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Martedì 24 NOVEMBRE 2020
Il diritto alla salute delle donne

Resta ancora molto da fare per il raggiungimento del benessere sociale delle donne se si considera l’enorme discriminazione che ancora oggi queste subiscono per il fatto di appartenere al genere femminile. Nel lavoro e nella famiglia l’uomo continua ad essere il centro di tutto e attorno a lui girano le donne, ancelle indaffarate e affaticate , alcune anche ben contente di questo ruolo subalterno

Gentile Direttore,
l’Organizzazione Mondiale della sanità ha definito la salute come “lo stato dinamico di totale benessere fisico, mentale, spirituale e sociale” e non semplicemente l’assenza di malattie o infermità.
 
Secondo l’OMS, il raggiungimento del più alto standard di salute auspicabile è uno dei fondamentali diritti di ogni essere umano, senza distinzioni di genere, razze, religioni, credenze politiche e condizioni socioeconomiche.
 
Ma, la titolarità del diritto alla salute è uguale nelle donne e negli uomini? Come affermato dalla Conferenza mondiale delle donne di Pechino nel 1995, il godimento di questo diritto è vitale per la vita delle donne, il loro benessere e la loro abilità di partecipare in tutti i campi del pubblico e del privato. Tuttavia, salute e benessere escludono la maggior parte delle donne.
 
Una crescente letteratura introduce l’articolazione dei ruoli di genere con lo stato di salute, le organizzazioni delle cure mediche e le politiche di salute.
Donne e uomini sono diversi e richiedono una particolare attenzione rivolta alla differenza dei loro bisogni. Non è possibile prendersi cura di una persona prescindendo dalle differenze di genere: donne e uomini sono diversi nella percezione della salute, nelle malattie e nella risposta ai farmaci. Tener conto delle differenze e saper agire di conseguenza apre nuove prospettive in termini di appropriatezza, efficacia ed equità degli interventi di prevenzione e cura.
 
Per anni la scienza medica si è concentrata su un ipotetico corpo maschile assunto a “norma” etichettando come atipico tutto ciò che non rientrava in quei parametri, al punto da considerare i parametri femminili come una sorta di deviazione dallo standard umano.
 
Donne e uomini non differiscono solo nella manifestazione delle patologie o nei fattori di rischio; la differenza sta anche nella risposta del contesto sociale e questo significa differenze anche nell’approccio da parte degli operatori sanitari, con ripercussioni sulla qualità degli esiti clinici.
 
L’enfasi sulla salute delle donne nel rivolgersi alla prospettiva di genere non significa minimizzare l’impatto del genere sulla salute degli uomini, ma correggere lo sbilanciamento storico basato sul fatto che ancora oggi gli uomini sono presi come la norma nel campo della formazione, della ricerca e dei servizi sanitari.
 
Le politiche ed i programmi risultanti dalla sensibilizzazione rispetto al genere faranno la differenza tra donne e uomini non solo nel loro essere soggetti di cure mediche, ma anche nel loro essere datori dei servizi per la salute che ancora oggi appaiono ancora inadeguati ed inappropriati per le donne.
Non è quindi più possibile continuare a considerare l’uomo, come è stato fatto in passato, come il paradigma di riferimento per la ricerca medica e la pratica clinica.
 
La medicina di genere ha l’obiettivo di comprendere i meccanismi attraverso i quali le differenze, legate al genere, agiscono sullo stato di salute, sull’insorgenza e il decorso di molte malattie e sull’outcome delle terapie.
Negli ultimi 20 anni le ricerche in questo campo hanno dimostrato senza ombra di dubbio che le donne non sono uomini in formato ridotto ma organismi con proprie peculiarità. Ciò nonostante ancora oggi lo studio della medicina di genere è di fatto un fenomeno di nicchia che si studia in pochissime università ed ancora molta strada sembra essere necessaria prima che l’establishment sanitario si interessi alle donne , dia ascolto alle loro peculiarità, le consideri portatrici di organismi con caratteristiche particolari e non anomalie rispetto allo standard maschile .
 
