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Mercoledì 14 LUGLIO 2021
I Forum di QS. Quale ospedale per l’Italia? Cavicchi: “Cosa abbiamo appreso da questo forum”

In estrema sintesi potremmo dire che il forum ha espresso delle tesi di maggioranza che hanno rimarcato la necessità innegabile di una fortissima domanda di cambiamento pronunciandosi di conseguenza per riformare la normativa in essere quindi il DM 70. Cui fanno riscontro delle tesi di minoranza che hanno sostenuto una più moderata domanda di riorganizzazione ribadendo la validità sostanziale del DM 70 pur ammettendone la perfettibilità

Il PNRR tra insufficienza e incompetenza
La pandemia, ha reso palpabile ed evidente a tutti l’estrema debolezza del sistema ospedaliero italiano in tutti i suoi aspetti problema che a tutti gli effetti va considerata come la più importante concausa della mortalità registrata in Italia per COVID ed anche per patologie non COVID, che va ricordato resta la più elevata in Europa.
 
Questo forum di Quotidiano Sanità dedicato ai problemi dell’ospedale e al dopo pandemia, ha detto con molta chiarezza che rispetto all’ospedale il PNRR:
• stanzia finanziamenti inadeguati a risolvere le sue criticità reali,
• prevede interventi solo su alcuni aspetti strutturali e nemmeno quelli più rilevanti (metà delle strutture ospedaliere italiane sono state costruite ai primi del Novecento e non sono in grado neppure di ospitare le grandi e più moderne apparecchiature)
• trascura del tutto i suoi cronici problemi funzionali e organizzativi e quelli legati al lavoro professionale
• ribadisce regolamenti vecchi, inadeguati ad affrontare le sfide del nostro tempo
• sottovaluta alcuni snodi cruciali riconducibili principalmente ad errate politiche di deospedalizzazione del passato
• non ha nessun respiro veramente riformatore.
 
Maggioranza e minoranza
In sintesi, il problema di fondo del PNRR circa l’ospedale, dice il forum, è quello “dell’insufficienza” culturale, finanziaria, organizzativa, gestionale, normativa e tecnologica.
 
Nei confronti di questo problema il forum ha espresso nella discussione:
• delle tesi di maggioranza che hanno rimarcato la necessità innegabile di una fortissima domanda di cambiamento pronunciandosi di conseguenza per riformare la normativa in essere quindi il DM 70.
• delle tesi di minoranza che hanno sostenuto una più moderata domanda di riorganizzazione ribadendo la validità sostanziale del DM 70 pur ammettendone la perfettibilità.
 
L’idea e la struttura (il paradosso di Veronesi)
Riemerge, prima di tutto nel PNRR, ma anche in qualche intervento di questo forum, quello che potremmo definire il “paradosso di Veronesi” (Veronesi ministro della sanità nel governo Amato dal 2000 al 2001) cioè il paradosso che ritiene che, a “idea” di ospedale invariante, l’ospedale sia riformabile solo come struttura architettonica.
 
Nel PNRR, le misure previste sull’ospedale, si rifanno prevalentemente al “primato della struttura” ma oggi, ripensare l’ospedale, soprattutto dopo la pandemia, è, prima di ogni cosa, una impresa culturale, sociale, scientifica nella quale la “struttura” dell’ ospedale non è separabile dalla sua “sovrastruttura” quindi dalla sua organizzazione, dalle sue prassi, delle sue conoscenze scientifiche e dalle sue metodologie.
 
Che l’impresa del ripensamento non sia impresa facile lo dimostra, a parte il “paradosso di Veronesi”, la poca innovatività di quella letteratura che va sotto il nome “ospedale del futuro”, le esperienze di riorganizzazione fatte in alcune regioni, il tentativo, per molti discutibile, dell’ospedale ad alta intensità di cura (il toyotismo in luogo del taylorismo), ma, soprattutto, lo dimostra la persistente insolubilità di quei “nodi” che, nel mio articolo di apertura, ho definito “i nodi politici di fondo fino ad ora mai sciolti” e che sino ad ora nessun architetto, nessun funzionario e soprattutto nessun retore, è mai riuscito a sciogliere.
 
H=H
L’ospedale, se esaminiamo le sue vicissitudini storiche (dalle Ipab alle aziende) fondamentalmente tende a restare nonostante i cambi di gestione quello che è e che è sempre stato “ontologicamente”. Una “idea” sempre identica a se stessa (H = H). Come a dire che l’ospedale, quale “idea” fino ad ora non ha mai contraddetto le premesse culturali che lo hanno definito e che ne hanno guidato la funzione, l’organizzazione e le prassi .
 
