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Lunedì 25 GENNAIO 2021
In sanità ci sono ancora una destra e una sinistra



Gentile Direttore,
calmatasi l’ondata polemica sollevata dalle improvvide dichiarazioni della nuova Assessora alla Sanità della Regione Lombardia, Letizia Moratti, mi sembra utile una più articolata riflessione. Appena insediata la Moratti, alle prese col problema delle vaccinazioni contro il Covid, ha dichiarato che la distribuzione dei vaccini avrebbe dovuto avvenire secondo il PIL delle Regioni e che, di conseguenza, una maggior quantità spettasse alla Lombardia. Di fronte al coro di proteste, l’Europa ha proclamato il vaccino anticovid come bene comune da garantire a tutta la popolazione, la Assessora lombarda ha fatto una parziale marcia indietro, sostenendo di essere stata fraintesa.
 
A suo dire, la Moratti intendeva sottolineare come la copertura vaccinale consentisse una più rapida ripresa dell’apparato produttivo e quindi, dal momento che la Lombardia produce più che ogni altra Regione, fosse conveniente favorirne una più rapida e estesa vaccinazione così da riavviare quanto prima l’industria e i commerci di quella laboriosa regione.
 
Chi ha commentato questa infausta esternazione, vieppiù peggiorata dalla rettifica, ha sottolineato che il nostro Servizio Sanitario Nazionale si fonda sull’universalità del diritto all’assistenza e sull’uguaglianza delle prestazioni. Tutte le forse politiche si sono dichiarate a favore dell’uguaglianza del diritto a vaccinarsi. Il popolo italiano, per qualsiasi partito ciascuno voti, non ha nessuna voglia di perdere il SSN e, altresì, nessuna forza politica lo ha messo in forse, anzi tutti desiderano, almeno a parole, rafforzarlo.
 
Al contrario, pensandoci bene, la voce dal sen fuggita all’Assessora Moratti esprime una radicalità di pensiero che è opportuno sottolineare. Esistono ancora, ha ragione Bobbio, una destra e una sinistra che si manifestano spesso quando meno ce l’aspettiamo.
Indipendentemente dalle differenti modalità di finanziamento, tutti i sistemi sanitari europei, del Canada, della Nuova Zelanda e di qualche altro paese, si basano sul concetto prioritario che la tutela della salute è un diritto umano, quindi superiore per valore a ogni particolarità o alla stessa cittadinanza.
 
L’articolo 32 della Costituzione usa il termine “individuo” non “cittadino”, perché la tutela della salute riguarda la persona in sé e non qualsiasi sua eventuale appartenenza.
 
Nella visione più rigorosamente liberale, come negli Stati Uniti, la salute è un merito che in parte viene dato alla nascita e che, quindi, non si debba disperdere in una vita dissipata, in parte si mantiene coll’operosità di una vita laboriosa e indipendente.
 
In Europa si pensa che una minaccia alla salute debba essere contrastata con la solidarietà di tutti, indipendentemente da quanto sia onerosa l’assistenza, in altri paesi, tra cui gli USA, il cittadino deve essere un produttore di beni per aver diritto a ricevere, in caso di bisogno, un aiuto commisurato a quanto ha contribuito pagando un premio o una tassa.
 
Noi cittadini europei consideriamo la tutela della salute come un dato sociale e politico acquisito e in Italia litighiamo sul Recovery Plan lasciandone, pur dopo molti sforzi, solo una piccola quota alle esigenze della sanità pubblica. Non è così; il servizio sanitario è una conquista preziosa e fragile. Lo dobbiamo aver bene in mente perché l’aumento delle disuguaglianze creato dal mercato finanziario globale con tutti i suoi interessati caudatari non è privo di ideologie bensì sottende un pensiero che può travolgere le più consolidate conquiste civili.
 
Antonio Panti
 

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