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Martedì 29 GIUGNO 2021
Il ruolo chiave della figura dello psicologo/psicoterapeuta nelle comunità residenziali



Gentile Direttore,
le Comunità Terapeutiche estensive (denominate oggi nel Lazio SRTRe Strutture Residenziali Terapeutico Riabilitative estensive) sono strutture sanitarie (max 20 pl) per il trattamento volontario globale - psicoterapeutico, farmacologico, relazionale e sociale che - per richiesta del polo territoriale ambulatoriale delle ASL – accolgono pazienti preferibilmente giovani e agli esordi psicopatologici, con disturbi in fase di acuzie, post-acuzie o sub-acuzie, non trattabili a domicilio e che non necessitano di trattamenti in regime di ricovero ospedaliero.
 
Il particolare quadro clinico dell’utenza comporta una disfunzionalità da un punto di vista relazionale, comportamentale, affettivo/emotivo, esistenziale tale da necessitare di un intervento riabilitativo e terapeutico attraverso una presa in carico residenziale (massimo 2 anni) ed una temporanea separazione, “permeabile”, dall’abituale contesto di vita. L’ intervento dunque è adatto per quei pazienti che necessitano di uno spazio e di un tempo necessari per riavviare processi evolutivi interrotti, per sperimentare nuove relazioni significative, per ricostruire, rinarrare e risignificare la propria storia personale con lo scopo di raggiungere un adeguato recupero funzionale per un reinserimento sociale nel proprio contesto di appartenenza. Per il raggiungimento di tali finalità le comunità si avvalgono di un intervento multifattoriale e multidisciplinare di tipo clinico/riabilitativo.
 
L’esperienza quotidiana sul campo, pone in risalto sempre di più l’esistenza di una tipologia di disturbi molti dei quali assumono dal punto di vista sintomatologico forme nuove precedentemente sconosciute e correlate ai cambiamenti sociali. Questo indica che i disturbi si sono complessizzati. Quadri clinici complessi, spesso caratterizzati da esperienze traumatiche - pensiamo ai casi connessi all’adozione soprattutto alle adozioni internazionali; le vulnerabilità narcisistiche (figlie del nostro tempo, che “spingono” molto sul tema della sfida, della competizione e della performance); l’aumento delle condotte suicidarie; i comportamenti dirompenti resi esplosivi dall’ incremento dell’abuso di sostanze; l’isolamento in casa; gravi disturbi di personalità.
 
Tutti casi che richiedono una particolare formazione sia per entrare in relazione che per sintonizzarsi con i bisogni profondi degli utenti. Competenze che si acquisiscono se si è seguito un particolare percorso di studio (se non addirittura attraverso un training personale) dove il professionista, l’operatore, debba essere in grado di riconoscere “dentro di se” ciò che sta accadendo al paziente, per leggerlo, decodificarlo entrarvi in risonanza e restituirlo in maniera pensata e bonificata.
 
Qui la multidisciplinarietà dovrà vedere privilegiare figure formate per rinarrare una storia, ritessere delle relazioni familiari cortocircuitate, “mettere in parola” e significare vissuti poco mentalizzabili e per favorire una trasformazione. Per fare ciò ci vuole tempo, così come qualificata deve essere l’equipe per saper gestire le dinamiche intense che si incontrano quando si lavora con nuclei di sofferenza profondi e poco integrati che richiedono un continuo entrare e uscire, un saliscendi fra soggettività e oggettività, fantasmatico e reale, personale e professionale, che mette alla prova le capacità degli addetti ai lavori.
 
Nella Regione Lazio si è assistito nel tempo a normative che hanno finito di fatto per assimilare le Comunità Terapeutiche sempre più, per caratteristiche e personale, a strutture simil/ospedaliere. Normative che si sono succedute negli anni redatte da funzionari diversi, emanate in tavoli di lavoro che non hanno coinvolto figure tecniche che operano nel settore, con il risultato spesso di una certa disomogeneità o di grossolane incoerenze.
 
