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Giovedì 02 SETTEMBRE 2021
Sanità. Perché si rischia la retorica



Gentile Direttore,
il dibattito sulla “sanità” prende forma, magari con toni enfatici richiamando “il Piano Marshall”, dopo anni di dimenticanze e sottovalutazioni si parla di un Settore dove professionisti operano per garantire, senza retorica, un diritto fondamentale garantito da una Costituzione che i nostri lungimiranti Padri ci hanno consegnato dopo tanti sacrifici. Nel contempo, però, molte analisi appaiono datate e riproducono gli stessi termini presenti dal 1978, solo che la situazione attuale è di molto peggiorata in tutto il Paese con rare eccezioni.
 
Mi soffermo su alcuni elementi ripresi, spesso insufficientemente, da “esperti o studiosi”.
 
1. Chiusura di piccoli ospedali. Questo rappresenta un elemento che fonda le sue radici almeno 30 anni fa (1992), ma che non ha mai trovato una definitiva soluzione. I cittadini hanno ragione nel confutare la tesi di chiusura, per loro, specie nelle sperdute comunità, l’ospedale per quanto piccolo (inefficiente, incompleto) rappresenta l’unico “presidio” pubblico a cui rivolgersi per “le necessità di base”. E’ un dispendio di energie, risorse e personale, però è l’unica risposta, pur minima, che viene data. Forse non è il caso di pensare che prima si deve creare, far funzionare bene le strutture sul territorio e solo dopo operare le chiusure? E’ difficile comprendere che prima si devono fornire reali garanzie ai cittadini e solo dopo produrre gli atti di chiusura? In questa logica va potenziata l’analisi e gli investimenti su quello che indistintamente chiamiamo “territorio” non considerando che, per definizione, parliamo di entità diverse anche in ambito regionale. L’intervento sul “territorio” non si esaurisce con i Distretti o gli Ospedali (Case) di comunità. Questo non basta, bisogna rivedere la funzione dei Medici di Base, integrare organici con nuove figure professionali (es. gli infermieri di famiglia), ridisegnare il ruolo delle Farmacie nel sistema e in un progetto programmatorio di grande respiro.
 
2. Strumentazione vetusta e non adeguata. Il dato è diffuso nel Paese, ed è risaputo da anni, ma l’analisi è sterile. Chi è responsabile di questa situazione? e al di là della Responsabilità (che in questo Paese è una brutta parola, tanto quanto il merito) vale la pena di ricordare che non è una casualità: c’è volontà di ridurre lo spazio della sanità pubblica (la strumentazione nel privato è ora, generalmente, più efficiente e moderna, ma non era così anni fa), di ricercare modelli organizzativi diversi (aziende zero, centri acquisti centralizzati) che non hanno prodotto risparmi (nessuno l’ha mai provato e verificato), viceversa hanno portato un allungamento dei tempi di azione, una desertificazione del mercato, una mortificazione del personale.
 
3. Il modello di governance non è ininfluente sulla gestione complessiva del Settore. Con al riforma dei primi anni ‘90 e sull’onda emotiva di tangentopoli, il legislatore ha profondamente modificato l’architettura di sistema, intervenendo sulla “struttura delle U.S.L.” e sulla loro governance. Va bene la modernizzazione, ma qualche considerazione va posta. Una Azienda, per definizione, è finalizzata al “profitto”, ma l’Azienda Sanitaria non lo può essere e non lo deve fare. Il bilancio non dipende da “vendita di prodotti”, ma dal “fornire servizi” con le risorse date. Proprio qui sta il primo punto. Le risorse sono assegnate dalla politica e la politica investe considerando sì il bene pubblico (si spera), ma con un occhio attento al marketing ovvero al consenso la cui ricerca guida anche le scelte del DG che è scelto dal Presidente della Regione sulla base di proprie “considerazioni” che non prescindono dal consenso. La domanda è retorica: possiamo ancora permetterci una governance fintamente (mi si passi la generalizzazione) tecnica?
 
4. Il tema del “Personale”, non lo si pone per le carenze o mancanze, senza’altro vere e sottostimate, ma per ordinare alcuni aspetti visto che l’attività si fonda sull’atto umano. Operano circa 600.000 professionisti, in maggioranza con un lungo percorso formativo post laurea, specialisti di diversa estrazione, che coprono un servizio 24 ore al giorno per 365 giorni. In nessuna impresa privata la risorsa principale, specializzata e composita, è stata colpita come nel settore della Sanità.
 
