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Giovedì 02 SETTEMBRE 2021
Cosa cambia con la nuova norma sul ruolo sociosanitario

L’approvazione del ruolo sociosanitario per assistenti sociali, operatori sociosanitari e sociologi dipendenti del SSN ha la stessa valenza di emancipazione e riconoscimento delle loro funzioni e competenze con conseguenti implementazioni delle stesse, che ebbe per le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica la legge 42/99

Passati i festeggiamenti per l’approvazione, dopo più tentativi vanificati, del ruolo sociosanitario a modifica ed integrazione dello stato giuridico del personale del SSN di cui al DPR761/70, festeggiamenti corali che hanno confermato la giustezza e la validità della norma, riterrei necessario ed indispensabile che venga esaminata, analizzata e prospettata l’efficacia della norma introdotta che, a mio giudizio, non può essere considerata una semplice ricollocazione di un personale da un ruolo ad un altro bensì come una norma che interpreta, declina e attua un’evoluzione progressiva e positiva dell’organizzazione del lavoro in sanità con il conseguente rimodellamento avanzato delle competenze e che, mi auguro, contribuisca, finalmente, alla generalizzazione della attuazione dell’integrazione sociosanitaria.
 
L’approvazione del ruolo sociosanitario per assistenti sociali, operatori sociosanitari e sociologi dipendenti del SSN, ma con evidenti riflessi anche negli altri comparti di lavoro pubblici e privati, ha, infatti, la stessa valenza di emancipazione e riconoscimento delle loro funzioni e competenze con conseguenti implementazioni delle stesse, che ebbe per le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica la legge 42/99 con il superamento della definizione di professioni “ausiliarie” con il riconoscimento della loro piena autonomia nell’esercizio delle proprie specifiche competenze e funzioni e con l’abolizione del mansionario ed la conseguente affermazione legislativa che le competenze sono la conseguenza dell’effetto dinamico dei contenuti dei decreti istitutivi professionali, dell’evoluzione di quanto contenuto nei codici deontologici e della formazione di base e post base.
 
La tipologia dei ruoli del personale dipendente del SSN diviene così caratterizzata da sei ruoli: i primi quattro sono quelli originari del DPR 761/79, lo stato giuridico del personale del SSN, come previsto dalla stessa legge 833/78 è cioè: sanitario, tecnico, professionale ed amministrativo, fu aggiunto recentemente il ruolo del personale della ricerca sanitaria ed ora il ruolo sociosanitario, quindi su sei tre intervengono direttamente nella “linea di produzione della salute” per dirla in termini aziendalistici mentre gli altri tre sono “ amministrazione dei fattori produttivi”
 
Analizziamo le differenze tra ruolo tecnico e ruolo sociosanitario: l’articolo 1 del richiamato DPR 761/79 indica che “appartengono al ruolo tecnico i dipendenti che esplicano funzioni inerenti ai servizi tecnici di vigilanza e di controllo, generali o di assistenza sociale” e già almeno un profilo era già fuori luogo e cioè l’operatore sociosanitario che non esplica le suddette funzioni, anzi si chiama anche “sociosanitario” nomen omen che c’entrava con il ruolo tecnico?
 
Il ruolo sociosanitario trova la sua motivazione giuridica dal fatto che la legge 3/18 richiamando e contestualizzando l’area delle professioni sociosanitarie già contenuta nel d.lgs. 502/92 ha già previsto ope legis che ne fanno parte i preesistenti profili di assistente sociale, educatore professionale, sociologo e operatore sociosanitario in attesa dell’individuazione di ulteriori profili in detta area; si era già spiegato perché l’educatore professionale dovesse rimanere inquadrato nel ruolo sanitario anche se citato nell’area sociosanitaria, mentre per gli altri tre profili il legislatore ha, giustamente ritenuto incongrua ed errata la loro collocazione nel ruolo tecnico e non ritenendo opportuna la loro collocazione nel ruolo sanitario tout court sanitarizzando e snaturando la loro specificità, li ha invece collocati nel nuovo ruolo sociosanitario.
 
Si tratta ora di analizzare e comprendere quale dovrebbe essere l’ambito di competenze di profili inseriti nell’area delle professioni sociosanitarie in quanto l’articolo 5 della legge 3/18 specifica che: “Al fine di rafforzare la tutela della salute, intesa come stato di benessere fisico, psichico e sociale, in applicazione dell'articolo 6 dell'intesa sancita il 10 luglio 2014, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sul nuovo Patto per la salute per gli anni 2014-2016, è istituita l'area delle professioni sociosanitarie, secondo quanto previsto dall'articolo 3-octies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.”
 
Il richiamato articolo 6 del Patto per la salute 2014/2019 declina l’Assistenza sociosanitaria prevedendo che:
1. Le attività indicate al presente articolo sono effettuate nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente per gli ambiti di intervento individuati nei successivi commi.
 
2. Le regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, sociosanitarie e sociali, particolarmente per le aree della Non Autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell’età evolutiva, dell'assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle ASL ed agli altri enti del sistema sanitario regionale per l'erogazione congiunta degli interventi, nei limiti delle risorse programmate per il Ssr e per il Sistema dei servizi sociali per le rispettive competenze.
 
3. L'accesso alla rete integrata dei servizi sociosanitari avviene tramite un "punto unico" che indirizza ii cittadino al percorso sociosanitario e socioassistenziale adeguato alle sue condizioni e necessita.
 