Per fare un esempio nella mission delle Comunità è previsto l’intervento psicoterapeutico, ma nell’organigramma del personale viene nominata come figura professionale lo psicologo e non lo psicologo dotato di specializzazione psicoterapica. Laddove è previsto lo psicologo lo è numericamente in maniera assolutamente insufficiente.
 
Va tenuto altresì presente che in una Comunità il “nucleo” della terapia si fonda su una “clinica del quotidiano”, in cui ogni momento della giornata diventa un’occasione di apprendimento dall’esperienza. Il fattore residenzialità insito nell’ intervento comunitario costituisce un “abitare terapeutico” in cui il fatto stesso di abitare un luogo, all’interno di una cornice accuratamente e “clinicamente pensata”, esplica una funzione riabilitativa, fondata sul concetto di quotidianità strutturante. In questo senso, ciò che appare come particolarmente pregnante non sono soltanto gli specifici setting specialistici ma la forte rilevanza clinico/trasformativa della vita di ogni giorno tanto, che si può parlare di ambiente terapeutico globale .Ne consegue che il ruolo dello psicologo non può essere ridotto a figura marginale o di semplice comparsa.
 
Un altro esempio è quella di non prevedere nei ruoli dirigenziali la figura dello psicologo/psicoterapeuta, contrariamente a quanto avviene nel SSN. Tale figura viene prevista invece solo nelle Strutture per disturbi alimentari. La “ratio” di questa scelta non si comprende.
 
I criteri di accreditamento si sono “schiacciati” sul modello ospedaliero prevedendo una sperequazione di figure parainfermieristiche a discapito di figure più propriamente “psico” certamente maggiormente idonee ad un intervento di tipo “trasformativo” . Oggi c’è molta confusione. Nel Lazio le Case di cura psichiatriche (Cliniche) sono state convertite in comunità terapeutiche, forse per la fretta di rispondere ad un fabbisogno. Non è un caso che sotto la denominazione di SRTR troviamo sia le storiche comunità terapeutiche a valenza democratica nate con un assetto fortemente terapeutico sia, appunto, le Cliniche psichiatriche convertite. Strutture queste più idonee a rispondere, a “tamponare” una situazione nell’alveo dell’urgenza e in un periodo intensivo.
 
Tornando alla Comunità terapeutica ribadiamo dunque la specificità dell’intervento dove la residenzialità e l’organigramma deve avere altre caratteristiche rispetto a quelle di un Ospedale, dove il fattore tempo non è un tempo statico ma un tempo dinamico che preveda un lavoro con le famiglie, un progetto individualizzato, dove esiste un lavoro sulla valutazione degli esiti, una supervisione, il coinvolgimento diretto del paziente al progetto, dove avviene una risignificazione della biografia personale degli ospiti. All’interno di una eterogeneità di figure professionali (educatori, terp, assistente sociale, neuropsichiatra infantile, infermiere) è necessaria una cospicua componente di formazione “psico”. Dove il “vulnus” è l’elemento relazionale che possa modificare i Modelli Operativi interni favorendo l’introiezione di nuovi schemi, copioni più adattivi e funzionali.
 
Spesso ci troviamo di fronte a normative “appiattite” su quelle che devono essere le caratteristiche strutturali con una minore riflessione sulla componente specialistica delle professionalità che è opportuno che in esse operino (c’è una sperequazione di OSS ad es. più utili forse per le disabilità). Tralasciamo il tema delle rette giornaliere, del tutto insufficienti (nel Lazio, le più basse a livello nazionale) a discapito di un intervento professionale e con standard elevati.
 
La posta in gioco è troppo elevata: proporre istituzioni inerti caratterizzate da routine ripetitive e prive di senso, “depositi” poco attenti a ricostruire significati e rinarrazioni, seguendo una logica meramente allocativa, o apparati affettivi e nutritivi dove circolino elementi dinamici, maturativi, emancipativi e dove l’intero percorso sia pensato, connotato e ispirato da un’intenzionalità terapeutica?
 
Prof. Claudio Bencivenga
Coordinatore Gruppo Progetto Comunità Terapeutiche
Ordine degli Psicologi del Lazio
Università degli Studi di Parma
Programmazione e Gestione dei Servizi Sociali
Psicologia dei Gruppi e delle Famiglie

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