Alcuni esempi.
- Un professionista cessa il rapporto (va in quiescenza, nel caso tipico). Nel privato si pensa alla sostituzione molto tempo prima: si assume, si affianca, si scambiano competenze e conoscenze. Nel S.S.N. le regole consentono la sostituzione solo dopo la cessazione, mediamente dopo 18 mesi. Si inserisce così un soggetto che non ha nessuna pratica o “dimestichezza” con il servizio pur provenendo da un lungo (forse troppo?) percorso formativo. Questo non si chiama disservizio? Non rappresenta un reale dispendio e spreco di risorse?
 
- La vistosa riduzione del personale amministrativo si fonda sulla considerazione che queste professionalità non servono, la loro attività sub appaltabile. Questa tesi miope e infondata, ha comportato pesanti disservizi: una procedura concorsuale svolta in 18 mesi anziché 6, l’acquisto di un bene o servizio in tempi raddoppiati, i servizi tecnici quasi tutti appaltati. Ne valeva la pena? Abbiamo avuto risparmi o abbiamo perso professionalità?
 
- Si parla di incapacità del S.S.N. di “attirare” e soprattutto “fidelizzare” i propri professionisti ma c’è la consapevolezza che non si è fatto nulla per sostenere questa esigenza? I contratti prevedono stipendi e regole uguali per tutta la P.A., la retribuzione è di gran lunga inferiore della media europea e anche dell’equivalente del mondo delle “imprese”. Un“quadro”, laureato e con esperienza, ha una retribuzione di 1.500 euro/mese, nel privato? Proprio pochi giorni fa la stampa riportava un appello di un imprenditore che cercava “camionisti”, che non trovava, e offriva 3.000 euro/mese che è un importo superiore di circa 1/3 della retribuzione di un medico neo assunto (dopo laurea e specializzazione) ed è doppio di quello del professionista (anch’esso laureato) infermiere. Forse non è il caso di pensare ad investire in quest’ambito? Finora i Professionisti hanno affrontato il lavoro come una missione, eravamo parte di una comunità che poteva avere una retribuzione limitata, ma trovava compenso e completamento nella percezione di svolgere un ruolo sociale che ripagava gli sforzi e l’impegno. Per anni questo ruolo sociale è stato oggetto di continui attacchi e tentativi di ridimensionamento (l’aggressione di infermieri e medici, anche fisica, troppo spesso, è all’ordine del giorno). La politica ha ricercato il consenso colpendo la risorsa principale, qualsiasi reclamo ha comportato (generalmente) ispezioni (quasi sempre senza risultato), ridimensionamenti ed estromissioni dalla vita della singola Azienda. Il merito è stato sostituito dalla “fedeltà” politica o non considerato e l’impegno dalla ricerca del consenso (meglio non fare che fare rischiando), ma lavorare in Sanità significa dare tutto, sempre, anche sotto stress, in piena coscienza, significa rischiare nei limiti del proprio sapere e professionalità. Chi ha contribuito a questa demolizione? Chi ha cercato il consenso politico e non l’ottimale funzionamento?
 
- I ricercatori sono professionisti fondamentali per far progredire il Settore, ma i proclami di “valorizzazione” si tramutano in rapporti precari e i Ricercatori solo da 3 anni hanno un contratto di lavoro con il S.S.N. con una retribuzione si aggira attorno ai 1.500 euro/mese. Lo si sa? Ci si può stupire se questi giovani laureati magari optano per l’estero? Possiamo meravigliarci? I Ricercatori del “privato” hanno le stesse condizioni? Ecco quando si fa riferimento (in termini un po’ altisonanti) al Piano Marshall, va considerato che qualsiasi investimento non può prescindere dalla necessità di far comprendere ai cittadini che la Salute è il bene più prezioso e chi si impegna per assicurarla ha diritto a una equa retribuzione e a un riconoscimento sociale che è implicito nella propria funzione. Ce la faremo? La risposta è nel vento, richiamando il Mr. Bob Dylan.
 
Renzo Alessi
Già Dirigente e Direttore di Aziende sanitarie. Esperto di contrattualistica in Sanità e autore di pubblicazioni in materia

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