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Finanziamento e spesa regionale: nuove prospettive di analisi


08 NOV - Analisi elaborata da Meridiano Sanità

Il federalismo ha avviato un percorso di innovazione del Servizio Sanitario Nazionale. Innovazione che ha riguardato, ad esempio, l’introduzione di nuovi strumenti di controllo con l’obiettivo di valutare, in ottica comparata, le performance delle varie componenti del sistema. Sono, tuttavia, emersi alcuni limiti relativi agli strumenti utilizzati, a causa dei quali non sembrano emergere del tutto le diversità, le aree di debolezza e di inefficienza di alcune realtà che, invece, richiedono vere e proprie riforme strutturali.
Il federalismo fiscale, introdotto con la Legge 42/09, ha un impatto rilevante sulle decisioni in materia di sanità sia in termini di finanziamento che di organizzazione della stessa.
A livello di finanziamento, con l’introduzione dei costi standard, si è cercato di determinare un criterio per il calcolo dei fabbisogni sanitari delle Regioni, basato su un costo di riferimento. Ma la definizione stessa dei costi standard, e di conseguenza le modalità di calcolo, pongono numerosi dubbi e aprono il dibattito circa l’adeguatezza e le criticità in riferimento soprattutto all’applicazione in sanità.
Il costo standard, infatti, viene definito in termini generali come il “costo di produzione” di  un bene o di un servizio in condizioni di efficienza ottimali, valutando come non ottimali i costi che man mano si discostano da quello standard.
Porsi l’obiettivo di valutare i costi standard di alcune realtà sanitarie presuppone che ne siano confrontabili gli outcome e che le condizioni in cui si producono siano ottimali. Tuttavia è noto che nell’erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie ci sono anche molte peculiarità determinate non solo dalla struttura demografica della popolazione che risiede in una determinata area, ma anche dalle caratteristiche socio-economiche e la situazione è ulteriormente complicata dall’esistenza di un forte divario Nord/Sud - non solo in termini sociali ed economici ma anche di vincoli finanziari - e dai tagli alla spesa imposti dai Piani di rientro che interessano ormai quasi la metà delle Regioni.
La realizzazione del federalismo fiscale impone, quindi, un cambiamento sostanziale non solo nelle logiche di finanziamento della spesa sanitaria, ma anche nelle modalità di organizzazione e governance della sanità regionale, inducendo un’attenzione maggiore all’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze in alcune aree e contribuendo in modo rilevante ad accelerare il processo di riorganizzazione dei servizi e delle prestazioni tra ospedale e territorio, in una logica di riconfigurazione della sanità a livello complessivo.
L’accelerazione del cambiamento appare ancora più critica nella situazione attuale di crisi economico-finanziaria.
Un altro aspetto centrale, infatti, che è emerso con il federalismo è la necessità di avere i “conti in ordine” da parte delle Regioni.

Le dinamiche regionali della spesa sanitaria
I Sistemi Sanitari Regionali mostrano ancora evidenti disomogeneità, sia in  termini di spesa che di costi, sia in termini di qualità dei servizi socio-sanitari erogati ai cittadini.
Innanzi tutto persistono differenze sostanziali tra i livelli di spesa sanitaria pubblica a livello regionale. Lo scarto tra i valori della spesa pro-capite tra la Regione con la spesa più elevata (Valle d’Aosta) e quella con la spesa più bassa (Sicilia) è di circa 500 euro, cioè oltre un quarto della media nazionale pari a 1.871 euro.
Differenze a livello regionale risultano ancora più evidenti, analizzando gli scostamenti della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media nazionale in termini percentuali. Valle d’Aosta, Province Autonome di Trento e Bolzano,  Molise e Liguria hanno una spesa pro-capite del 10% superiore alla media nazionale.
Negli ultimi anni si è, inoltre, assistito a una diversa evoluzione della spesa sanitaria pubblica a livello regionale, accompagnata da diversi tassi di crescita tra le Regioni Italiane senza una netta distinzione tra Nord, Centro e Sud.
I piani di rientro, poi, adottati come strumenti attraverso i quali le Regioni che hanno deficit strutturali, di concerto con il Ministero della Salute e dell’Economia, realizzano obiettivi e azioni finalizzate al recupero dell’equilibrio finanziario e alla rimozione di determinanti strutturali del disequilibrio, secondo molti esperti si sono dimostrati troppo orientati al breve periodo. Infatti, i criteri utilizzati per effettuare tagli alle risorse, avendo la finalità di ripristinare in tempi rapidi una situazione di equilibrio finanziario, non sono compatibili con la possibilità di progettare e realizzare interventi di tipo strutturale.
Chiare differenze tra Regioni, evidenti soprattutto se si confrontano quelle del Nord con quelle del Sud, si manifestano anche con un riferimento alla spesa farmaceutica territoriale pro-capite. In generale le Regioni del Sud hanno una spesa pro-capite superiore rispetto a quelle del Nord.
I risultati dei primi sei mesi del 2011 evidenziano una chiara diminuzione della spesa farmaceutica convenzionata netta, mediamente pari al 6,4% rispetto al 2010.
Le Regioni che hanno ridotto in maniera più importante la spesa farmaceutica fanno, però, registrare un aumento del peso della compartecipazione dei cittadini. In totale in Italia la compartecipazione del cittadino alla spesa farmaceutica è aumentata del 35,6% nei primi sei mesi del 2011 rispetto al 2010.
Nel 2010 la spesa farmaceutica complessiva (territoriale ed ospedaliera) ha superato i 18 miliardi di euro. Ma, mentre a livello nazionale la spesa territoriale ha rispettato il tetto programmato, fermandosi al 13,2% del finanziamento complessivo, la situazione è, invece, radicalmente diversa per quanto concerne la spesa farmaceutica ospedaliera, dove il tetto del 2,4%, sia a livello nazionale, che regionale, non è stato rispettato (soprattutto dalle Regioni con alta densità demografica e con sistemi sanitari maggiormente attrattivi).
Lo sfondamento dei tetti sulla spesa ospedaliera può essere spiegato da alcuni fenomeni come l’introduzione nella pratica clinica di farmaci innovativi ad uso ospedaliero ad alto costo che hanno fatto aumentare il costo dei trattamenti ospedalieri, in particolar modo quelli oncologici.

