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Giovedì 08 LUGLIO 2021
Servizi sociali comunali: dai 22 euro procapite della Calabria ai 392 del Trentino Alto Adige. Il Rapporto Federsanità, Anci e Ifel

Nel 2018 la spesa dei comuni per i servizi sociali per abitante è pari a 124 euro con differenze molto ampie: nel Mezzogiorno è pari a 78 euro, poco meno della metà del dato registrato al Nord (152 euro). In particolare si riscontrano dati davvero eterogenei: dai 22 euro pro capite della Calabria ai 392 euro per abitante del Trentino-Alto Adige. La prima regione del Mezzogiorno in termini di spesa dei comuni per servizi sociali è la Sardegna, con 243 euro di uscite per cittadino. IL RAPPORTO.

“Oggi prende corpo plasticamente il programma di collaborazione strategico, previsto dallo statuto, tra Anci regionali e strutture di Federsanità, con il supporto scientifico di Ifel. Una giornata importante”. Ha introdotto così Enzo Bianco, presidente del Consiglio nazionale Anci, la presentazione del secondo Rapporto sui servizi socio-sanitari dei Comuni italiani, frutto della collaborazione tra Federsanità, Anci e Ifel.
 
“Questa strategia – ha sottolineato Bianco – consentirà la collaborazione nei territori tra strutture socio-sanitarie ed enti locali, che eviteranno così sovrapposizioni nell’erogazione dei servizi essenziali. La pandemia ha dimostrato che in passato sono stati commessi errori, ad esempio puntare alle eccellenze ma dimenticando l’importanza della presenza capillare di presidi sanitari nei territori. È necessario modificare le competenze in materia di salute a livello europeo, individuando linee di azione decise e condivise tra gli stati dell’Unione. A livello italiano, la Costituzione – ha concluso il presidente del Consiglio nazionale Anci – assegna competenze alle regioni, che sarà necessario rivedere in una logica di indirizzo omogeneo nazionale”.
 
La presentazione del Rapporto è stata affidata al Direttore di IFEL Pierciro Galeone. “La pandemia ha messo in evidenza carenze consolidate nel rapporto tra servizi per la salute e territorio – ha precisato Galeone - Fin dal suo esordio il Servizio Sanitario Nazionale si è posto il problema dell’integrazione tra le prestazioni ospedaliere e le cure primarie sul territorio. Un tema centrale per migliorare le prestazioni e ridurre l’accesso improprio alle prestazioni ospedaliere. Una questione non ancora risolta che è divenuta ancora più rilevante per l’invecchiamento della popolazione, l’incremento delle cronicità, l’aumento dei cittadini non autosufficienti. I servizi sul territorio sono, di fatto, una dimensione disomogenea e “opaca” in tutto il Paese e mostrano le loro maggiori criticità nelle cosiddette aree interne. Dove il numero degli abitanti è ridotto e tale da non rendere giustificabile l’apertura di servizi ospedalieri e ambulatoriali con continuità e dove raggiungere il centro più vicino comporta spostamenti difficoltosi; dove anche la presenza del medico di medicina generale è a rischio perché il numero di assistiti è troppo ridotto ma, magari, più avanti nell’età e, quindi, più bisognoso di un’assistenza di prossimità”.
 
Nel 2018, si legge nel Rapporto, la spesa dei comuni (Fonte Istat) per i servizi sociali raggiunge i 7,47 miliardi di euro, proseguendo un trend di crescita iniziato nel 2016 con l’allentarsi dei vincoli di finanza pubblica. Rispetto al 2013 il dato ha subìto una variazione positiva pari all’8,9%. Sempre nel 2018 la spesa dei comuni per i servizi sociali per abitante è pari a 124 euro (era di 120 euro pro capite nel 2017) con differenze molto ampie a livello di ripartizione geografica: nel Mezzogiorno è pari a 78 euro, poco meno della metà del dato registrato al Nord (152 euro). In particolare, scendendo a livello regionale, si riscontrano dati davvero eterogenei: dai 22 euro pro capite della Calabria ai 392 euro per abitante del Trentino-Alto Adige. La prima regione del Mezzogiorno in termini di spesa dei comuni per servizi sociali è la Sardegna, con 243 euro di uscite per cittadino.
 
All’aumentare della popolosità dei comuni la spesa pro capite per i servizi sociali cresce: si passa dai 100 euro dei comuni con meno di 10.000 abitanti ai 165 euro nelle realtà che superano i 50.000 residenti. Tale evidenza trova riscontro per le ripartizioni geografiche del Nord e del Centro; caso diverso è quello del Mezzogiorno in cui i comuni fino a 10.000 abitanti registrano nel 2018 un dato pari a 73 euro, superiore alle medie rilevate nei comuni intermedi ma pur sempre inferiore alla media dei comuni oltre i 50mila cittadini.
 
“La pandemia ancora in corso ha dimostrato quanto la capacità di fare rete abbia avuto un ruolo determinante nella gestione dell’emergenza”, ha precisato nel suo intervento Alessandro Canelli, delegato Anci alla finanza locale e Presidente IFEL. “I Comuni – ha ribadito Canelli - insieme alle strutture assistenziali governate dal Sistema sanitario nazionale, alle strutture sociali comunali, senza tralasciare l’apporto delle diverse espressioni della società civile e del Terzo settore, hanno dato prova di una straordinaria capacità di coordinamento e di governance. Il modello di stretta collaborazione tra i vari livelli che sono intervenuti sul territorio è stata la formula vincente per la gestione dei differenti bisogni espressi dai cittadini in un momento che non ha precedenti nella nostra storia. Le risorse del PNRR rappresentano un importante strumento per riorganizzare e restituire a tutte le aree del nostro Paese pari dignità e colmare così il divario digitale e le carenze strutturali del territorio. Siamo convinti che tutti i cittadini debbano godere della stessa qualità dei servizi e della possibilità di accedere alle cure in egual misura. Riteniamo che tra i principali compiti dei nostri sindaci rientri il dovere di fornire risposte adeguate e omogenee alle istanze di salute espresse dal territorio. Ma per raggiungere pienamente questo obiettivo è necessaria una efficace attività multilivello di coordinamento tra primi cittadini, autorità sanitarie locali e regioni”.
 
“Se dovessimo sintetizzare in una battuta quanto emerge dai dati relativi ai servizi del territorio, i numeri della spesa dei Comuni e il loro ridursi in alcune aree strategiche, alla luce di quanto accaduto con il Covid – ha concluso Tiziana Frittelli Presidente Nazionale di Federsanità - ciò che appare del tutto evidente è che investire in salute conviene. Conviene per una serie infinita di motivi ma anche perché, come abbiamo visto, quando la salute entra in emergenza, riduce i diritti delle altre sfere della vita come il lavoro, l’economia, il tempo libero. Investire in salute significa valorizzare le attività di prevenzione e quindi dare sostegno, dare sollievo, liberare risorse, creare aree di felicità e di benessere nell’ottica di una strategia politica one health”.

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