I decaloghi di principio (umanizzazione, urbanità, socialità, efficacia, interattività appropriatezza, affidabilità, innovazione, ricerca, formazione), richiamati anche in questo forum e che in genere si accompagnano al primato della struttura, sono del resto un esempio di predicati usati in modo retorico e che quindi confermano un’idea tradizionale di ospedale.
 
Quei predicati, naturalmente tutti condivisibili nei loro specifici significati, per essere veramente agiti avrebbero bisogno invece non solo di nuove architetture ma soprattutto di nuove “idee” di ospedale quindi di nuove sovrastrutture, nuove organizzazioni e nuove prassi.
 
Il forum, difronte a questa tenace invarianza dell’idea di ospedale ribadita anche dal PNRR, sollecita un cambiamento, questa volta di genere diverso: certamente tecnico clinico e organizzativo ma prima di tutto culturale sociale e politico e di conseguenza anche finanziario e normativo.
 
La logica delle “dotazioni” e il criterio del necessario/sufficiente
Il Dm 70, dice il forum, è inutile negarlo è una rimasticazione della logica propria alla riforma ospedaliera del 68, almeno nei suoi parametri ispiratori di base.
 
Nato per contingentare le “dotazioni” dell’ospedale (l’insieme dei mezzi materiali dispondibili), esso di fatto definisce “l’ospedale minimo” per cui nei fatti non si allontana dalla vecchia politica della deospedalizzazione e meno che mai è una risposta alternativa al “paradosso di Veronesi”.
 
La logica alla base del DM 70 e quella classica delle “dotazioni” è il suo principale criterio è quello della “quantità sufficiente e necessaria”:
• “sufficiente” è il parametro che se rispettato da solo garantisce la plausibilità e l’ammissibilità finanziaria del servizio;
• “necessario” è la regola che deriva dal parametro che deve essere soddisfatta affinché sia ammessa qualsiasi prestazione ospedaliera e qualsiasi disciplina medica.
 
Formalmente, un “ospedale minimo” per il DM 70 è ammesso, cioè finanziabile, solo se relativamente ai propri parametri di riferimento e alle regole conseguenti, è dentro quantità “sufficienti” e “necessarie” .
 
Riformare le “premesse” per riformare l’idea di ospedale
Il forum, a maggioranza, si è nettamente pronunciato contro la concezione di “ospedale minimo” considerando la logica delle dotazioni, obsoleta nei suoi parametri , con criteri eccessivamente semplificante, ma soprattutto inadeguata a far fronte alle tante e diverse complessità della domanda di salute in gioco.
 
Ne consegue che, per il forum, nessun ragionevole ripensamento dell’ospedale è ragionevolmente possibile a DM 70 invariante.
Se il DM 70 è invariante allora H=H.
 
Oggi, ci dice il forum, l’errore culturale grave che commette il PNRR è ribadire attraverso vecchie premesse culturali una vecchia idea di ospedale e questo dopo quello che è accaduto con la pandemia è inaccettabile.
Il forum, ha posto innumerevoli questioni tecniche legate alle varie discipline mediche, ma, nello stesso tempo, ha posto la grande questione politica di ridefinire in questa società l’idea di ospedale.
 
De-regulation
In questo forum gli interventi più o meno apologetici nei confronti del DM 70 (compreso quelli che hanno omesso di trattare l’argomento) anche se nettamente minoritari, meritano attenzione, perché ci aiutano a capire meglio la contraddizione, tutta politica, di fondo nella quale si trova il PNRR e alla quale ci espone la semplice apologia delle norme:
• da una parte il PNRR sugli ospedali, dice il forum, è del tutto inadeguato perché ribadisce il dm 70 e le sue anacronistiche premesse,
• dall’altra parte, dicono gli apologeti il DM 70, si pone nel PNRR come un riferimento irrinunciabile, perché, ancora oggi esso resta, nonostante tutto, l’unica norma disponibile per definire l’organizzazione dell’ospedale
 
Il timore, non del tutto ingiustificato degli apologeti, al quale, sarebbe sbagliato non dare una risposta, è che cancellare questa normativa, ci espone al rischio:
• della de-regulation, cioè ad un ritorno indietro,
• ad azzerare le politiche di deospedalizzazione fatte sino ad ora quindi ad annullare le limitazioni imposte all’ospedale.
 
