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Lunedì 25 OTTOBRE 2021
Nulla sarà come prima … A proposito del Pnrr in sanità

C’è molto da ripensare e da fare. Dobbiamo dare alle policy in gestazione il nome giusto di “riforme” del SSN e dei SSR e garantire confronto, condivisione e rendicontazione sociale e trasparenza nell’uso delle risorse nazionali e UE. Ora sta passando questo autobus …. Un altro simile non è pensabile a breve termine. Dobbiamo lavorare adesso su queste opportunità chiamandole come sono “un grande processo di riconversione e cambiamento” della sanità Italina e quindi di “riforma

Il covid19 ci ha colto “quasi” di sorpresa anche se dal 2018 scienziati e ricercatori avevano dato l’allarme sulla possibilità di insorgere di pandemia per salti di specie tra animali e umani. I processi di cambiamento del clima indotti dalle modifiche dell’ambiente che stiamo vivendo fino a qualche anno fa erano previsti per la fine di questo secolo, invece l’accelerazione dei cambiamenti climatici è sotto gli occhi di tutti e tutti ci coinvolge.
 
La contiguità/promiscuità fra ambiente animale e umano, tra megalopoli e periferie infinite con condizioni sanitarie e di igiene pubblica insostenibili hanno creato e creano le condizioni di una “tempesta perfetta” che ci coinvolge e travolge. L’epidemia nell’attuale contesto di globalizzazione è diventata in due mesi una pandemia globale e subito dopo “sindemia” impattando su economia, società, comunità. Tutto cambierà e nulla sarà come prima …
 
I sistemi sanitari sono stati il punto di riferimento, la linea di resilienza delle comunità in permanenza della pandemia, sono stati sottoposti ad uno stress enorme e prolungato che ha posto in evidenza vecchie e nuove criticità. Tutte le componenti dei SSN e dei SSR hanno dovuto mettersi in discussione e cercare di reinventarsi ruoli e modelli operativi.
 
Per altro gli ospedali erano già cambiati. Per le politiche di austerità e i tagli conseguenti avevano dovuto ripensare la loro operatività. Si sono sperimentati nuovi modelli come quello dell’ospedale a “intensità di cure” o altri ancora come quelli sperimentati in nord Europa dei così detti “ospedali senza letti”.   Meno posti letto, nuove procedure e tecnologie meno invasive, -30/40% di ricoveri ordinari, + 40% di diagnostica. Più laparoscopia, emodinamica, radiologia interventistica, che hanno    cambiato il “lay out” interno, ruoli e mansioni, competenze tecniche e relazionali.
 
Anche il territorio, lentamente, ha visto affermarsi esempi di “medicina di prossimità” e di “medicina di comunità”, un nuovo ruolo per i Distretti, per le forme associative fra MMG, PLS, specialisti territoriali, personale delle ASL. Il tutto a “macchia di leopardo”, alcune Regioni di più, altre di meno, alcune ASL con determinazione, altre con lentezza.
 
Poi il Covid19 ha fatto la differenza, ha tolto le zone d’ombra, ha fatto esplodere le contraddizioni e le cronicità, ha imposto una riflessione a tutto campo, olistica, di sistema. Ha fatto emergere tutte le criticità presenti nei modelli organizzativi attualmente implementati.
 
La prima ondata della pandemia ha colpito le Regioni del nord del Paese con sistemi sanitari più performanti, o almeno così considerati. Anche in quelle Regioni squilibri e fragilità nel rapporto tra sistemi ospedalocentrici e reti territoriali disperse e svuotate di risorse, per tagli nei finanziamenti alla sanità pubblica, hanno fatto la differenza. Poi le altre ondate pandemiche hanno coinvolto tutto il Paese con una messa sotto stress di tutti i SSR, che non sempre sono riusciti a prepararsi a reggere l’impatto del Covid 19.
 
A fronte di queste criticità e di quelle pregresse si è creato il clima per ripensare una politica sanitaria basata su modelli in parte diversi da prima. Gli ospedali visti come strutture a media e alta complessità assistenziale, le reti territoriali come network integrati tra ASL, Comuni, Terzo Settore, cooperazione sociale. I Distretti come “agenzie di governo” dei bisogni di salute della popolazione residente nel loro territorio.
 
