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Lunedì 07 GIUGNO 2021
Per la sanità la vedo dura

La questione per me drammatica resta interamente politica: dopo la pandemia, avremmo bisogno di svolte culturali, di profondi ripensamenti, di riforme, di una nuova visione della salute ma, nel sommergibile in cui siamo, (recovery plan), con un capitano quindi una sinistra di governo che contro riforma la sanità perché non sa riformarla cioè che si spara e ci spara addosso i missili che lancia, non solo per la prevenzione, ma per tutta la sanità, la vedo davvero dura

Premessa
Vorrei apprezzare pubblicamente il contributo che, Filippo Palumbo, a proposito di recovery plan quindi di PNRR, sta assicurando a tutti noi, con le sue analisi puntuali e competenti.

Anch’io come lui credo che il PNRR dovrebbe essere una occasione da non perdere e come lui sono preoccupato perché se considero tutto, a partire dall’inconsistente spessore politico e culturale di chi dirige la baracca, di come si sta procedendo, e lo scarso livello di qualità tecnica e culturale dei testi elaborati, senza dimenticare la pressione degli interessi privati in campo, mi viene da piangere.

Quando penso al recovery plan sulla sanità non so perché mi viene in mente un film di guerra nel quale un inesperto capitano di un sommergibile lancia un missile contro il nemico che gli ritorna addosso facendo saltare tutto il suo equipaggio. Al momento dell’impatto rammento la frase poco formale del suo secondo: ”ci hai fottuti tutti, coglione”.

Le tre criticità di Palumbo
Nel suo ultimo articolo Palumbo (QS 4 giugno 2021) sul PNRR affronta tre criticità: la prevenzione, l’assistenza territoriale, e infine il rapporto pubblico privato. Concordo con tutte le sue preoccupazioni anche se sulla questione del rapporto pubblico privato, non credo che il problema di fondo sia, come dice lui, l’accreditamento, cioè sia “tecnico” ma sia prima di tutto “politico”. Certo che se privatizziamo parti del sistema sanitario pubblico poi, per evitare il laissez faire, bisognerà accreditare, ma la questione è perché privatizzare, soprattutto dopo una pandemia, cose che per tante ragioni dovrebbero essere pubbliche?
 
Evidentemente Speranza non crede, come me, che dopo la pandemia:
- la sanità dovrebbe essere più pubblica e non meno,
- i primi soggetti di cui lo Stato dovrebbe prendersi cura, dovrebbero essere proprio i soggetti fragili
- la sanità per essere più pubblica dovrebbe riformarsi
- se la sanità dopo una pandemia diventa meno pubblica allora vuol dire che è stata contro-riformata
 
La questione della prevenzione
A più riprese, proprio su questo giornale, anche io come Palumbo ho segnalato che nel recovery plan, la questione della prevenzione è trattata ne più e ne meno come una petizione di principio. Cioè come una fallacia perché, il suo valore strategico, è supposto solo teoricamente ma per nulla finanziato e meno che mai elaborato e organizzato. Cioè “fuffa”. Esattamente come le case di comunità.

Confesso che non avevo riflettuto sul rischio, evidenziato da Palumbo, che, a questo proposito, cita Forastiere, Saracci e Vineis, che si corre come paese, quando, proprio sulla prevenzione, dopo una pandemia, si offre all’Europa “fuffa” in luogo di una proposta seria. Anche perché non va dimenticato che, la nostra legislazione e nostri servizi sulla prevenzione, sono sempre stati, a partire dalla riforma del 78, avanti a tutti. Con il recovery plan ci è stata offerta l’occasione di diventare leader culturali su questa materia ma con la fuffa non si diventa un bel niente.

A differenza di Palumbo tuttavia credo che, prima di “riordinare” il settore della prevenzione, prima di “rafforzarlo” strutturalmente, prima di parlare di “assetto istituzionale e organizzativo”, sia necessario chiarire culturalmente e politicamente di cosa stiamo parlando. Cioè definire la strategia.
Anche per la prevenzione richiamarsi alle norme che ci sono secondo me non basta. Ci vuole un pensiero riformatore. Trovo giusta la distinzione che Palumbo introduce tra “riforma” e “regolamento” paventando per la prevenzione una sorta di Dm 70 ma temo che, chi ha scritto la missione 6, non sia in grado purtroppo neanche di cogliere questa importante differenza. 

