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Lunedì 27 SETTEMBRE 2021
Servizio sanitario nazionale, pandemia e giustizia sociale



Gentile Direttore,
la pandemia Covid-19 se, da una parte, ha messo drammaticamente in evidenza i limiti del nostro Servizio Sanitario Nazionale, dall’altra ha accresciuto in molti cittadini la consapevolezza della importanza di un servizio sanitario pubblico efficiente ed in grado di fronteggiare adeguatamente non solo eventi che sfuggono al controllo del singolo cittadino per la loro gravità e per il costo esorbitante dei loro trattamenti, ma anche vere e proprie calamità, come le epidemie o le pandemie da contagio infettivo che colpiscono la collettività in quanto tale e richiedono misure di assistenza e di igiene pubblica che solo lo Stato è in grado di mettere in atto.
 
Per una tale organizzazione occorrono infatti ingenti investimenti in pura perdita dal punto di vista economico perché il loro unico prodotto è rappresentato dalla salute dei cittadini, bene di incommensurabile valore, ma non commerciabile. Tutto ciò configura una particolare ed altissima forma di solidarietà che trova la sua massima espressione nell’Art. 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti….”.
 
Nonostante i circa venti anni di blocco del turn-over e di tagli selvaggi delle risorse che hanno comportato la riduzione di oltre il 50% del personale ed ha accompagnato un ferale processo di aziendalizzazione e di privatizzazione della sanità in Italia, si può affermare, ad oggi, che la prova della pandemia può considerarsi sostanzialmente superata grazie soprattutto all’impegno e all’abnegazione di tutto il personale sanitario (che, come è ben noto, ha pagato con un elevato tributo di vite il suo impegno) e grazie ai virtuosi comportamenti dei cittadini i quali, a parte una minoranza di cosiddetti “no-vax” si sono attenuti scrupolosamente alle regole.
 
Ad oggi, si potrebbe forse affermare, parafrasando e stravolgendo il senso del Bollettino della Vittoria, che i resti di quello che fu uno dei più potenti Servizi sanitari del mondo combattono efficacemente un pericolosissimo virus. E i Governi che si sono succeduti sono stati all’altezza della prova pur se non sono mancati alcuni gravi errori, forse inevitabili in considerazione della assoluta novità dell’esperienza. Il Governo, ha infatti dovuto mettere in atto, in piena emergenza, provvedimenti straordinari come l’allestimento ex novo di strutture anche sofisticate per l’assistenza dei pazienti e la organizzazione di una campagna vaccinale di proporzioni gigantesche.
 
Non sono mancate nel corso degli ultimi mesi prese di posizione di autorevoli personaggi, di gruppi politici, di gruppi organizzati di cittadini utenti dei servizi, di operatori sanitari e dello stesso Governo, che hanno sostenuto con particolare fermezza la necessità e l’urgenza di un adeguato “rafforzamento” del SSN per metterlo in grado di fronteggiare nel modo migliore le sfide sempre più impegnative e pressanti dell’era moderna.
 
Segnalerei, fra gli altri, la scesa in campo di alcuni nuovi soggetti culturali e rappresentativi, quali l’Associazione “Salute Diritto Fondamentale” (Quotidiano Sanità 14/9/2021) espressione di utenti dei servizi, di rappresentanti delle professioni sanitarie e di esponenti politici di varia estrazione, e il “Forum Permanente sul Sistema Sanitario Nazionale nel post-Covid” (Quotidiano Sanità 15/9/2021), espressione di 12 importanti Società scientifiche oltre che di insigni rappresentanti delle università.
 
L’ Associazione Salute Diritto Fondamentale denuncia con preoccupazione la tendenza al ribasso (dal 6,6% del PIL negli anni 2017-2020 al 6,4 nel 2024) della spesa pubblica programmata e descrive quattro “indizi” che “stanno a indicare che è sempre più attuale il disegno di privatizzare la sanità italiana, iniettandovi generose dosi di mercato”.
 
Non si può negare, come rileva Ivan Cavicchi su questo giornale, che la prevalente privatizzazione della Sanità italiana è un consolidato dato di fatto e che oggi parlare di privatizzazione strisciante è, quanto meno, improprio, tuttavia la presenza di un movimento che si ispira alla centralità della questione salute e alla necessità di un profondo cambiamento della organizzazione dell’assistenza sanitaria è già un importante passo in avanti rispetto all’inerzia e alla rassegnazione che hanno dominato nel decennio appena trascorso.
 
Non si può d’altra parte perseverare in percorsi che si sono dimostrati assolutamente inadeguati e in una perenne richiesta di risorse sempre più insufficienti senza affrontare problemi di fondo che sono alla radice della debolezza delle strutture pubbliche. Da questo punto di vista anche le risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza (PNRR) rappresentano un’ottima opportunità purché utilizzate nel quadro di una visione complessiva del ruolo del SSN nella realtà socio-economica del nostro Paese.
 
Il Forum Permanente sul Sistema Sanitario Nazionale nel post-Covid, nel documento citato “Ecco come ricostruire la sanità dopo la pandemia”, centrato soprattutto sull’organizzazione del sistema ospedaliero, pone l’assoluta necessità di ridisegnare il Sistema Sanitario Nazionale anche sulla base delle carenze emerse durante la pandemia, descrive con grande accuratezza ed efficacia i limiti del SSN e formula proposte fondate sull’esperienza, senz’altro di grande valore pratico e da attuare con urgenza, ma non approfondisce sufficientemente, a mio avviso, l’integrazione “Territorio-Ospedale”, alla quale, pure, il documento più volte si richiama, che influenza notevolmente lo sviluppo del Sistema ospedaliero stesso e ne condiziona le attività cercando, fra l’altro, di controllarne la tendenza a sostituirsi tout court al Servizio Sanitario Nazionale (vedi Regione Lombardia).
 
Bisogna peraltro constatare che il rinnovato interesse per un migliore funzionamento del servizio pubblico che finalmente emerge dopo anni di inerzia se non di assuefazione ad una deriva per lo meno ventennale, fino alla pandemia, coglie senz’altro disagi e necessità reali ma non affronta le radici vere delle carenze di un sistema che ha eluso molte delle sue finalità.
Non si può infatti sottacere che se sul piano tecnico è abbastanza agevole individuare le macroscopiche disfunzioni del SSN e indicare gli obiettivi da raggiungere, il problema della ricerca e del reperimento delle risorse e l’attuazione sul campo della trasformazione non può non essere collocato nell’ambito di una visione più ampia dei processi economici, politici e sociali che governano la società dei consumi nel nostro Paese e nel mondo, cioè in una dimensione squisitamente politica.
 
Come è ben noto infatti, la distribuzione delle risorse nella collettività non avviene in base alla valutazione dei bisogni essenziali dei cittadini e a criteri di equità, ma soltanto in base alla quantità del profitto che possono procurare a pochi.
Anche lo spostamento delle risorse sul SSN richiede pertanto la crescita di un movimento, che attualmente non è visibile, in grado di rappresentare alcuni fondamentali bisogni dei cittadini e di esigerne la soddisfazione sul piano politico e sulla base di un rapporto di forze.
 
Non si tratta di replicare, dopo un secolo, la Rivoluzione d’autunno, ma soltanto di introdurre nel sistema pochi elementi di giustizia sociale. Potrebbe essere sufficiente, per esempio, il recupero dell’ imponente e permanente evasione fiscale con una migliore osservanza dell’articolo 53 della nostra Costituzione, che dice: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
 
Girolamo Digilio
Già Primario e Docente di Clinica Pediatrica, Università La Sapienza, Roma

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