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Mercoledì 28 OTTOBRE 2020
Tumore al polmone. Le cure per il cancro devono essere riorganizzate (e non interrotte) con il Covid-19

Come cambiare modalità per continuare ad assicurare ai pazienti con tumore al polmone l’accesso alla diagnosi e al trattamento con immunoterapia nonostante la pandemia in corso. Questo il tema al centro del convegno online organizzato da Edra in collaborazione con AstraZeneca

“Il Covid-19 è stata uno tsunami per il mondo oncologico: per la prima volta dal 1993 abbiamo assistito a una forte impennata delle persone morte per cancro”.
Francesco De Lorenzo, Presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) e Past President dell’European Cancer Patients Coalition (Ecpc) descrive così il quadro che abbiamo di fronte per quanto riguarda il tumore.

“Questa seconda fase purtroppo, con la preoccupazione del contagio, presenta le stesse criticità dei mesi scorsi, nonostante le precauzioni assunte in questo periodo – continua – È pertanto necessario non limitarsi più a provvedimenti estemporanei e occasionali ma occorre una strategia complessiva per l’oncologia, che tuteli nel tempo tutti i diritti dei malati di cancro, nonostante la pandemia”.

De Lorenzo ha partecipato al convegno online “iCube – Comunicare il valore dell’innovazione nella cura del tumore al polmone”, organizzato da Edra in collaborazione con AstraZeneca lo scorso 21 ottobre. L’incontro ha affrontato proprio il tema della presa in carico dei pazienti oncologici e la necessità di riorganizzare percorsi diagnostico-terapeutici con particolare attenzione ai pazienti più fragili che devono necessariamente continuare a recarsi nei centri. Il focus, in particolare, è stato posto sul tumore del polmone, anche alla luce della disponibilità di farmaci innovativi come le immunoterapie, che hanno contribuito a migliorare significativamente l’aspettativa di vita dei pazienti e che presuppongono la collaborazione multidisciplinare tra i professionisti in un setting ospedaliero per assicurare una corretta diagnosi e stadiazione, la continuità di trattamento e il follow up.
 
Lo studio Pacific
Questi aspetti sono particolarmente rilevanti nel tumore del polmone non a piccole cellule localmente avanzato, nel quale la sinergia tra chemioterapia e radioterapia e l’immunoterapia si sono dimostrate fondamentali per aumentare la sopravvivenza dei pazienti.
“Lo stadio III del carcinoma polmonare non a piccole cellule è un setting complesso, il cui trattamento non può prescindere dal coinvolgimento di un team multidisciplinare per l’adeguata identificazione e la corretta gestione dei pazienti affetti da questa malattia – spiega Massimo Di Maio del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, Segretario Nazionale Aiom e Direttore dell'Oncologia dell'Ospedale Mauriziano di Torino – In passato solo il 15-30% dei pazienti con tumore polmonare localmente avanzato e non candidabile a chirurgia sopravviveva a cinque anni e nella maggior parte di questi la malattia progrediva allo stadio metastatico. Oggi, i risultati a lungo termine dello studio Pacific, che valutava l’impiego dell’immunoterapico durvalumab dopo il completamento della chemio-radioterapia, dimostrano come a quattro anni il Q49,6% dei pazienti trattati con il farmaco sia ancora vivo (con un miglioramento di oltre 13 punti percentuali rispetto alla sola chemio-radioterapia) e che il 35% non sia andato incontro a progressione. Alla luce di questi dati, si conferma la possibilità di perseguire un intento curativo in questo setting di malattia e l’importanza di garantire anche in questa situazione emergenziale l’accesso alla terapia più opportuna per questi pazienti”. L’immunoterapia è un aspetto particolarmente delicato, perché prevede l’accesso ospedaliero per la somministrazione del farmaco.
 
Gestire bene le risorse
“L’emergenza ridefinisce le priorità ma l’organizzazione dovrebbe garantire una programmazione nel tempo – ricorda Claudio Jommi di Sda Bocconi – Dobbiamo riconsiderare il Sistema sanitario come area di investimento per l’economia nel suo complesso. La salute deve essere messa al centro del sistema economico, perché questo significa ridurre la spesa previdenziale e aumentare la produttività. Purtroppo questo non è ancora stato fatto. Il Covid-19 ha messo in luce che le risorse sono limitate e vanno ben gestite. Va fatta dunque una riflessione di lungo periodo".
Americo Cicchetti del Centro di Ricerche e Studi in Management Sanitario (Cerismas) ha sottolineato l’importanza del lavoro multidisciplinare in ambito oncologico: “Il modello ottimale poggia su tre pilastri – ricorda –: un team strutturato per la gestione della patologia, percorsi diagnostico terapeutico assistenziali chiari e validati e indicatori di monitoraggio. Si dovrebbero poi prevedere incentivi, non solo economici”.

Per Luca Pani dell’Università di Modena e Reggio Emilia e di Miami, esperto di farmacologia, psichiatria clinica e scienze regolatorie, è fondamentale digitalizzare la medicina, in modo da semplificare la vita al paziente, aumentarne la sua qualità e coinvolgerlo direttamente nel monitoraggio di patologia. “Il Covid-19 per alcuni versi ha drammaticamente accelerato questo processo, ma ha anche sollevato quesiti importanti cui dovremo riuscire a rispondere, non da ultimo come costruire le basi culturali per una vera digitalizzazione. La medicina digitale deve essere qualcosa di tangibile, che risponda davvero ai bisogni insoddisfatti dei pazienti.”.

“Nell’emergenza Covid abbiamo imparato che si possono fare le cose in modi diversi, in alcuni casi più semplici, ma che per avere successo serve il coinvolgimento reale e informato di tutti gli interlocutori del sistema salute, inclusi i pazienti – aggiunge Francesca Patarnello, Vice President Market Access & Government Affairs di AstraZeneca Italia – Ora tutte le risorse del sistema andranno concentrate nell’assicurare l’accesso alla prima diagnosi, il regolare inizio della terapia e la continuità di trattamento specie quando esiste un’opzione reale di cura. Ogni sforzo deve essere messo in atto per fare in modo che queste opportunità terapeutiche non siano ritardate perché il tempo perduto in questo caso non può essere recuperato. La contingenza ci fornisce un’opportunità senza precedenti perché si crei una vera collaborazione tra pubblico privato nell’organizzazione, nella dispensazione delle nuove soluzioni terapeutiche e nell’implementazione delle tecnologie. Noi ci siamo e siamo pronti a guardare sempre in avanti, al futuro delle cure per rendere l’innovazione tale e quindi accessibile ai pazienti”.
 

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