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Lunedì 18 GENNAIO 2021
Piano pandemico rischia il flop senza una rete epidemiologica



Gentile Direttore,
ognuno conserva da qualche parte alcuni personali memorabilia  della propria vita professionale. Uno di quelli cui sono legato di più è il tesserino che mi venne consegnato in occasione del I Corso nazionale di Epidemiologia e Biostatistica Applicata tenutosi a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) dal 10 al 28 marzo 1980.
 
Il Corso era per rappresentanti della Regione cartellino e il mio cartellino riportava infatti Marche. Una foto dei partecipanti a questo Corso (me compreso) si trova in un altro “cimelio” questa volta virtuale ricavabile da un racconto di Stefania Salmaso che è stata Direttore del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’ISS, dal 2004 al 2015.
 
Questi preziosi ricordi mi sono  venuti in mente leggendo la bozza del Piano Pandemico Nazionale che tempestivamente QS ci ha messo a disposizione. In questa bozza a proposito del Sistema di coordinamento si legge che: “Per il coordinamento operativo delle misure adottate, il Ministero della salute si avvale della collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità e del coordinamento delle Regioni/PPAA per coordinare ed affidare compiti di analisi e gestione dei rischi.
Le Regioni assicurano l’attuazione degli interventi, secondo l’organizzazione definita nei piani regionali.”.
 
Non nego che questa frase mi ha sconcertato, deluso e preoccupato. Come  mi ha sconcertato, deluso e preoccupato non trovare nell’elenco (che ho letto e riletto) sin troppo esteso di partecipanti al gruppo di lavoro rappresentanti dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) e rappresentanti delle funzioni strutturate di Epidemiologia (dove ci sono) delle Regioni.
 
Se ci fossero stati una frase come “organizzazione definita nei piani regionali” che rivela una totale mancanza di conoscenza sugli assetti istituzionali ed organizzativi delle Regioni non sarebbe mai stata scritta. E’ appena il caso di ricordare, infatti,  che gli assetti organizzativi le Regioni non li definiscono con i Piani Sanitari Regionali, che del resto molte Regioni non scrivono ed approvano più da anni, in linea del resto con la data di approvazione dell’ultimo Piano Sanitario Nazionale, e cioè il 2006. Peraltro in un suo commento al Piano l’AIE elegantemente non fa cenno di questo mancato coinvolgimento.
 
La composizione del gruppo di lavoro che ha scritto la bozza del Piano Pandemico del resto riflette la strana situazione che la pandemia di Covid-19 sembra avere creato in Italia, situazione in cui l’epidemiologia ha finito per diventare una disciplina a disposizione di chi voleva dire la sua sulla pandemia rischiando di perdere i suoi specifici connotati tecnici, organizzativi e scientifici.
 
Tra i più vivaci ed entusiasti utilizzatori del glossario epidemiologico figurano gli Assessori Regionali alla Sanità, che lo hanno trasformato spesso in vernacolo epidemiologico adattandolo a modo loro alle esigenze locali. Se la situazione non fosse drammatica si potrebbe fare una sorta di edizione speciale di “Mai dire coronavirus” con gli assessori che parlano di indice Rt o litigano con gli indici ed i relativi numeri durante le conferenze stampa. Quando gli indici addirittura non se li inventano.
 
Allora uno si chiede, ma gli epidemiologi in quelle Regioni dove sono finiti? E, soprattutto, come sono organizzati? A parte i contributi sul piano della ricerca, in Italia sul piano personale molti epidemiologi “veri” stanno dando un importante contributo al dibattito sulla gestione della pandemia anche sui media, così come l’AIE sta promuovendo importanti iniziative culturali attraverso seminari, pubblicazioni e documenti pubblici per migliorare ad esempio il sistema di indicatori di monitoraggio della epidemia o per rendere più accessibili i dati epidemiologici a fini di analisi, ricerca e proposta. Quelli di cui non si sente però quasi mai la voce sono gli epidemiologi delle Regioni, spesso sostituiti dagli epidemiologi del Presidente o dell’Assessore quando non rappresentati dai Presidenti e dagli Assessori stessi.
 
Qui su QS alcuni giorni fa Donato Greco   ricordava i primi 40 anni del Bollettino Epidemiologico Nazionale con queste parole “Quarant’anni fa, dopo il terremoto in Irpinia, nacque il BEN (Bollettino Epidemiologico Nazionale): un bollettino settimanale, poi mensile, al servizio dell’Epidemiologia italiana che lo ha usato in maniera intensa quale mezzo di comunicazione e successivamente ne ha fatto un rilevante strumento didattico, ma che ha sempre costituito una risorsa per un confronto sistematico tra pari. Ha dato infatti spazio e voce al grande popolo di operatori della sanità pubblica italiana non necessariamente avvezzi alla lettura delle riviste scientifiche internazionali. “
 
E qui torniamo all’inizio di questa lettera: contemporaneamente al Bollettino nasceva con quel Corso poi seguito da molti altri con gli stessi destinatari (i rappresentanti delle Regioni) in forma purtroppo non del tutto istituzionalizzata una sorta di Rete Epidemiologica Nazionale. Che purtroppo nel tempo si è “disciolta” pur dando alla epidemiologia la possibilità in alcune realtà regionali di strutturarsi in modo significativo ed autorevole. E invece c’è oggi la esigenza di (ri)costruirla questa rete, ripartendo da alcune positive esperienze del passato proprio  in tema di eventi pandemici, come ricordato proprio da Stefania Salmaso
 
Mi sembra strano che nel momento in cui con la pandemia sono venuti fuori tutti i problemi di un eccessivo regionalismo nella gestione di un evento pandemico, sia proprio la bozza del Piano Pandemico Nazionale a dimenticarsi della Rete Epidemiologica Nazionale.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on
 

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