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Venerdì 05 MARZO 2021
Tumore a mammella e Target Therapy: in Emilia Romagna la Rete Oncologica protagonista per individuare le mutazioni geniche e garantire appropriatezza terapeutica

I tumori non sono tutti uguali e l’arrivo di una nuova terapia mirata richiede il contestuale ripensamento della strategia diagnostica oltre che di quella terapeutica. Il caso della mutazione PIK3CA nel tumore della mammella e della relativa terapia di trattamento spinge i sistemi sanitari a “ripensare” la propria organizzazione.

La consapevolezza che il tumore alla mammella sia una malattia estremamente eterogenea e con aggressività anche molto differente è un’acquisizione che ormai risale a molti decenni. Ma solo negli ultimi anni, grazie alla progressione scientifica nella conoscenza dei meccanismi di sviluppo della patologia e nelle capacità diagnostiche offerte dalla biologia molecolare, si è definitivamente stabilito che parlare genericamente di tumore alla mammella ha poco senso poiché, esemplificando, un tumore metastatico della mammella HER2-positivo ha un approccio terapeutico completamente diverso rispetto a un tumore della mammella triplo negativo.
 
Insomma, i tumori della mammella non sono tutti uguali e l’arrivo di una nuova terapia mirata richiede il contestuale ripensamento della strategia diagnostica oltre che di quella terapeutica.
 
Questo significa essere consapevoli della necessità di un approccio sempre più “Target Therapy oriented” sui bisogni del paziente che comporta una mutazione dei paradigmi di governance e organizzazione dell’assistenza, richiedendo un continuo aggiornamento in termini di capacità diagnostica per individuare le mutazioni.
 
L’armonizzazione delle capacità diagnostiche e della conseguente capacità di differenziazione della tipologia tumorale sono state quindi al centro dell’incontro online organizzato da Quotidiano Sanità Romagna coinvolgendo alcuni tra i maggiori esperti del settore nell’ambito del più ampio progetto di approfondimento tematico, sostenuto incondizionatamente da Novartis, e dedicato alle terapie disponibili e alle capacità diagnostiche di individuazione delle mutazioni genetiche che sono alla base delle differenze del tumore alla mammella, come nel caso della mutazione PIK3CA, che interessa larghe percentuali di pazienti.
 
Approfondire da un lato le problematiche che sottendono la necessità di continuo aggiornamento delle pratiche diagnostiche e terapeutiche, dall’altro il ruolo fondamentale che, dal punto di vista istituzionale, i decisori possono giocare per ridurre al massimo il tempo di transito dell’innovazione terapeutica dai laboratori al quotidiano delle pazienti hanno rappresentato il focus di discussione del tavolo di confronto che ha visto protagonisti Claudio Zamagni, Direzione Oncologia AOU di Bologna, Carmine Pinto, Direttore Uoc Oncologia Irccs Santa Maria Nuova, Stefania Bettelli, Responsabile Patologia molecolare e Medicina predittiva AOU di Modena, Donatella Santini, Dirigente Anatomia Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna, Rosanna D’Antona ed Elisabetta Sestini, rispettivamente Presidente e Responsabile Scientifica di Europa Donna e, per la Regione Emilia Romagna, Rossana De Palma. Dirigente della Direzione generale Salute e Welfare.
 
Se infatti la ricerca clinica compie abbastanza velocemente importanti passi avanti per trattamenti sempre più mirati, non sempre si può dire lo stesso delle capacità dei sistemi sanitari di adattarsi ad uno scenario in rapido cambiamento, con nuovi attori e nuove tecnologie da rendere disponibili per poter essere integrate in tempi rapidi nella pratica clinica.
 
PIK3CA è il nome del gene mutato più comune nel carcinoma mammario e questa mutazione è presente in circa il 40% delle pazienti con tumore mammario HR+/HER2negativo - (il sottotipo che rappresenta circa il 60% di tutti i tumori mammari). Rilevare la presenza della mutazione PIK3CA è importante per trattare le pazienti con una terapia mirata”, soprattutto se, grazie alla ricerca scientifica, anche nel nostro Paese sarà presto disponibile un nuovo farmaco, alpelisib, già approvato negli Stati Uniti e in Europa l’estate scorsa, per il trattamento del tumore alla mammella con mutazione PIK3CA.
 
Avere un’arma potente contro questa tipologia di tumore, però, non significa trovarsi nelle condizioni ottimali per poterla utilizzare nella maniera più appropriata. La diagnostica molecolare gioca un ruolo fondamentale e con essa un’organizzazione sul territorio in grado di farsi carico in maniera estesa ed equa delle pazienti che potrebbero essere interessate al trattamento. Il timore, infatti, espresso anche dai protagonisti dell’Emilia Romagna, è che anche in presenza di un servizio sanitario regionale di eccellenza, vi sia ancora troppa distanza tra le acquisizioni della ricerca clinica e diagnostica e le istituzioni, che forse ancora faticano ad abbandonare modelli di assistenza oncologica standardizzata trovando quindi qualche difficoltà ad implementare sul territorio terapie e approcci diagnostici maggiormente personalizzati.
 
Gli esperti hanno convenuto sul fatto che oggi, invece, il sistema sanitario si trova di fronte a una vera e propria rivoluzione, guidata dalla ricerca e dalle tecnologie innovative, che in quanto tale richiede un’attitudine al cambiamento e una trasformazione di visione e , di conseguenza, di disegno dei servizi sanitari. Anche in Emilia Romagna l’“oncologia di precisione” non è una pratica estesa a tutto il territorio ma, di contro, sono ben poche le Regioni che pongono la necessità di questo approccio mirato come un obiettivo di sanità pubblica.
 
L’Emilia Romagna, che nel concetto di network ha posto da anni le basi della sua firma identitaria di governance sanitaria, ha quindi maturato la convinzione che l’unico modo di affrontare questa rivoluzione sia quello di consolidare la Rete Oncologica. Non soltanto in termini di collaborazione tra i professionisti ma anche sul fronte strutturale per poter erogare servizi, più o meno centralizzati che siano, a tutti i cittadini.
 
L’accesso al test genetico per le pazienti e quindi la definizione dell’eleggibilità al trattamento terapeutico diventa elemento discriminante per il quale, come è stato sottolineato nel corso dell’incontro, serve più che mai “visione”. Centri Hub & Spoke piuttosto che capacità diagnostica estesa sul territorio? È il tema portante, fondamentale anzi ma, in Emilia Romagna, certamente al centro dell’attenzione istituzionale anche in termini di sostenibilità economica, oltre che organizzativa. Se da un lato le tecnologie diagnostiche per l’individuazione di queste mutazioni, molto complesse e innovative, hanno costi elevati, operare per grandi volumi contribuisce ad abbattere gli stessi e in tal senso l’impegno regionale per rendere equo l’accesso è massimo.
 
Il fatto di poter contare su una rete oncologica già strutturata e sostanzialmente coesa, su eccellenti laboratori di biologia molecolare estesi in ogni provincia e, soprattutto, su una rete professionale interdisciplinare già abituata a lavorare insieme, costituisce certamente un “plus” fondamentale per implementare sul territorio, se non in maniera facile di certo meno onerosa, una rete diagnostica e terapeutica in grado di adattarsi velocemente ai bisogni che, altrettanto velocemente, la ricerca e l’innovazione clinica sanno già come soddisfare.

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