Per me questo rischio è legato non tanto ad un ritorno del laissez faire regionale, ma alla difficoltà di immaginare un'altra idea di ospedale e un altro modo di farlo funzionare perché, checchè ne dicano gli apologeti del DM 70, l’ospedale non funziona solo in un modo.
 
Certo che se il DM 70 non sarà sostituito da una normativa più adeguata e più avanzata, il rischio della deregulation, soprattutto a livello regionale, non può essere escluso.
 
Regressività
Vorrei a questo punto far notare la paradossalità che l’apologia del DM 70 rappresenta in quanto tale:
• siccome è “inconcepibile” un altro genere di ospedale ci dobbiamo tenere l’ospedale che c’è,
• per evitare il rischio della de-regulation, l’ospedale, a premesse invarianti, deve restare fondamentalmente quello che è sempre stato e che sempre sarà. Cioè H=H.
 
Se non si è in grado di immaginare culturalmente un ospedale “altro” è ovvio che ci si rassegna a tenere quello che c’è. Per evitare il rischio della derugalation si resta prigionieri a vita della regressività. Se partiamo dalle criticità dell’ospedale, dai bisogni reali dei malati, rivelati dalla pandemia il problema vero è:
• liberarci dalle ragnatele della vetustà normativa, ma solo perché essa, rispetto alle criticità, rende impossibile la loro risoluzione,
• rispondere efficacemente alle criticità che è il vero problema pragmatico da risolvere.
 
Il PNRR sull’ospedale è una risposta ampiamente “insufficiente” ma solo perché non risolve i problemi degli ospedali. Tutto qui.
 
Cambiare la mentalità
“Ma dove sono finiti l’ospedalo-centrismo che tutti condannavamo e la centralità del territorio che tutti invocavamo? Non vorrei che la nostalgia per un ospedale “che funziona” ci facesse tornare indietro. Un ospedale che funziona ha bisogno di meno ospedali e più assistenza territoriale. Era vero e continua ad essere vero”. (Maffei QS 25 giugno 202i)
 
Se, per “mentalità”, intendiamo, l’insieme dei ragionamenti abituali, che in genere si fanno sull’ospedale, allora il brano citato andrebbe considerato, dal punto di vista dell’interpretazione, un “iper testo” che riferisce di una “mentalità”, grazie alla quale, si continua a ragionare come se :
• l’unico orizzonte cognitivo fosse l’ospedalo-centrismo,
• esistesse una centralità sbagliata, quella dell’ospedale, e una centralità giusta quella del territorio (il territorio-centrismo),
• l’ospedale “minimo” dovesse per legge essere contrapposto a un territorio “massimo”,
• questa “mentalità” fosse “incontrovertibile” cioè vera ieri, vera oggi e vera domani, esattamente come se fosse una legge naturale.
 
E’ inutile dire che sono convinzioni tanto rispettabili quanto confutabili. Perfino la fisica ha rinunciato alla assolutezza delle leggi universali, quanto al centro e al centralismo, con la teoria della complessità, abbiamo capito che non conviene più parlare di un “centro” quando la realtà è complessa. Il malato complesso è tale perché nello stesso momento ha tante priorità di cura cioè tanti centri. Restare nella mentalità del “centralismo” significa restare dentro un caratteristico apparato concettuale che, fatti alla mano, dopo la pandemia, non ha più ragione di essere.
 
La catastrofe e le priorità
La logica sulla quale si base la “mentalità centralista” e ripresa dal PNRR, è quella che potremmo definire delle “priorità competitive” (è più importante il territorio o l’ospedale? E’ meglio avere meno ospedale o più territorio? Serve più assistenza domiciliare o più assistenza ospedaliera? Ecc.).
 
Per il PNRR, il territorio, è evidentemente più importante dell’ospedale, esattamente come nel DM 70, mentre se guardiamo i bisogni reali delle persone, ma soprattutto le complessità in gioco, il territorio è importante almeno quanto l’ospedale.
 
Se, in una pandemia, le priorità di salute sono tante e le mettiamo in una gerarchia(prima/dopo, più importante/meno importante, più urgente/meno urgente, più utile/meno utile, ecc.) qualsiasi priorità perde il suo statuto di priorità. Tutte le priorità, se sono tali, non possono che cooperare in quanto tali e possibilmente tutte insieme. Una priorità è una priorità, cioè qualcosa che ha una precedenza e un grado più alto di importanza.
 
