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Inquinamento atmosferico. Ancora lontani da rischi zero per la salute, nonostante un graduale miglioramento


20 APR -

Qualcosa si muove sul fronte dell’inquinamento atmosferico indicato dall’Oms come il principale rischio ambientale per la salute a livello globale. Ma siamo ancora lontanissimi da rischi zero.

In Italia, nel 2021, prosegue la diminuzione della percentuale dei superamenti dei valori soglia stabiliti dall’Oms sulle concentrazioni in aria del PM2,5 l’inquinante atmosferico più nocivo per la salute: si attestano al 71,7% (era il 77,4% nel 2020). Dal 2010, primo anno di disponibilità della serie storica, l’indicatore ha avuto una discesa costante, ad eccezione del 2018.

Un andamento gradualmente positivo quindi, ma comunque largamente insufficiente per ottenere risultati consistenti in termini di riduzione significativa della mortalità causata dall’inquinamento da PM2,5 Siamo, infatti, lontanissimi dal soddisfare l’obiettivo indicato nelle linee guida Oms del 2005, sia pur meno ambizioso rispetto a quello indicato nell’aggiornamento del 2021, che dovrebbe scendere verso lo zero.

È quanto emerge dal capitolo dedicato all’ambiente del “Rapporto Bes 2022: il benessere equo e sostenibile in Italia” dell’Istat. Giunto alla decima edizione, il Rapporto offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori suddivisi in 12 domini.

In generale, si legge nel Report: “Nonostante il permanere di livelli critici, quasi tutti gli indicatori che nel lungo periodo, prima del lockdown, mostravano un andamento di miglioramento, tendono a mantenerlo anche durante il periodo pandemico. In particolare, si fa riferimento alla qualità dell’aria, alle emissioni di CO2 e altri gas climalteranti, alla disponibilità di verde urbano, al conferimento di rifiuti urbani in discarica e all’energia elettrica da fonti rinnovabili. Nel 2021, rispetto al 2020, con la ripresa delle attività dopo il lockdown, si osserva un aumento degli indicatori di pressione sull’ambiente strettamente connessi al ciclo economico, quali le emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti e i rifiuti urbani prodotti”.

Le differenze regionali. Dal Rapporto emerge che l’attenuazione graduale del fenomeno dell’inquinamento da PM2,5, non risulta omogeneo sul territorio. Infatti, nelle ripartizioni nord occidentale e orientale, dove storicamente si osservano i valori più elevati dell’indicatore, si registra una sostanziale stabilità. Nel 2021, rispetto all’anno precedente, all’attenuazione dell’inquinamento nel Nord-est (dal 92,0% all’85,2%) si affianca una lieve diminuzione nel Nord-ovest (dal 90,3% al 92,2%) dovuta ai miglioramenti registrati in tutte le regioni della ripartizione, ad eccezione della Lombardia dove si osserva una sostanziale stabilità.

L’indicatore nel 2021 si attesta su livelli comparabili nel Centro e nel Sud (rispettivamente 65,0% e 63,9%) e si osserva un miglioramento (erano rispettivamente 71,7% e 72,3% nel 2020). Fanno eccezione il Molise e la Calabria dove si registra un peggioramento della qualità dell’aria. L’andamento negativo nelle Isole (dal 37,3% al 42,2%) è, invece, imputabile interamente alla Sicilia (dal 50% al 66%), mentre in Sardegna, che ha storicamente valori bassi dell’indicatore, favorevoli condizioni meteo-climatiche alla dispersione degli inquinanti hanno fatto registrare un ulteriore miglioramento (dal 30,3% al 6,1%).

Inquinamento ambientale e rischi per la salute. L’Istat ha poi fotografato lo stato dell’arte dell’inquinamento ambientale. Nel 2020, in Italia le aree dei siti oggetto di procedimento di bonifica da sostanze quali amianto, diossine, idrocarburi, pesticidi, PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) ammontano a 237.136 ettari, distribuiti in 31.686 siti, di cui 31.645 di competenza regionale e 42 di competenza nazionale.

Il fenomeno tende a polarizzarsi tra Nord (152.586 ettari) e Mezzogiorno (64.716 ettari). Il Piemonte è la regione con una maggiore estensione di superficie contaminata (108.277 ettari) seguita da Sardegna, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Puglia e Toscana che presentano superfici oggetto di bonifica superiori ai 10.000 ettari.
In termini relativi, invece, se il Piemonte si conferma la regione con la maggior percentuale di territorio da bonificare rispetto alla superficie totale (4,27%), porzioni significative di aree contaminate si trovano anche in Friuli-Venezia Giulia (1,84%), Sardegna (1,24%) e Lombardia (0,93%), con valori al di sopra del totale nazionale (0,79%).

Sempre nel 2020, sono stati identificati 42 siti di interesse nazionale per un’estensione di 171.211 ettari di superficie terrestre contaminata, distribuiti in tutte le regioni italiane (ad esclusione della provincia autonoma di Bolzano e del Molise). Si tratta, nella maggior parte dei casi, di aree che risentono degli impatti di attività industriali e minerarie preesistenti o tuttora attive. Rispetto al 2019, è stato individuato29, anche se non ancora perimetrato, un nuovo Sito di interesse nazionale nella regione Campania, denominato “Area vasta di Giugliano”.

I siti di interesse nazionale si concentrano nel Nord con 20 siti e 116.234 ettari di superfici individuate per le bonifiche e nel Mezzogiorno con 17 siti e 45.509 ettari, tra cui spiccano per estensione il sito di Casale Monferrato (73.895 ettari) in Piemonte, quello di Cengio e Saliceto (22.249 ettari) in Liguria e quello del distretto minerario del Sulcis-Iglesiente- Guspinese (19.751 ettari) in Sardegna.

Le implicazioni della contaminazione delle matrici ambientali di queste aree per le comunità che vi risiedono sono numerose e riguardano diversi aspetti. Oltre all’inquinamento ambientale, infatti, in base ai dati del progetto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità emerge che le comunità residenti nei Siti di interesse nazionale sperimentano livelli di mortalità e di ospedalizzazione in eccesso (+2,6% e +3,0% rispettivamente, nel periodo 2013-2017) rispetto ad altre aree non contaminate.

Una città su dieci non raggiunge lo standard minimo di verde pubblico per abitante Nel 2021 la disponibilità di verde pubblico nelle città italiane è di 32,5 metri quadrati per abitante. Dal 2011 questo valore, pure in crescita, registra solo minime variazioni della superficie complessiva delle aree verdi (in media +0,3% all’anno). Il verde pubblico, tuttavia, non è equamente distribuito fra i 109 comuni capoluogo, dal momento che il 50% circa della superficie complessiva è concentrato in sole 13 città e che una città su dieci non raggiunge lo standard minimo, previsto dalla legge, di 9 metri quadrati per abitante. A livello territoriale l’indicatore risulta mediamente più elevato nei capoluoghi del Nord-est (63,2 m2 per abitante) e in particolare a Bolzano, Trento, Pordenone, Gorizia e Trieste, ma in generale la disponibilità di verde urbano risulta fortemente eterogenea nelle diverse realtà urbane.



20 aprile 2023
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