Ed è arrivato il PNRR, Piano Nazionale dei Rinascita e Resilienza, che imposta di fatto un modello di SSN e di SSR su infrastrutture e modelli uniformi di servizi e di reti. Di fatto mette i paletti, volenti o nolenti, di una riorganizzazione complessiva del SSN e dei SSR in una prospettiva di “riforma di fatto” della sanità pubblica o convenzionata.
 
Nei Moduli 5 e 6 prevede investimenti in strutture (“mattoni”), in tecnologie diagnostiche e terapeutiche e in infrastrutture digitali di condivisione informativa, di “governance” e di monitoraggio, in formazione di 300.000 operatori e 5.000 manager, non in spesa corrente se non in piccola parte.
 
I fondi per gli investimenti del PNRR sono per ¾ da restituire, ovvero, devono indurre una riconversione dei servizi sanitari (ospedalieri e territoriali) tale da determinare un loro “lay out” con una struttura dei costi più efficiente, efficace e appropriata producendo “economie di scala” e “lean management”. Detto così sembra lineare e facile, in realtà è un obiettivo molto ambizioso al limite della “mission impossible” per un sistema ancora molto “pesante”, “burocratico”, “lento” e “riluttante” al cambiamento e alla innovazione. Si propone di fatto un “progetto di riconversione e riqualificazione” del SSN e dei SSR.
 
Siamo il Paese in cui non si approvano i “costi standard” per la resistenza di alcune Regioni che temono tagli o meglio non sono in grado di implementare una riconversione dei loro SSR verso modelli più performanti. Inoltre le Regioni, con fatica e lentezza, non hanno ancor implementato i loro sistemi di accreditamento ai sensi del nuovo “Disciplinare” approvato in Conferenza Stato Regioni e PPAA nel 2013, ovvero, nove anni fa ….
 
Ciò non toglie l’urgenza del momento. Il PNRR è una occasione unica di cambiamento e innovazione che va colta fino in fondo facendo i conti, veri, con la realtà dei SSR, inducendo, proponendo e … imponendo i cambiamenti necessari.
 
Nel PNRR, in particolare nella versione in inglese inviata a Bruxelles, per la gestione dei nuovi modelli di Case di Comunità, Ospedali di Comunità e quant’altro previsto, si prevede la possibilità di una loro gestione “convenzionata” da parte di soggetti del Terzo Settore o della Cooperazione Sociale, ma anche di Assicurazioni e Fondazione Bancarie come avviene in altri Paesi così detti sviluppati.
 
In Italia sono i soggetti che intermediano tra il “welfare aziendale” (vedi il “Job Act” di renziana memoria) e le reti sanitarie private, quando non gestiscono a presa diretta reti di ospedali o strutture diagnostiche territoriali.
 
Sono i gestori della così detta “sanità integrativa”, spesso “sostitutiva” della presenza pubblica da anni in “roll back” per i tagli dovuti alle politiche di austerità e agli obiettivi di equilibrio di bilancio, che hanno, nel tempo, aumentato le diseguaglianze di salute. Diversi gruppi finanziari privati stranieri sono entrati in Italia e hanno rilevato strutture una volta socie di ANISAP, AIOP e ANASTE creando delle reti specializzate.
 
In questa prospettiva si aprirebbe una nuova porta per un ingresso organizzato del privato nei SSR. Il che potrebbe essere anche utile se le condizioni di confronto o competizione tra pubblico e privato convenzionato fossero giocate alla pari e mettendo i manager pubblici nelle condizioni di gestire in modo efficiente, efficace e appropriato e soprattutto sostenibile le aziende sanitarie. Su questo piano i vincoli burocratici e normativi sono tanti e spesso pesanti da gestire con tempi infiniti per gestire beni e servizi o governare rapporti in outsourcing.
 