Io, che accademicamente mi occupo di epistemologia e di logica in medicina e in sanità, quindi di scienza e di metodologia, di organizzazione e di prassi, vi assicuro che l’apparato concettuale, con il quale, fino ad ora abbiamo definito la prevenzione e dal quale derivano i servizi che abbiamo, è rispetto alla complessità imposte dalla pandemia, quanto di più epistemicamente superato che si possa pensare.
La nostra gloriosa prevenzione i conti davvero con la complessità, quella vera, fin da quanto è stato organizzata in servizi prima (78)e in dipartimenti dopo (99),non li ha mai fatti.

Da punto di vista epistemico, essa è un ragionamento lineare puramente casualistico che senza un determinismo, supposto a priori, di fronte alla complessità va in crisi cioè resta ampiamente impotente. La pandemia ha imposto in realtà la complessità come la grande partita da giocare.

Devo raccontarvi che io fui costretto a imparare la lezione della complessità, parecchi anni fa, quando la Cgil ,nella quale ero il responsabile nazionale della sanità (quindi prevenzione inclusa) decise di organizzare il “dipartimento ambiente e salute” di cui mi fu affidata la responsabilità. Per me fu una esperienza fondamentale e che oggi, proprio con la pandemia torna buona (La nuova previsione, tecnologia ambiente salute 1990 Editori Riuniti).
Allora, cioè una trentina di anni fa, la contraddizione salute ambiente era garantire la salute in fabbrica e permettere alla fabbrica di danneggiare la salute dei cittadini, oggi la pandemia ripresenta la stessa contraddizione (economia ambiente salute) anche se amplificata a dismisura. Oggi, di fatto, anche in vista di future epidemie, la cura della pandemia è di gran lunga meno strategica di qualsiasi strategia di prevenzione.

Si ha quindi un bel dire One-Health, l’ultimo slogan che tutti citano per sembrare cool, variante di quell’altro “Health in All Policy” lanciato dall'Unione Europea nel 2006 ma rimasto solo uno slogan. Purtroppo, soprattutto per chi la fa semplice come il recovery plan, ma non solo, la traduzione epistemica e organizzativa di questi slogan, implica:
- una ridefinizione culturale e scientifica all’insegna della complessità del rapporto ambiente, economia e salute 
- un ripensamento dei modelli operativi, degli approcci e delle metodologie di intervento, degli strumenti ma soprattutto delle professionalità necessarie quindi delle diverse conoscenze scientifiche necessarie
- un ripensamento delle strategie 
 
Vorrei ricordare che nel 99, con la riforma ter, si tentò in nome del coordinamento di superare la dicotomia tra ambiente e salute, chiamando i servizi di prevenzione “dipartimenti”, cioè facendo la stessa operazione nominalista che oggi si fa per le case della salute. Purtroppo queste dicotomie non si superano senza prima mettere mano a delle vere e proprie riforme culturali, epistemiche, istituzionali,metodologiche e professionali. E infatti le cose non sono cambiate.

Oggi mi chiedo se ha senso, dopo una pandemia, dire one health e avere tre distinti ministeri economia ambiente e salute? O tenere separata l’economia dalla salute? O parlare di ministero della salute quando in realtà come ha dimostrato la pandemia il nostro è un ministero della sanità tourt court.

Su questo giornale lo scorso anno, nel fare un elenco delle cose che secondo me dopo la pandemia avremmo dovuto riformare (QS 17 settembre 2020) al primo posto ho messo:
- la ridefinizione dell’idea di “tutela” cioè dell’idea di difesa e di protezione , come premessa per ridefinire il vecchio concetto di prevenzione e quindi le sue declinazioni culturali istituzionali e organizzative,
- l’introduzione accanto al diritto della salute del “dovere della salute” per dire che nella complessità pandemica senza un ruolo attivo della comunità è inutile parlare di prevenzione e di one health . Dovere alla salute in senso kantiano quindi come obbligo morale vale a dire come obbligo dello Stato a educare le coscienze alla salute ,non obbligo di legge.

La questione per me drammatica resta interamente politica: dopo la pandemia, avremmo bisogno di svolte culturali, di profondi ripensamenti, di riforme, di una nuova visione della salute ma, nel sommergibile in cui siamo, (recovery plan), con un capitano quindi una sinistra di governo che contro riforma la sanità perché non sa riformarla cioè che si spara e ci spara addosso i missili che lancia, non solo per la prevenzione, ma per tutta la sanità, la vedo davvero dura.


 Ivan Cavicchi

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