4. Per l'individuazione del setting di erogazione delle prestazioni sociosanitarie (domiciliare, territoriale ambulatoriale, semiresidenziale o residenziale) e l'ammissione ad un livello appropriate di intensità assistenziale si fa ricorso alla valutazione multidimensionale effettuata con uno strumento valutativo del quale sia stata verificata la corrispondenza con gli strumenti gia concordati dalle Regioni con il Ministero della salute.
 
5. La valutazione multidimensionale accerta la presenza delle condizioni cliniche e delle risorse ambientali, familiari e sociali, incluse quelle rese disponibili dal Sistema dei servizi sociali, che possano consentire la permanenza al domicilio della persona non autosufficiente.
 
6. Il Piano delle prestazioni personalizzato, formulate dall'equipe responsabile della presa in carico dell'assistito, individua gli interventi sanitari, sociosanitari e sociali che i servizi sanitari territoriali e i servizi sociali si impegnano a garantire, anche in mode integrate, secondo quanta previsto per le rispettive competenze dal DPCM 29 novembre 2001 e successive modifiche e integrazioni.
 
7. Al fine di promuovere una più adeguata distribuzione delle prestazioni assistenziali domiciliari e residenziali rivolte ai malati cronici non autosufficienti, a conferma ed integrazione di quanto già stabilito dal Patto per la salute 2010-2012, si conviene che le Regioni e le Province Autonome, ciascuna in relazione ai propri bisogni territoriali rilevati, adottano ovvero aggiornano i progetti di attuazione dei commi precedenti, dando evidenza:
- del fabbisogno di posti letto, espresso in funzione della popolazione da assistere presso le strutture residenziali e semiresidenziali destinate ai malati cronici non autosufficienti, ai disabili, alle persone con disturbi psichiatrici, ai minori e alle persone con dipendenze, articolato per intensità assistenziale e per durata e con evidenza di proporzione tra assistiti in regime residenziale e in regime domiciliare;
- del fabbisogno, espresso in funzione della popolazione da assistere, e l'organizzazione delle cure domiciliari sanitarie e socio-sanitarie articolate per intensità, complessità e durata dell'assistenza;
- delle modalità di integrazione nelle UVMD di tutte le professionalità, anche al fine di garantire una gestione integrata delle risorse impiegate nel progetto assistenziale.
 
8. Le Regioni si impegnano ad armonizzare i servizi sociosanitari, individuando standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie che saranno definite anche in relazione al numero e alla tipologia del personale impiegato.
 
Giova, a questo punto, ricordare quali siano, in virtù dell’articolo 3-septies del DLGS 502/92 le prestazioni garantibili nell’Integrazione sociosanitaria:
1. Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
 
2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
 
3. L'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419, da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro della sanità e del Ministro per la solidarietà sociale, individua, sulla base dei principi e criteri direttivi di cui al presente articolo, le prestazioni da ricondurre alle tipologie di cui al comma 2, lettere a) e b), precisando i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria di cui al comma 4 e alle quali si applica il comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario.
 
4. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.
 
5. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
 
6. Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La regione determina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.
 
7. Con decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per la funzione pubblica, è individuata all'interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli interventi e ai servizi sociosanitari.
 
8. Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall'articolo 3-quinquies, comma 1, lettera c), le regioni disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su base distrettuale, delle prestazioni sociosanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali sociosanitari.”
 
Ne consegue che in virtù dei richiamati disposti legislativi gli appartenenti all’area delle professioni sociosanitarie di cui all’articolo 3 octies del d.lgs. 502/92 e dell’articolo 5 della legge 3/18, qualora siano dipendenti delle Aziende sanitarie, concorrono, per quanto di loro competenza e funzioni, all’erogazione delle prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria che attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative, essendo, invece, le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria competenza dei Comuni; pertanto se ne deduce, che questi professionisti ed operatori rientrano a pieno titolo nella linea di produzione della salute nella sua accezione indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia», come la stessa norma dell’articolo 5 della legge 3/18 ben chiarisce.
 
Se questa ricostruzione normativa, come penso, è corretta, sarebbe quanto mai opportuno un conseguente adeguamento delle competenze dei dipendenti del SSN che appartengono al neocostituito ruolo sociosanitario attraverso l’istituzione di specifici tavoli presso il Ministero della Salute con il coinvolgimento attivo e protagonista non solo delle Regioni ma anche e con particolar rilievo delle rappresentanze sindacali e professionali del personale coinvolto; così come coinvolgendo per le rispettive competenze i due dicasteri della conoscenza (università e pubblica istruzione) forse sarebbe opportuno rivedere i contenuti formativi, sicuramente per l’OSS, ma una contestualizzazione anche per gli altri profili sarebbe auspicabile.
 
Si tratterebbe di dar vita, così, ad una stagione di coinvolgimento, condivisione e concertazione non solo per riempire di contenuti riformatori la norma che ha istituito il ruolo sociosanitario ma anche e soprattutto perché la stessa possa essere messa in grado di esplicare al massimo le sue potenzialità innovative in questa fase di rifondazione e potenziamento del SSN per effetto ed in conseguenza del PNRR, in cui l’integrazione sociosanitaria è parte integrante, fondamentale e strategica, specialmente se si tiene conto del mutato quadro nosologico e demografico del nostro Paese.
 
Saverio Proia

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