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Lunedì 25 OTTOBRE 2021
Il “nuovo” DM 70 e l’incapacità di riformare l’ospedale

Altro che nuovo DM 70, è arrivato il momento di ri-spedalizzarsi cioè di ripensare l’ospedale come servizio strategico ripensando i presupposti dai quali è nato ormai più di un secolo fa e restituendogli per intero la sua autonomia culturale organizzativa e scientifica pur nella coevoluzione con gli altri servizi. Nessuno teorizza la monade, quindi viva l’integrazione, ma che anche l’ospedale abbia il diritto di evolversi è innegabile

Una presa per i fondelli
Confesso che sono rimasto parecchio sconcertato dopo aver letto l’analisi di Maffei sulle modifiche al dm 70 (QS 22 0ttobre 2021).
Che Maffei fosse un apologeta del dm 70 lo sapevamo già. Basta leggere il suo intervento al nostro forum sull’ospedale (QS 25 giugno 2021).
 
Che tra me e Maffei passa la stessa differenza che in filosofia passa tra l’essere e il divenire, è noto a tutti, differenza che tuttavia non ci ha impedito di discutere, e di mostrare civilmente i nostri diversi punti di vista.
 
Ma ciò detto, Maffei comprenderà, il mio sconcerto, quando leggo quello che scrive e cioè:
• “Il 'nuovo' DM 70 è un documento complesso che mantiene tutto l’impianto del DM attualmente vigente”,
• “la vera novità è la assoluta continuità tra vecchio e nuovo DM 70”.
 
Davanti “alla presa per i fondelli” (mi sarebbe piaciuto non ricorrere all’eufemismo ma so che su questo giornale non è permesso) del “nuovo DM 70” cioè di chi non ha neanche il coraggio di dirci che la minestra che è in tavola non solo è riscaldata ma ribollita, la mia anima non solo di riformatore ma di epistemologo non può che ribellarsi.
 
Dire che:
• abbiamo un “nuovo DM 70” che però mantiene tutto l’impianto del dm 70 a parte essere una contraddizione è un ossimoro,
• la novità assoluta è l’apologia dell’invarianza è quasi un insulto alla logica.
 
Se la minestra è ribollita essa non può essere una novità perché se lo fosse non sarebbe una minestra ribollita.
La verità vera è che si contrabbanda per nuova una cosa vecchia ma solo perché non si ha nessuna idea di cosa si debba fare di veramente nuovo.
 
La banalizzazione In nome della complessità
E poi la chicca finale la classica “excusatio non petita, accusatio manifesta”: “l’auspicio è che il dibattito che la pubblicazione della bozza provocherà sia rispettoso della complessità del tema e sia capace di entrare nel merito delle singole questioni oltre che della sua impostazione generale”.
 
Sembra scritta appositamente per me. Cioè, in nome della complessità, dice Maffei, limitiamoci a discutere di:
• volumi, cioè di soglie minime (tumore maligno del polmone 80 casi l’anno; protesi di ginocchio, 100 l’anno; riparazione di aneurisma non rotto dell’aorta addominale, 60 ecc. ecc.);
 
• di posti letto, cioè se è giusto o no assicurare 0.14 posti letto di terapia intensiva ogni 1.000 abitanti e 0,07 posti ogni mille abitanti di terapia semintensiva.
 
Quindi alla faccia della “complessità del tema”, dice Maffei evitiamo di discutere davvero di “complessità” cioè di:
• cosa debba essere dopo una pandemia l’ospedale del futuro,
• come devono essere da oggi in poi le politiche per l’ospedale per non ricadere in quelle del passato che sono risultate fallimentari,
• come risolvere i problemi delle cliniche, delle specialità, dei laboratori, dei reparti , delle chirurgie, delle oncologie, delle medicine interne, delle cardiologie, ma soprattutto del popolo degli ospedalieri, oltreché di quello dei malati.
 
A me pare che l’auspicio di Maffei, pur riferendosi ad una “complessità”, sia in realtà un invito al suo contrario cioè alla banalizzazione e alla semplificazione, di una tragedia, quindi un invito malcelato ad aderire ad uno sconcertante quanto irresponsabile riduzionismo, lo stesso di chi mentre il Titanic si inabissa nel mare continua a lucidare gli ottoni, come se la tragedia della pandemia che si è abbattuta sull’ospedale, cioè sui malati e sugli ospedalieri, sia riducibile a pochi parametri e a pochi standard. Il nuovo DM 70, caro Maffei, non è per niente “complesso”, ma il contrario, cioè è come spiegherò banale in modo perfino volgare.
 