La “Progressive Patient Care” (PPC) come è noto è una concezione di cura che raggruppa i malati secondo il “grado di complessità” che essi presentano, per poi allocarli nel setting di cura più appropriato, e quindi trattarli con “programmi ”adeguati al grado di complessità.
Ragionare per “gradi complessità” e ragionare per “priorità” e per “centralità” sono due “mentalità” opposte.
 
Le priorità della retorica e la retorica delle priorità
Anche in questo forum sono state elencate, anche in modo piuttosto perentorio, delle “priorità” finalizzate al “rinnovamento”, con la conseguenza inevitabile di dimenticarne sempre qualcuna e quindi di risultare un’operazione non solo retorica ma lacunosa ma soprattutto tutt’altro che rinnovante.
 
Dopo una pandemia non ha senso, con centinaia di migliaia di morti, ricordarsi delle diseguaglianze e dimenticarsi, ad esempio, della prevenzione.
Individuare delle priorità, ovviamente, è un importante e utile criterio epistemico che obbedisce a certe regole logiche. Ma esso per essere agito abbisogna a proposito di epistemologia di certe garanzie. In clinica, per un medico, è normale ragionare per priorità. Ma nella clinica l’obiettivo, che il medico sceglie di raggiungere in via prioritaria, non è mai separato dalle condizioni disponibili per il suo raggiungimento. Cioè nella clinica “teleologia” (la logica del raggiungimento dello scopo) e “teleonomia” (la logica della messa in opera del programma) coincidono, vale a dire, che per il clinico “scopo” e “programma”, come per qualsiasi pragmatista sono sempre una cosa sola.
 
In clinica lo scopo da raggiungere è sempre subordinato ai mezzi disponibili e in nessun caso un obiettivo raggiunto si può misurare in assenza di risultati.
 
Nella retorica politica “teleologia” e “teleonomia” spesso non coincidono, cioè il raggiungimento dello scopo non è mai garantito dalla messa in opera di un programma( tutti i mezzi culturali disponibili). E meno che mai dal risultato. Dire ad esempio che la lotta alle diseguaglianze è una priorità, senza un programma riformatore in grado di intervenire su tutte le concause che spiegano le diseguaglianze, (controriforma del titolo V, quota capitaria ponderata, incapacità gestionali, ecc) è solo retorica e demagogia.
 
Gli scarti tra standard convenzionali e bisogni reali
Ma a parte questo non si deve dimenticare che le diseguaglianze sono anche l’effetto collaterale della degenerazione degli ideali dell’universalismo. Per definire la diseguaglianza effettiva prima si deve definite l’eguaglianza effettiva.
Se l’universalismo è considerato, come in tutta la nostra normativa “uniformismo” e se la misura dell’eguaglianza sono i Lea cioè degli standard convenzionali di prestazioni, anche se tutto andasse per il meglio, è impossibile non avere delle diseguaglianze perché con tutte le differenze regionali che esistono, è impossibile che convenzione e realtà siano coincidenti. Le più importanti diseguaglianze in sanità sono gli scarti tra convenzione e realtà. Questi scarti contraddicono l’ideale dell’universalismo inteso come burocratico uniformismo.
 
Quindi che senso ha parlare di diseguaglianze come problema prioritario senza una ridefinizione dell’idea di universalismo?
I finti riformatori parlano di priorità ed indicano scopi che senza un programma restano retorici cioè irraggiungibili, i riformatori al contrario propongono programmi sapendo bene che senza di essi gli scopi non sono raggiungibili.
 
“Compossibilità” vuol dire organizzare a contraddizioni zero una realtà a più priorità quindi una realtà nel suo complesso “prioritaria”.
Dopo la pandemia non esistono in realtà “priorità sanitarie”, esiste la sanità come “priorità” alla quale deve corrispondere un “programma” che non può non essere una riforma. IL PNRR ha escluso la sanità dagli ambiti da riformare limitandosi a proporre alla fine un alista per altro discutibile di misure tampone.
 
Cambiare le premesse
Nelle 8 ipotesi di lavoro, proposte nel mio articolo di apertura del forum, c’è il tentativo di cambiare le premesse della definizione di ospedale.
Il passaggio malattia/ malato, ricoverato/ospite, cura/degenza, la complessificazione dei parametri, il problema dei DRG e del rapporto tariffe/prestazioni, il sistema unico interconnesso, la compossibilità, ecc., sono premesse diverse rispetto a quelle vecchie che sono a monte della normativa in essere.
 