La mobilità sanitaria: una rilettura del fenomeno
La fotografia della mobilità regionale nel nostro Paese è stabile da alcuni anni, con una posizione sostanzialmente di saldo negativo per le Regioni del Sud (ad eccezione del Molise) verso un saldo positivo delle Regioni del Nord, escludendo i valori del Piemonte, della Liguria, e della Provincia Autonoma di Trento.
Le Regioni a maggior attrattività per il Centro-Sud si conferma la Lombardia, dove confluisce gran parte dei flussi di Sicilia, Puglia, Calabria e Campania.
Quello della mobilità è un tema di grande attualità, che ha assunto un peso importante nei tavoli di discussione regionali messi a punto per la definizione del riparto del Fondo Sanitario Nazionale, anche alla luce degli impatti del federalismo fiscale e dell’applicazione dei costi standard.
Nel dibattito attuale a volte si associa il dato della mobilità sanitaria alla carenza o inefficienza di alcune realtà regionali, che fanno migrare una percentuale importante di pazienti da una Regione all’altra. Un approccio di questo tipo è certamente semplicistico e non fornisce un quadro completo delle dimensioni, delle determinanti e delle implicazioni della mobilità. Vi è, infatti, una parte del fenomeno che deve essere considerato in modo positivo, soprattutto se ci riferiamo alla concentrazione di pazienti in alcuni Centri di eccellenza, per effettuare prestazioni ad alta specialità al di fuori della propria Regione. In questo caso, infatti si otterrebbero risultati positivi in termini di efficienza e di efficacia, ovvero qualità delle prestazioni ed economie di specializzazione e di scala.
Esistono, tuttavia, nel fenomeno alcuni aspetti di difficile interpretazione, come il caso delle prestazioni potenzialmente “inappropriate” (in media il 22,7% dei ricoveri in mobilità sono considerati tali), che richiedono un’attenzione particolare nella definizione di politiche sanitarie adeguate, e il fatto che il saldo della mobilità non riveli le due componenti “attiva” e “passiva”, che dovrebbero essere analizzate e interpretate anche alla luce di contesti regionali specifici.

Finanziamento e logiche di “riparto”: contemperare equità ed efficienza
La necessità di definire criteri per il finanziamento degli enti deputati all’erogazione dei servizi pubblici è strettamente legata tanto a istanze di efficienza, quanto equitative. La garanzia che l’assegnazione del finanziamento sia “corretta” è condizione necessaria per evitare distorsioni.
Finanziamento, perequazione e riparto sono cerniere cruciali fra le esigenze di efficienza e di equità. Quindi, in primo luogo, è opportuno restituire il dibattito sul finanziamento alla sua giusta complessità, evitando che gli impatti equitativi rimangano soffocati dall’attenzione giusta, ma non esclusiva, all’efficienza.
Va anche ripensato il metodo di misura dell’efficienza, riconoscendo che se si adotta un processo top down ci si deve riferire alla spesa totale, non potendosi valutare l’efficienza del sistema pubblico senza contemporaneamente considerare l’impatto sulla spesa privata.
Inoltre, osservando come tutta l’architettura del D.L. 68/2011 poggi sui pesi che rappresentano i differenziali di bisogno, tali pesi vanno sottratti alla negoziazione politica, riportandoli su un piano di oggettività scientifica.
Infine, come le manovre estive hanno dimostrato, il Decreto è già superato dai nuovi assetti e, per ragioni tecniche, rischia di penalizzare le Regioni più povere (senza per questo tacere che queste ultime sono chiamate a dar prova della loro capacità di voltar pagina, generando significativi recuperi di efficienza): va, però, evitato che penalizzazioni improprie facciano naufragare sul nascere i tentativi di riscatto che in alcune Regioni sono stati messi in atto, e con risultati significativi.

 

08 novembre 2011
© Riproduzione riservata

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