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Mercoledì 16 DICEMBRE 2020
Perchè un “Mezzogiorno Federato” farebbe bene anche alla sanità

Il «Mezzogiorno Federato» può legittimamente proporsi come l'unico tramite politico-istituzionale capace di mettere insieme le istanze delle regioni meridionali per ricondurle ad istanza unica. Una missione da compiere prioritariamente con l'obiettivo di assicurare, a fronte di una sanità malandata e semi distrutta dal Covid, l'esigibilità nel Mezzogiorno del diritto alla salute e dell'assistenza sociale condannata dalla revisione costituzionale del 2001 a residuare nella competenza esclusiva regionale

Nelle sette regioni del sud, il vecchio Mezzogiorno al netto della Sardegna e del basso Lazio, sta circolando una idea, quella del «Mezzogiorno Federato», una iniziativa che potrebbe mutare le sorti del meridione e dei meridionali.
 
Una idea, partorita dall'ex ministro Claudio Signorile, lanciata con una lettera aperta indirizzata ai presidenti delle Regioni meridionali e pubblicata il 6 ottobre scorso dal Corriere del Mezzogiorno, che vorrebbe riassumere e dunque concretizzare, in un'unica istanza politico-istituzionale, le pretese di «giustizia ed economia sociale» delle regioni che registrano da sempre ritardi di progresso, di occupazione e di servizi pubblici, soprattutto di quelli destinati alla cura della persona.
 
Il post Covid fa il Mezzogiorno più propositivo
L'occasione della Nex Generation Eu rende l'impresa una realtà da materializzare. Ciò allo scopo di progettare insieme la migliore generale crescita del Mezzogiorno, mettendo da parte ogni genere di pernicioso egoismo.
 
Non solo. Evitando quelle pericolose concorrenze generative, peraltro, di inutili e ripetute realizzazioni del tipo quelle che hanno prodotto povertà piuttosto che produzioni eccellenti di beni e servizi.
 
E ancora. Mettendocela tutta per realizzare una crescita infrastrutturale tale da esaltare le eccellenze ivi presenti cui l'inesistenza di mezzi idonei e il perdurare di una insana politica territoriale ha tarpato le ali indispensabili per il decollo.   
 
Un nuovo soggetto di diplomazia politica
In quanto tale, il «Mezzogiorno Federato» può legittimamente proporsi come l'unico tramite politico-istituzionale, costituito mediante il perfezionamento di un apposito patto, rispettoso quindi della Costituzione vigente, capace di mettere insieme le istanze delle regioni meridionali per ricondurle ad istanza unica.
 
Una missione da compiere prioritariamente con l'obiettivo di assicurare, a fronte di una sanità malandata e semi distrutta dal Covid, l'esigibilità nel Mezzogiorno del diritto alla salute e dell'assistenza sociale condannata dalla revisione costituzionale del 2001 a residuare nella competenza esclusiva regionale.
 
In una siffatta logica, che dovrà vedere seriamente impegnati tutti nel superare i problemi che determineranno i colpi di coda del Covid-19 e affrontare l'oltre, data l'imminenza della campagna vaccinale, si dovrà lavorare finanche per cambiare il macrosistema salutare. Ciò in quanto la sanità nel nostro Paese ha bisogno di un serio scossone. C'est possible.
 
Ce n’è bisogno? Ahi voglia!
A giustificare la partenza dal sud di una tale iniziativa sono i saldi che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano il sistema della salute meridionale.
 
Le cifre sono dure da ricordare e finanche da accettare,ma occorre ripassarle, seppure velocemente, per capire il loro significato e, quindi, capire cosa e come fare per cambiare. Per evitare che i meridionali cerchino assistenza altrove scappando via dalle loro abituali residenze.Quell'altrove peraltro reso quasi irraggiungibile perché assolutamente sconsigliato in tempi di Covid.
 
I numeri della migrazione sono infatti inenarrabili, non riscontrabili in nessun Paese occidentale.
 
Si registra una migrazione sanitaria alle stelle: 1,73 miliardi di euro al 31 dicembre 2018, con il 2019 in incremento e un 2020 attenuato solo a causa del lockdown. In alcune regioni, i dati 2018/2019 incidono addirittura nella misura di oltre il 9% del Fondo sanitario regionale.
Ma c'è molto di più.
Dal 2007 sono state dieci le Regioni soggette a Piano di rientro (solo tre ne sono uscite) e cinque quelle commissariate, di cui due lo sono ancora (Molise e Calabria), con quest'ultima dalla bellezza di tredici anni. Escluse Piemonte, Liguria e Lazio, tutte le altre fanno parte dell’Italia meridionale e insulare.
 
Un indebitamento pregresso enorme accumulato dalle regioni del Mezzogiorno, sottoposte a mutui da ammortizzare con ratei annui multimilionari della durata di un trentennio.
 
 
Un altro dato da brivido è rappresentato dall'attuale consistenza della popolazione anziana residente nelle regioni meridionali, in comuni con altitudine minima tra 400/500 s.l.m., che raggiunge il numero elevatissimo di oltre tre milioni e mezzo su diciottomilioni e ottocento di popolazione totale, al netto della pianeggiante Puglia e al lordo di una orografia ovunque impossibile. Un dato che dimostra, stante la rilevata carenza di assistenza distrettuale, l'entità degli anziani lasciati da soli senza le cure territoriali e domiciliari che li raggiungano ordinariamente, tenuto conto che la c.d. medicina di famiglia non offre al riguardo certezza alcuna.
 
Le Regioni del sud si attivano
Praticamente un bollettino di guerra, nei confronti del quale «Mezzogiorno Federato» ha ritenuto proporre alle regioni meridionali di fare qualcosa unitariamente. Di fare, da subito, sistema nella produzione dell'istanza relativa e di rivendicare l'esigibilità per i propri residenti di quanto gli stessi non hanno fino ad oggi goduto.
 
Di conseguenza, è passata dalla teoria ai fatti con una elaborazione progettuale da discutere e convenire con i Presidenti delle Regioni ricadenti nel «Mezzogiorno Federato». Un progetto, strutturalmente riformatore, da tradurre in una istanza che diventi anche attrattiva di quella trasformazione del welfare assistenziale che il Recovery Fund pretende in una delle sue missioni.
 
Magari, facendo anche proprie le disponibilità finanziarie, rese disponibili dal Mes, che francamente, diventa impossibile supporre di non utilizzare.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

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