C’ è bisogno di cambiare visone , c’è bisogno di un approccio capace di dare ascolto al genere femminile a partire dai segnali che vengono dal loro corpo, così come indicato dal Dipartimento per il Genere e la Salute della Donna istituito dall’OMS nel 2002 che ha sottolineato la necessità di adottare in campo medico una prospettiva di genere.
 
Ma è soprattutto il benessere psichico e sociale che per molte, troppe donne è ancora un miraggio.
La salute delle donne è vista come un continuum che si estende lungo il ciclo di vita e che è criticamente ed intimamente legata alle condizioni nella quale la donna vive.
 
Il contesto sociale e culturale risulta spesso decisivo nell’offrire quella salute psichica e sociale auspicata dall’ OMS.
Molte donne che vivono in ambienti poveri non hanno accesso all’educazione o comunque non a una educazione superiore , in genere lasciata alla componente maschile della famiglia.
 
Le donne che subiscono violenze in famiglia e hanno basso reddito sono molto vulnerabili e raramente possono fuggire al loro aguzzino.
Ma anche in contesti sociali più “evoluti” le cose non sembrano essere di molto migliori.
Alle donne va il carico lavorativo maggiore ( dentro e fuori casa ) con il peso delle responsabilità legate al loro essere allo stesso tempo, figlie, mogl , mamme. Sulle donne è caricato gran parte del lavoro di cura : le donne hanno la principale responsabilità dei figli e dell’accudimento dei genitori anziani e questo le costringe spesso a lasciare lavori anche qualificati. La mancanza di una occupazione retribuita rende la donna più vulnerabile perchè la rende meno autonoma e la costringe spesso ad accettare situazioni anche di violenza psichica, se non addirittura fisica.
 
Non ci può essere benessere psichico per le donne se non vi saranno politiche a favore dell’occupazione femminile e/o il riconoscimento economico del lavoro di cura fatto dalle donne . L’intera società attualmente dipende dal lavoro non retribuito delle donne a scapito della loro salute psichica : è ora di progettare un’economia fondata sulla realtà e non su i soli “desiderata” degli uomini.
 
Resta quindi ancora molto da fare per il raggiungimento del benessere sociale delle donne se si considera l’enorme discriminazione che ancora oggi queste subiscono per il fatto di appartenere al genere femminile. Nel lavoro e nella famiglia l’uomo continua ad essere il centro di tutto e attorno a lui girano le donne, ancelle indaffarate e affaticate , alcune anche ben contente di questo ruolo subalterno.
 
Nei posti di governance e financo nelle Istituzioni il modello si ripete anche se talvolta qualche donna emerge (ancora mosche bianche). Nella maggior parte dei casi le donne però svolgono un ruolo subalterno agli uomini o al massimo arrivano in posti di potere su concessione dell’uomo che può controllare a distanza.
 
La governance delle professioni sanitare, come ho già avuto modo di scrivere, è un esempio lampante di questa discriminazione a danno delle donne che pur rappresentando il grosso delle professioniste hanno ruoli di governo del tutto marginali e continuano a non essere adeguatamente presenti nei tavoli decisionali.
 
Allora viene da chiedersi pensando alla data di domani il 25 novembre 2020 “Giornata Internazionale per la eliminazione della violenza contro le donne”, a quale salute fisica, psichica e sociale per le donne il nostro Ministero della Salute fa rifermento? E quali politiche il nostro Governo Nazionale e le Regioni stanno mettendo in atto perché qualcosa possa realmente cambiare?
 
A cosa serve indire giornate ad hoc per ricordare tematiche di discriminazione verso le donne se poi nessuno muove un dito? Non è sufficiente portare un fiocco bianco sul petto per eliminare la violenza contro le donne, perché la violenza di genere si nutre di comportamenti discriminatori di cui è impregnata la società al punto di non essere in grado di vederli.
 
Ecco, forse bisogna partire proprio da qui, da una campagna di educazione che renda edotti i nostri “maschi” per lo più convinti che l’uguaglianza tra uomini e donne sia già stata raggiunta, che no, non è così….Loro non lo sanno perché sono maschi, vestissero anche solo per un giorno le vesti di una donna lo capirebbero subito.
 
Donatella Noventa
già Direttrice UOC Medicina dello Sport e Dipartimento di Fisiopatologia Cardiovascolare
Comitato Scientifico Stati Generali delle Donne Italia

 

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