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Martedì 11 MAGGIO 2021
Cnr e Università Federico II. Nuove prospettive per combattere l'infezione grave da Sars-CoV-2

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr-Icb e dell’Università Federico II di Napoli, ha utilizzato tecniche di data mining applicate alla bioinformatica per prevedere quali geni umani potessero influenzare l’insorgere o la gravità dei casi di Covid. I risultati hanno fornito uno strumento per individuare i soggetti a rischio di sviluppare una forma severa dell’infezione.

Un team di ricerca dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr e dell’Università Federico II di Napoli ha analizzato i dati di una popolazione di oltre mille pazienti italiani affetti da Covid-19, evidenziando l’effetto protettivo esercitato da una variante del gene TMPRSS2 negli uomini giovani e nelle donne anziane, e individuando un target terapeutico per lo sviluppo di nuovi farmaci. I risultati sono pubblicati sulla rivista Genes.

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Icb) e dell’Università Federico II di Napoli, ha utilizzato tecniche di data mining applicate alla bioinformatica per prevedere quali geni umani potessero influenzare l’insorgere o la gravità dei casi di Covid-19. I risultati hanno fornito uno strumento per individuare i soggetti a rischio di sviluppare una forma severa dell'infezione e hanno evidenziato un target terapeutico per lo sviluppo di nuovi farmaci.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Genes è stato condotto elaborando i dati riferiti ad una popolazione di 1177 pazienti affetti da Covid-19 in Italia, ed ha messo in evidenza l’effetto protettivo esercitato da una variante del gene TMPRSS2 negli uomini giovani e nelle donne anziane. “Il gene TMPRSS2 viene utilizzato nella cellula come stampo per le sintesi di un enzima, una proteasi, in grado di agire su altre proteine, nel caso specifico questa proteasi agisce sulla proteina Spike del coronavirus che è nota essere un elemento chiave per l’instaurarsi dell’infezione”, spiega Giuseppina Andreotti, ricercatrice del Cnr-Icb, che ha coordinato il team di ricerca insieme a Maria Vittoria Cubellis, ricercatrice associata del Cnr-Icb e docente del Dipartimento di biologia dell’Università Federico II di Napoli. “I dati hanno messo in luce che in questi gruppi di pazienti, uomini giovani e donne anziane, quelli che avevano una mutazione nel gene TMPRSS2 avevano un quadro clinico meno severo rispetto a coloro che non presentavano la mutazione".

Una lista di possibili polimorfismi (mutazioni genetiche non causanti malattie presenti in una popolazione con una incidenza superiore all’1%) che potevano essere correlati con la gravità o con l’insorgenza della Covid-19 è stata descritta in un primo lavoro pubblicato sull'European journal of medical genetics. La lista include tra gli altri un polimorfismo comune nel gene TMPRSS2.

“In particolare, la variante di TMPRSS2 identificata e maggiormente rappresentata nella popolazione, causa la sostituzione di un amminoacido nella proteasi, al posto della valina in posizione 197 della sequenza c’è la metionina”, specifica la ricercatrice Cnr-Icb. La proteina mutata in tale modo è stata studiata “in silico”, cioè con simulazioni matematiche al computer e grazie a programmi di predizione delle proprietà chimico-fisiche delle proteine è stato evidenziato che è ragionevole ipotizzare che abbia un’attività biologica ridotta rispetto a quella non mutata.

Il passaggio dalla previsione teorica “in silico” alla conferma sostenuta da dati clinici è stato possibile grazie a una collaborazione con Alessandra Renieri, docente dell’Università di Siena e coordinatrice della rete di istituti di ricerca e nosocomi italiani "Gen-Covid Multicenter Study”. “Questa osservazione genetica potrebbe aprire la strada ad un’interessante ricaduta terapeutica poiché farmaci in grado di inibire o ridurre l’attività della proteasi TMPRSS2, così come fa la mutazione nelle persone relativamente protette, potrebbero essere utilizzati per la cura della Covid-19”, conclude Andreotti. “Tali farmaci esistono sebbene siano utilizzati per la cura di altre patologie. Si tratta del camostat mesilato e del nafamostat mesilato. Riposizionare questi farmaci fornirebbe dunque un nuovo e valido strumento per il trattamento della Covid-19”.

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