Non disturbare il conducente
Ma a parte Maffei a me interessa andare al cuore della questione ospedale.
In primo luogo, sempre a proposito di complessità, prendo atto che l’Agenas (estensore a quanto so della bozza anticipata da QS), nella proposta di “nuovo DM 70” ha deciso di andare dritto per la sua strada e di ignorare le analisi e le proposte fatte dal “forum ospedale” ospitate su questo giornale (QS 14 luglio 2021) e quelle avanzate formalmente dal documento delle 22 società scientifiche (Documento del forum permanente sul sistema sanitario nazionale nel post Covid). A parte questi contributi non mi pare che sul problema ospedale vi sia stato dell’altro.
 
Interpreto questa scelta come “politica” da una parte ed “epistemica” dall’altra:
“politica” perché a monte nel PNRR il ministro Speranza ha scelto la strada del potenziamento dell’esistente e non quella della riforma per cui mi pare di capire che sull’ospedale come sul resto non faccia nessuna eccezione;
 
“epistemica” perché le proposte che criticano le soluzioni previste sull’ospedale nella missione 6, anche se giuste (non c’è nessuna ragione per ritenerle sbagliate o almeno fino ad ora nessuno ha dimostrato che sono idee sbagliate) esorbitano dal senso comune tanto del ministero che dell’Agenas.
 
Mi pare di capire che se il clima è quello di “non disturbare il conducente” è inevitabile che qualsiasi proposta sull’ospedale diversa da quella dell’Agenas è semplicemente respinta come se a difesa della missione 6 fosse stato messo un “guard rail” che in nome dell’intangibilità cerca di evitare invasioni di campo.
 
In sostanza la missione 6 non si discute.
Questo è un guaio grosso che conferma che sul futuro della sanità un confronto degno di questo nome tra le istituzioni e la sanità non c’è stato e non c’è per cui ci troviamo, pur dentro le nuove sfide poste dalla pandemia, difronte all’imposizioni di soluzioni discutibili, perché chi comanda non è in grado di pensare diversamente.
 
Se la decisione è di restare comunque dentro il DM 70 cioè dentro la solita “lagna” sugli ospedali hai voglia a presentare documenti intelligenti e pieni di numeri.
Che è come dire che a causa dei limiti della politica, la sanità, cioè i malati, pagano pegno.
 
Il “core” politico della questione
In secondo luogo, a costo di dare un dispiacere a Maffei, vorrei richiamare l’attenzione non sui dettagli marginali ma sul “core” politico della questione ospedali.
La vera questione politica è solo una: la riforma del DM 70.
 
Tanto il “forum ospedale”, quanto il documento delle 22 società scientifiche, ma anche tutto il dibattito che ho avuto modo di seguire e al quale ho partecipato, (compreso un webinar organizzato proprio sull’ospedale da Mantoan) ha chiesto sull’ospedale la riforma del dm 70.
 
Da ogni parte viene a proposito di pandemia la richiesta di riformare, riformare, riformare, ma dal ministero nessuna proposta di riforma vede la luce. Perché questa sordità?
 
Faccio notare che mentre ci ripropongono la minestra ribollita del DM 70, fino ad ora nessuno ci ha spiegato per quale ragione non sia possibile riformarlo e chi ci ha provato non è andato più in là della paura di rimangiarsi le politiche anti ospedaliere fatte per tutti gli anni 90 fino ai nostri giorni (vedi Moirano e Maffei, QS 11 settembre 2020).
 
Il DM 70 è costituito da due parti:
• la codificazione delle politiche di deospedalizzazione fatte fino ad ora usando gli stessi parametri di base della riforma ospedaliera del ‘68 (sic!),
• la dipendenza strutturale dell’ospedale dal territorio nel senso che il numero dei posti letto necessari per la cura in regime di ricovero sono calcolati in modo inversamente proporzionale al numero di servizi presenti sul territorio.
 
La questione politica è semplice: ci teniamo questo rottame ideologico della contro-riforma Bindi del ‘99 o approfittiamo della pandemia per cambiare linea?
 
Ri-spedalizziamo l’ospedale
Il Dm 70, come ho spiegato nel forum, è:
• null’altro che la codificazione di una idea minima di ospedale sia nei confronti dell’’intera rete ospedaliera sia nei confronti del territorio dato,
 
• un teorema discutibile che si è inventato una tecnocrazia sanitaria a corto di idee riformatrici incapace di emanciparsi da una riforma fatta ben 53 anni fa e che nessuno ha mai avuto il coraggio di ripensare,
 
• la giustificazione base di qualsiasi politica di de-ospedalizzazione.
 
