, che toccherò molto velocemente.
 
L'EMA, come è noto, cioè l'Agenzia europea del farmaco, ha iniziato formalmente - e questa è sicuramente una buona notizia - il percorso di validazione del primo vaccino Covid e questo primo vaccino Covid è proprio quello di AstraZeneca, il vaccino studiato ed elaborato dalla Università di Oxford, il cui vettore virale è fatto a Pomezia e il cui infialamento avverrà ad Anagni.
 
L'Italia è in prima fila dentro questa partita e deve continuare ad investire con forza. Quando, nel mese di giugno, abbiamo firmato con i governi di Francia Germania e Olanda l'intesa per i vaccini, l'alleanza per i vaccini, abbiamo “dato il la” ad un percorso che vede oggi la Commissione europea nelle condizioni di chiudere contratti con le principali agenzie farmaceutiche del mondo per provare ad assicurare la popolazione di tutti i Paesi europei rispetto ad un vaccino efficace e sicuro.
 
Se ne parla di meno ma un lavoro molto importante sta andando avanti anche sul terreno delle cure e, in modo particolare, le ricerche attorno agli anticorpi monoclonali stanno producendo risultati incoraggianti e anche da questo punto di vista l'Italia è in prima fila.
 
Nel decreto agosto che proprio in queste ore è in conversione - credo ci sia proprio stamattina un voto al Senato rispetto a questo provvedimento - abbiamo indicato 80 milioni di euro proprio per questo tipo di ricerca per il 2020 e 300 milioni di euro per il 2021. È chiaro che dentro questa sfida abbiamo una doppia esigenza: l'esigenza di correre, di essere veloci, di essere rapidi ma al tempo stesso l'esigenza di procedere con la massima sicurezza. Sono due gambe che dobbiamo assolutamente tenere insieme perché gli standard di sicurezza sono per noi decisivi e fondamentali.
 
Personalmente, io ho molta fiducia nel lavoro che la comunità scientifica mondiale sta mettendo in campo in questi mesi e sono sicuro che, alla fine, questo sforzo enorme di natura mondiale porterà i risultati che tutti noi aspettiamo. È chiaro che, però, c'è ancora bisogno di tempo - e qui vengo alla chiusura di questo mio intervento - abbiamo bisogno di tempo, avremo bisogno di alcuni mesi perché questi strumenti arriveranno, arriverà un vaccino sicuro e arriveranno cure efficaci.
 
Ma ci sono ancora dei mesi davanti a noi e questi mesi sono mesi non facili da gestire, sono mesi di resistenza, sono mesi in cui dobbiamo convivere col virus senza avere quegli strumenti che presto, ci auguriamo tutti, potranno arrivare.
 
Le armi che abbiamo sono quelle che abbiamo conosciuto in questi mesi: i comportamenti delle persone, le misure dello Stato e dei Governi regionali, il tracciamento (permettetemi di ringraziare i media, gli editori italiani, anche per il contributo importante che hanno dato a rafforzare la campagna per la app “Immuni”, che nelle ultime ore ha avuto un'impennata e che è uno degli strumenti che noi abbiamo in campo per rafforzare il tracciamento) e poi, naturalmente, il nostro Servizio sanitario nazionale che, dal mio punto di vista, è l'arma più forte che abbiamo.
 
Nei giorni scorsi sono stato in Commissione, prima alla Camera, poi al Senato - in Commissione Salute - per presentare un piano di rafforzamento, anche sulla base delle nuove linee di finanziamento europeo del nostro Servizio sanitario nazionale. Io credo che questa sia un'occasione da non perdere, una grande opportunità che ci lascia la lezione del Covid e, cioè, che sul Servizio sanitario nazionale dobbiamo ricominciare ad investire con tutta la forza che abbiamo.
 
E allora io voglio concludere con due messaggi finali. Il mio messaggio fondamentale è quello che dobbiamo alzare il livello di guardia, dentro la consapevolezza del fatto che il nostro Paese sta meglio rispetto ad altri Paesi europei; ma ora è indispensabile alzare il nostro livello di guardia.
 
Qui voglio dire due cose finali. La prima: la sicurezza sanitaria è la prima mattonella su cui costruire la ripartenza del Paese. Quando qualcuno dice, anche nel dibattito pubblico, che avere meno lacci, meno vincoli sanitari, ci consentirebbe di correre di più dice una cosa che dal mio punto di vista non è corrispondente alla realtà, perché un Paese può correre, può ripartire, può essere veloce solo se è in grado di vincere la battaglia sanitaria.
 
Dove si è più in difficoltà ci sono chiusure che ricadono poi sulla vicenda economica e dello sviluppo del Paese. E allora, io penso che dobbiamo svincolarci da questa vulgata e riconfermare, invece, la nostra linea essenziale, cioè che la battaglia sanitaria è la premessa per la vittoria anche della sfida economica e della ripartenza del Paese.
 
E poi un ultimo punto, anche qui con grande onestà: io penso che i prossimi mesi, proprio per le ragioni che ho provato ad elencare, non saranno mesi facili, saranno mesi di convivenza in attesa di questi vaccini, di queste cure.
 
Saranno mesi non facili e io penso che noi dobbiamo riprendere, dentro questi mesi non facili, e recuperare appieno lo spirito anche di unità, di comunità nazionale, che ci ha guidato nelle settimane più difficili; lo spirito di marzo e di aprile, quando il paese si è stretto a coorte, ha saputo percepire il senso di una sfida complicata che è arrivata su di esso e ha saputo essere unito, con il contributo di tutti, nessuno escluso.
 
Io penso che, in quei mesi più difficili - e concludo - l'Italia abbia dimostrato di essere un grande Paese. Penso che arriva il tempo in cui dovremmo dimostrarlo di nuovo. Grazie.
 
 

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