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Venerdì 08 GIUGNO 2012
Farmindustria: “Rivedere la manovra 2011 o rischio tracollo”. Ecco le proposte delle aziende
Le imprese del farmaco chiedono una deroga a ottobre delle misure contenute nella legge 111/2011, che dovrebbero partire dal 30 giugno e che prevedono, tra l'altro, che il 35% dello sforamento della farmaceutica ospedaliera sia a carico delle imprese. Presentato un documento di proposte.
Una deroga ad ottobre all'applicazione delle misure previste per il contenimento della spesa nella manovra di luglio 2011 (legge 111/2011) e che dovrebbero scattare il 30 giugno prossimo. È quanto chiede al Governo Farmindustria, che oggi ha convocato una conferenza stampa per presentare un documento di proposte (inviato contestualmente alle Istituzioni) che ricalca quelle già elaborate dall’Aifa e dal ministero della Salute per rendere la manovra meno pesante per le industrie del farmaco, ma poi rimaste sulla carta.
Proposte che, ha spiegato il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, “non escluderebbero le imprese del farmaco dalle misure di contenimento della spesa, però renderebbero la manovra meno insostenibile, se accompagnate da un insieme di regole certe e credibili per la gestione della spesa e da un accesso alla innovazione in linea con le condizioni dei principali paesi Ue”.
Presenti alla conferenza stampa i vertici dell’associazione delle imprese del farmaco: oltre al presidente Scaccabarozzi, i vicepresidenti Lucia Aleotti, Emilio Stefanelli, Daniel Lapeyre e Francesco De Santis.
“Ci aspettavamo una revisione della legge 111/2011, e ce l’aspettiamo ancora”, perché se applicata così come approvata lo scorso luglio, la manovra rischia di portare il settore al “tracollo” e costringerlo a una “dislocazione della produzione all’estero”, avverte Scaccabarozzi.
La scadenza del 30 giugno riguarda, in particolare, la norma che prevede che entro questa data sia emanato un regolamento, su proposta del ministro della Salute di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze, che definisca le procedure per porre a carico delle aziende l’eventuale sforamento del tetto di spesa farmaceutica ospedaliera nella misura massima del 35%.
Rispetto alla spesa ospedaliera, Stefanelli ha peraltro sottolineato come “il tetto del 2,4% fu stabilito quando la spesa era al 3,8%. È evidente che quel tetto non è applicabile”. Il presidente di Farmindustria ha ricordato, inoltre, che secondo i recenti dati Aifa sulla spesa farmaceutica per il 2011, la spesa ospedaliera è stata pari al 3,6%. “Non c’è quindi stata alcuna crescita, ma anzi, una diminuzione”. Il 3,6%, peraltro, è anche il tetto alla spesa ospedaliera proposta da Farmindustria sulla base del documento già elaborato dall’Aifa e dal Ministero.
L’intento di Farmindustria, quindi, è rinviare l’applicazione delle misure al prossimo ottobre, utilizzando i mesi a venire per avviare un confronto che permetta di rimodulare le misure attraverso una proposta da inserire nel Patto per la Salute.
“Negli ultimi 5 anni abbiamo contribuito al ripiano per una somma pari a 11 miliardi. Mi sembra che il nostro impegno sia stato già considerevole. Ma non si può più chiedere a un settore che rappresenta il 16% della spesa sanitaria di ripianare quote di spesa che vanno ben oltre il proprio peso e anche oltre le possibilità”, ha proseguito Scaccabarozzi. I dati del settore, infatti, sono “preoccupanti”. La produzione è diminuita del 6,2% nei primi 4 mesi del 2012, i licenziamenti sono stati 10 mila dal 2005 ad oggi.
Ad allarmare soprattutto la diminuzione degli studi clinici, scesi del 14% tra il 2008 e il 2009 e di un ulteriore 12% tra il 2009 e il 2010. Riguardo a questo ultimo aspetto, il presidente di Farmindustria ha voluto lanciare “un messaggio alle Regioni e agli ospedali. Quando i pazienti vengono arruolati negli studi clinici, l’azienda non sostiene solo le spese del farmaco, ma anche quelle della degenza”. In pratica, meno studi clinici si traducono in maggiori costi a carico delle strutture ospedaliere.
Ancora. Rispetto al resto d’Europa la spesa farmaceutica pubblica è inferiore del 26%. Dal 2006 al 2011 la spesa farmaceutica pubblica effettiva è cresciuta complessivamente del 2%, rispetto al 18% di incremento della spesa per beni e servizi.
Farmindustria attacca anche il mancato sostegno delle istituzioni all’accesso all’innovazione e a regole certe e credibili. “Siamo riusciti a ottenere ancora qualche investimento grazie alla qualità del nostro lavoro – spiega Scaccabarozzi – ma tra poco la qualità offerta dai Paesi emergenti sarà pari alla nostra e l’Italia farà fatica ad essere attrattiva”. Si aspetta con fiducia, invece, la soluzione ai problemi di ritardo dei pagamenti della PA alle aziende, “che speriamo possano trovare una soluzione nel grande dibattito parlamentare” in corso sul provvedimento sulla spending review.
Il settore, insomma, è al limite della sostenibilità e non sarà più sostenibile se la manovra verrà applicata così come è, “qualunque sia la sua l'applicazione, che penalizzi le imprese o la ricerca”. “Il Patto con le Regioni è slittato, il tavolo non è mai partito. Si stabilisca una deroga anche per questa manovra”, ribadisce Scaccabarozzi secondo il quale “a rischio ci sono altri 10 mila posti di lavoro se a pagare saranno ancora le imprese e i lavoratori dell’industria del farmaco”.
“Abbiamo tirato la cinghia, ma ora ci manca l’ossigeno”, ha commentato Lucia Aleotti osservando come “non si possono ancora chiedere sacrifici all’industria stessa se proprio dall’industria l’Italia deve ripartire per crescere”. Concetto ribadito anche da Lapeyre: “Il Europa quello farmaceutico è un settore considerato strategico. Ci chiediamo perché non sia considerato così anche in Italia, quando la realtà è che può dare un contributo forte e determinante alla crescita del Pil”.
Dal presidente di Farmindustria, infine, un affondo ai farmaci equivalenti. “Se la spesa non diminuisce non è vero che la colpa è il mancato accesso ai generici. Si inizi a parlare di brevetti scaduti, perché è da lì che lo Stato comincia ad ottenere risparmi. L’88% dei volumi di farmaci venduti in Italia è fuori brevetto. Quale sia la quota di generici in quell’88% - ha concluso Scaccabarozzi - non è un problema delle istituzioni, è una questione di mercato e concorrenza”.
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