Dopo quello che è successo con la pandemia come si fa a non capire che oggi per l’ospedale:
• è una “boiata pazzesca” restare nella logica della deospedalizzazione,
 
• è arrivato il momento di ri-spedalizzarsi cioè di ripensare l’ospedale come servizio strategico ripensando i presupposti dai quali è nato ormai più di un secolo fa e restituendogli per intero la sua autonomia culturale organizzativa e scientifica pur nella coevoluzione con gli altri servizi. Nessuno teorizza la monade, quindi viva l’integrazione, ma che anche l’ospedale abbia il diritto di evolversi è innegabile;
 
• parlare ancora di struttura minima e sufficiente è rispetto ai bisogni che cambiano un affronto al realismo. Oggi si deve parlare di “ospedale adeguato” ma non più nei confronti alle ossessioni economicistiche dei tecnocrati ma adeguato e alle complessità dei bisogni dei malati e alle complessità scientifiche che servono , cioè adeguato allo sviluppo e alle evoluzioni delle cliniche, termine, che nel dm 70 è stato incomprensibilmente soppresso;
 
• restare nella dicotomia territorio ospedale è ormai roba vecchia.
 
Ma al di là delle chiacchiere in concreto quale proposta?
Ma per “entrare nel merito delle singole questioni” in concreto andando all’osso cosa viene fuori?
 
Viene fuori che:
• il vecchio standard 3,7 posti letto ogni 1000 abitanti, di cui 0,7 per le attività di riabilitazione e lungodegenza è confermato;
• dai posti letto di area medica e chirurgica sottoutilizzati vanno recuperati almeno 0,04 posti letto ogni mille abitanti di semintensiva critica;
• si permette una crescita di 0,14 posti letto di terapia intensiva ogni 1.000 abitanti e di 0,07 posti ogni mille abitanti di terapia semintensiva;
• rispetto ai posti letto per acuti (3,00 per mille abitanti) i letti saranno la metà sia di quelli di terapia intensiva che di quelli di semintensiva (0,07 e 0,03 ogni mille abitanti rispettivamente);
• fino al 2026 Regioni e Province Autonome potranno incrementare i posti letto di riabilitazione di 0,1 ogni 1.000 abitanti per la riabilitazione post-Covid.
 
Questa è la proposta nuda e cruda. Cioè dopo una pandemia l’ospedale resta quello che è sempre stato ma aggiornando gli standard di posti letto delle terapie intensive e di quelle semi-intensive. Null’altro. Il resto dell’ospedale non conta.
 
La nuova de-ospedalizzazione
Lasciando da parte l’indignazione per una politica che non solo sull’ospedale davvero mostra di non avere nessuna vergogna dei propri limiti e nessuna seria preoccupazione per il bene pubblico, vorrei che si riflettesse sul paradosso politico che il “nuovo DM 70” rappresenta:
• anni di politiche di deospedalizzazione sintetizzati nel DM 70 di fronte alla pandemia hanno messo l’ospedale in ginocchio;
• la risposta alla pandemia del governo è confermare il DM 70 e quindi la vecchia strategia della deospedalizzazione.
 
Vediamola meglio questa nuova deospedalizzazione post-pandemica.
 
Le tipologie di ospedale e quindi l’impianto della classificazione resta quello tradizionale per cui:
• gli ospedali di base, di primo e secondo livello, a parte marginali interventi su terapie intensive e semintensive, non crescono;
• crescono invece il numero dei posti letto (circa 8000) a livello degli ospedali di comunità che a questo punto diventano strutture intermedie **** “tra il domicilio e il ricovero” e che “afferiscono alla rete di offerta dell’assistenza territoriale”.
 
Se è così, ribadendo il vecchio principio che l’ospedale dipende dal territorio, mi pare di capire che, a partire dalla case di comunità, l’idea di fondo sia quella di investire, a tipologie di ospedali invarianti, sull’ospedale di comunità, cioè nella struttura intermedia, “con la finalità di evitare ricoveri ospedalieri impropri o di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio”.
 
Il che vuol dire, che dopo la pandemia in nessun caso si potranno aggiungere nuovi posti letto a quelli già previsti per l’ospedale di base di primo e di secondo livello, salvo l’eccezione del territorio.
 
Conclusioni
In sostanza dopo la pandemia il così detto “nuovo DM 70” quello che Maffei definisce “un documento complesso” dice davvero molto banalmente che:
• non serve “l’ospedale adeguato” che vogliono le società scientifiche cioè non serve cambiare niente,
• l’ospedale resta quello che è sempre stato (la famosa equazione H=H) e secondo i vecchi parametri, quindi non rompete le scatole,
• ciò che serve è aggiungere semplicemente al territorio un po’ di posti letto post acuzie con l’ospedale di comunità.
 
L’ospedale quello vero quello per gli acuti che cura i malati importanti, quello delle cliniche, quello che salva le proverbiali “vite umane” come si dice a Roma, se la prende, decidete voi, o “in quel posto” o “in saccoccia”.
E, secondo voi, questa non è una proposta indecente, non è una nuova forma di de-ospedalizzazione?
 
Ivan Cavicchi

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