Durante la pandemia, per far fronte all’emergenza e urgenza si è concessa una gestione in “deroga” per semplificare tempi e modi delle procedure da usare. Una riflessione verso una semplificazione della giungla normativa esistente, garantendo comunque trasparenza e monitoraggio, andrebbe fatta aprendo tavoli di confronto tra tutti i soggetti interessati e gli stakeholder o decisori pubblici. La sanità pubblica muore anche di burocrazia.
 
Si rischia una riproposizione di una programmazione lato “offerta” invece che lato “domanda”, e anche per questo, credo, nel PNRR si pone come centrale la capacità di leggere i bisogni delle popolazioni in base a modelli di stratificazione degli stessi, che derivano da letteratura dai modelli del Canadian Study on Health and Aging  (CSHA)  che analizza le fragilità, come “proxy” delle cronicità.  Successivamente il concetto di fragilità, sempre secondo il CSHA - Rockwood e altri, 2005 -  si può declinare secondo una scala di valutazione in cui i primi tre livelli sono relativi alla “bassa complessità assistenziale”, i successivi tre sono relativi alla “media complessità assistenziale” e gli ultimi tre sono relativi alla “alta complessità assistenziale”.
 
Per altro le stesse ASL attualmente dovrebbero essere già in grado di dare risposte ai bisogni a “bassa complessità” con la “prevenzione” e con altre risposte delle reti di cure primarie, alla “media e alta complessità assistenziale” con gli ospedali e con le strutture intermedie territoriali e/o con i servizi domiciliari (ADI di 2° e 3° Livello). Sia nel “sociale” che nel “sociosanitario” si opera ormai facendo riferimento tendenzialmente a questi modelli.
 
Però la profilazione dei bisogni del singolo paziente avviene nelle varie Regioni e nelle ASL con una vera e propria giungla di “scale di valutazioni” difformi.
 

 
Non a caso il Tavolo Re.Se.T. Reti per i servizi territoriali, AGENAS e Regioni/PPAA, nell’ “Allegato 4: Gli strumenti per la Valutazione Multidimensionale in Italia” pone con forza il tema della convergenza verso un sistema unico di valutazione dei bisogni del paziente come avviene in molti altri Paesi sviluppati, in primis il Canada, che ha in questo momento uno dei migliori sistemi di analisi e stratificazione dei bisogni della popolazione (interRail/RUGGS).
 
A questa criticità si aggiunge la diffusione di sistemi informativi aziendali spesso “sviluppati in divenire” senza un approccio sistemico e unitarioe una organizzazione dei servizi territoriali difforme tra Distretti e Distretti a volte anche all’interno della stessa AUSL, in un approccio a “canne d’organo” e non di“integrazione trasversale e funzionale” dei servizi stessi.
 
Centrale nel PNRR e in tutti i documenti di policy sanitaria degli ultimi anni il ruolo del Distretto come HUB di reti territoriali pubbliche e private convenzionate, Comuni, Terzo Settore, Cooperazione Sociale e volontariato. Ovvero si tratta di far divenire i Distretti punto di integrazione tramite i Piani di Zona, i Piani Territoriali e i Piani di Salute di portatori di interesse che vanno riconosciuti nel loro specifico e “integrati” nella gestione di obiettivi di salute condivisi (esempio le Società della Salute in Toscana, dove hanno funzionato meglio). Il tutto in un approccio di “costruzione di alleanze” su obiettivi di salute condivisi. Non è facile farlo, ma bisogna provarci.
 
Nel PNRR un grande ruolo viene dato all’introduzione massiccia di nuove tecnologie digitali sia in ambito diagnostico e terapeutico che in quello di “condivisione informativa” a supporto della “presa in carico” dei pazienti e alla “governance” integrata di tutti i flussi informativi.
 
Attenzione, le tecnologie non sono neutre, sono spesso “labour saving”, ma aumentano le capacità di erogazione e dovrebbero/potrebbero consentire un uso più utile e performante delle risorse professionali esistenti. Per fare questo dobbiamo intenderci sul concetto di “innovazione” nel digitale. Fare telemedicina, tele refertazione, tele monitoraggio e tele assistenza da remoto e quant’altro consentito oggi dalle tecnologie vuol dire fare un salto dalle tecnologie “tradizionali” basate su ERP gestionali e applicativi verticali da” integrare” tra loro, spesso faticosamente, a piattaforme di integrazione di secondo livello, basate su algoritmi di “intelligenza artificiale”.
 

