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Lunedì 25 OTTOBRE 2021
Per le donne medico la strada è sempre in salita



Gentile Direttore,
le scrivo per esprimere tutto lo sconcerto che mi ha destato la trasmissione di “Chi l’ha visto”, riportando il caso di Sara Pedri, giovane ginecologa di 31 anni scomparsa nel nulla, dopo le dimissioni dall’ospedale in cui prestava servizio. La ragazza, studiosa e motivata, lascia la sua Forlì perché vince un concorso per la sede di Cles ma viene destinata, invece, al reparto di ginecologia di Trento. E da quel momento, dalle testimonianze riportate in trasmissione, comincia il calvario lavorativo.
 
Innanzitutto, ogni mattina doveva affrontare 40 km di tragitto, poi umiliazioni e surplus orario, motivi che hanno portato ad uno stato di disagio e paura crescente fino alla scomparsa. Terribili le testimonianze dei colleghi di lavoro che hanno parlato tutti senza mai mostrare il volto per evitare di essere riconosciuti.
 
Qualche anno fa, invece, abbiamo avuto la notizia del suicidio di Luana Ricca, brillante chirurga con più di 1500 interventi eseguiti ed una formazione tra Roma e Parigi, madre e moglie. Luana Ricca nel 2015 si è tolta la vita poiché, come riportato dai giornali di cronaca e secondo il fratello Francesco, “era oppressa da un sistema sanitario italiano che non le aveva permesso di esercitare il suo talento”.
 
Sono casi emblematici, purtroppo, delle difficoltà delle donne medico nel mondo del lavoro. Luana decide di arrendersi nel 2015, mentre Sara scompare nel 2021 in pieno periodo Covid.
Entrambe chirurghe ed entrambe rappresentano - in maniera quasi didascalica - le difficoltà che ancora si incontrano nelle professioni che un tempo erano di esclusivo appannaggio maschile. Entrambe si sono trovate ad affrontare un clima lavorativo complessivamente malato ed al quale non hanno saputo opporsi.
 
Eppure molto è stato fatto negli anni, per migliorare il benessere lavorativo, ad esempio con i Comitati Pari Opportunità e poi attraverso l’istituzione dei Comitati Unici di Garanzia (C.U.G.) nelle aziende.
I sindacati medici e non, si sono impegnati nelle politiche di genere ed anche a livello degli ordini professionali si è tentato di superare il gender gap esistente nella professione medica.
 
E allora perché siamo ancora a questo punto? A Trento i testimoni intervistati nella trasmissione sopracitata, si nascondono coprendosi il volto per paura di ritorsioni (siamo nel 2021 e in un paese del Nord!)
E non sarebbe il caso di pensare a monitorare in maniera rigorosa il clima lavorativo oltremodo provato da un anno di lotta contro il Covid, pandemia che ci ha colti impreparati e ci ha stressato travolgendo il nostro quotidiano?
 
Perché non creare sportelli di ascolto aziendale ad uso dei dipendenti al fine di comprendere le necessità e le eventuali difficoltà?
Kabul non ci appartiene, ma il miglioramento della condizione lavorativa femminile delle donne, rimane ancora distante dai target europei cui dovremmo basarci.
 
dott.ssa Maria Ludovica Genna
Osservatorio Sanitario di Napoli

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