Molte proposte emerse dal forum, si faccia attenzione, si costituiscono tutte come cambi di premesse e per me, le più importanti, sono le seguenti:
• l’ospedale è un servizio ad alta complessità è sbagliato e pericoloso governare la complessità con logiche verticistiche, monocratiche, riduttive, amministrativistiche, banali. Quindi si distingua “governo” da “amministrazione” e si definisca un governo dell’ospedale partecipato, delegato e diffuso. Se non cambia la premessa del governo, l’ospedale non cambierà.
 
• Il principale capitale dell’ospedale è il lavoro professionale cioè è il sapere scientifico organizzato con il lavoro e attraverso le prassi applicato alla cura delle malattie. E’ sbagliato considerare le prassi, come spesa corrente esse andrebbero considerate un investimento esattamente come la scienza e la ricerca scientifica. Investire nel capitale scientifico organizzato per prassi ovviamente al contrario di ciò che pensa qualche sindacato, deve dare delle contropartite cioè deve garantire tanto un guadagno sociale per la collettività quanto un guadagno retributivo per chi lavora. Altra premessa importante: se non si risolvono i problemi del lavoro in ospedale quindi i profondi squilibri del mercato del lavoro, (specializzazioni, formazione, precarietà, retribuzioni) il suo ripensamento è cosa vana. Come si fa a pensare un nuovo ospedale sulla precarietà ribadendo modi retributivi che prescindono dalle complessità in gioco?
 
• La base scientifica su cui poggia l’ospedale è la clinica, intesa in tutte le sue articolazioni specialistiche, nessun ospedale può sperare di svilupparsi se non si sviluppano scientificamente le discipline mediche. La clinica al confronto con la complessità del malato ormai non è più riducibile a prestazioni quindi a volumi, o peggio a DRG . Essa è un processo, un’opera non una collezione di atti tecnici. L’ospedale è il luogo dove l’ opera clinica si realizza. Tutte le norme volte ad “amministrare la clinica”( legge 229 ) sono da correggere.
 
• L’ospedale è una comunità di persone e come tale deve essere organizzata per mezzo di relazioni intersoggettive . Una comunità che si basa su relazioni intersoggettive non è riducibile ne a posti letto ne a tecnologie e meno che mai a volumi. Ciò che è strumentale alla comunità (ad esempio la tecnologia) non può in nessun modo essere considerato a prescindere dalla comunità.
 
• L’investimento in tecnologie è indubbiamente necessario. Se le tecnologie sono considerate estensioni della scienza e quindi di chi le usa e se la scienza serve a curare le malattie, allora esse diventano parte integrante del capitale professionale e non possono essere pensate separate da tale capitale.
 
Considerazione “politica” conclusiva
Per “insufficienza” e per “incompetenza” della politica quindi del governo si corre a causa di un PNRR sbagliato il rischio del default vale a dire:
• sprecare il PNRR come occasione riformatrice,
• spendere le scarse risorse previste prevalentemente per problemi legati alle strutture,
• lasciare irrisolti i vecchi problemi funzionali e gestionali, dell’ospedale,
• indebolire ulteriormente un servizio strategico che a tutti gli effetti ancora oggi è l’unico che protegge la nostra società in caso di malattia, dall’esiziale.
 
Se la sanità, dopo una pandemia, è da ripensare, allora deve essere chiaro che la sanità, cittadini compresi, senza la sanità cioè senza le competenze culturali e scientifiche non è ripensabile.
E’ del tutto incomprensibile che il governo abbia pensato di scrivere il PNRR senza coinvolgere la sanità, le sue istituzioni, i suoi servizi, le sue professioni.
 
Ma a parte questo, nessuna cosa, a proposito di ospedale è ripensabile se non si riabilita un pensiero antiretorico come strumento per cambiare le “idee” che abbiamo sull’ospedale.
 
 
Ringraziamenti
Insieme all'amico Cesare Fassari che ha deciso di ospitare questa bella discussione, voglio ringraziare tutti coloro che questo forum hanno reso possibile, complimentandomi per il contributo di pensiero offerto, nella comune speranza di definire un ospedale all’altezza delle sfide e dei bisogni del nostro tempo.
Il prof Cognetti merita un particolare ringraziamento in ragione tanto della sua puntuale analisi della situazione ospedaliera, quanto della sua complicità, senza la quale, in questo forum non avremmo avuto tanti contributi così tanto qualificati.


Ivan Cavicchi
 
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