 
Piattaforme che consentono di leggere qualsiasi dato o immagine esistente o prodotto da applicativi già esistenti nelle reti di servizi senza vincoli di compatibilità e senza cambiare gli applicativi usati dai vari operatori in setting diversi. Il che consente anche operazioni di consenso e di attivazione di partecipazione attiva nei cambiamenti. Il che non è poco e va colto come opportunità.
 
Quanto oggi indicato nel PNRR era stato, già a dicembre 2020, oggetto nella “Position Paper” della nostra Associazione ASIQUAS, Associazione Italina per la Qualità nell’Assistenza Sanitaria e Sociale, dove avevamo evidenziato le seguenti urgenze:
1. “Le reti territoriali devono essere diversificate e integrate tra servizi sanitari e sociali, ripensando i modelli operativi, favorendo quelli di assistenza domiciliare, di prossimità e di comunità, nonché le reti di prevenzione e screening, che anche con la pandemia hanno fatto la differenza”;
 
2. “Le strutture residenziali e semiresidenziali devono essere integrate in reti “dedicate” e devono essere sviluppati a livello nazionale i loro requisiti di “accreditamento”, come sta avvenendo in queste settimane con il Tavolo Tecnico presso il Ministero della Salute e anche in base al disciplinare degli standard per le strutture previste nel PNRR, emanato da AGENAS e approvato in Conferenza Stato regione e PPAA”;
 
3. “Proponiamo un approccio di “ospedale diffuso” nei territori, integrando e valorizzando le presenze sanitarie e sociali, pubbliche e private “accreditate”, la cooperazione, l’associazionismo e il volontariato. “Ospedale diffuso” in quanto anche alternativa strutturata all’ospedalizzazione tradizionale e come strumento di coordinamento e integrazione dei servizi”;
 
4. “Per favorire la connessione tra ospedale e territorio proponiamo una gestione delle reti soprattutto territoriali con una maggiore presa in carico infermieristica inserendo a pieno titolo l’attività dell’infermiere di famiglia” che gestisca non solo le cronicità, ma possa effettuare interventi di promozione della salute in tutti gli ambiti di vita intercettando i bisogni di salute per il mantenimento dello stato di benessere, oltre ad attivare a pieno la funzione di “case manager”;
 
5. “L’inserimento di psicologi nelle Unità Territoriali e nei livelli di alta complessità assistenziale può comportare una migliore gestione della sofferenza e un rafforzamento degli altri operatori nella gestione delle relazioni e nella comunicazione, consentendo di procedere più efficacemente nei protocolli di cura”;
 
6. “I sistemi di monitoraggio e valutazione devono guidare la pianificazione, l’implementazione, il controllo e il miglioramento continuo e supportare il tutto”;
 
7.“Dobbiamo avere anche piani adeguati per garantire l’acquisizione, la produzione e l’autosufficienza per farmaci, tamponi e DPI (dispositivi di protezione individuale) nonché per technological device e sistemi/applicativi informatici gestionali a supporto degli operatori sanitari e sociali e per i target a rischio della popolazione per essere pronti per un’eventuale recrudescenza della pandemia”.
 
C’è molto da ripensare e da fare. Dobbiamo dare alle policy in gestazione il nome giusto di “riforme” del SSN e dei SSR e garantire confronto, condivisione e rendicontazione sociale e trasparenza nell’uso delle risorse nazionali e UE. Ora sta passando questo autobus …. Un altro simile non è pensabile a breve termine. Dobbiamo lavorare adesso su queste opportunità chiamandole come sono “un grande processo di riconversione e cambiamento” della sanità Italina e quindi di “riforma”.
 
Non facciamo finta di non capirlo, sarebbe gravissimo…  Ora bisogna metterci la faccia e confrontarci.
 
Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS

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