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Chi ha paura degli Ospedali di Comunità?

di Claudio Maria Maffei

Sembra siano in primo luogo le 26 Società scientifiche di clinici ospedalieri e universitari riunite nel Forum presentato alla stampa lo scorso 2 febbraio. Da loro sono emerse alcune posizioni che appaiono alquanto obsolete e che evidentemente non hanno tenuto conto dell'evoluzione che nel Mondo hanno ormai coinvolto la stessa concezione e il ruolo delle reti ospedaliere

04 FEB - Due giorni fa QS ha riportato le proposte del neo-nato Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani (FoSSC). Questo Forum, si legge, sarebbe stato istituito su precisa richiesta del Ministro della Salute per avviare un’interlocuzione con i professionisti che assistono milioni di cittadini. 
 
Ne fanno parte in tutto 26 Società Scientifiche. Sostanzialemnte le stesse che hanno siglato il documento del Forum Permanente sul Sistema Sanitario Nazionale nel post-Covid  presentato il 15 settembre 2021, la cui lettura penso possa fornire qualche dettaglio in più sulle analisi e proposte del nuovo Forum dei clinici ospedalieri e universitari presentato il 2 febbraio scorso.
 
Quel documento è scritto in una chiave quasi esclusivamente medica e ospedaliera e nelle proposte generali prende questa posizione:
“In buona sostanza si è assolutamente contrari alla concezione di Ospedale minimo “di prossimità” (definito nel PNRR “ospedale di comunità”, da realizzare ogni 160.000 abitanti circa, per un totale di 381 strutture), e tantomeno alla loro gestione delegata agli infermieri; una concezione obsoleta, eccessivamente semplificante ma soprattutto inadeguata a far fronte alle tante e diverse complessità poste in essere dalle domande di salute della medicina moderna. L’ ospedale, come servizio non è più disposto ad essere considerato al “minimo” delle sue possibilità ma deve essere rivalutato e riorganizzato ma anche ripensato e strutturato come funzionalmente operativo per corrispondere a tutte le esigenze, che se soddisfatte danno garanzia di raggiungimento dei migliori risultati di salute consentiti dallo sviluppo ed applicazione delle conoscenze scientifiche”.
 
Il Documento in questi passaggi contiene importanti errori di lettura/interpretazione del PNRR e del DM 70:
• non esistono né  documenti né atti a livello nazionale che parlano di  Ospedale minimo di prossimità: il DM 70,  lo spettro che si aggira tipo convitato di pietra nel documento, fa esattamente l’opposto prevedendo reti integrate di ospedali con livelli crescenti di complessità  senza usare mai la parola “prossimità” e definendo con chiarezza l’ospedale di comunità come una delle strutture intermedie che possono essere di diretta interfaccia tra l'assistenza territoriale e quella ospedaliera;
 
• il PNRR non trasforma l’inesistente “ospedale  minimo” in ospedale di comunità, ma si limita a ulteriormente valorizzare  il suo ruolo nella rete dei servizi, ruolo che  ha in Italia una lunga storia di analisi, di regolamentazione  e di esperienze sul campo come molto ben ricostruito di recente qui su QS da un gruppo di esperti della Asiquas;
 
• non è vero che è previsto un Ospedale di Comunità ogni 160.000 abitanti perché i 381 nuovi Ospedali si dovrebbero aggiungere ai 163 già disponibili (una analisi di Franco Pesaresichiarisce molto bene questo punto).
 
Credo che, a rassicurazione dei clinici che hanno sottoscritto quel Documento e che nella loro maggioranza hanno ora costituito il nuovo Forum, depongano la ricchezza di analisi ed esperienze che sta alla base delle cosiddette cure intermedie e degli ospedali di comunità.
 
Mi limito a rinviare al sito della  Community Hospitals Association del Regno Unito per farsi una rapida idea della  storia di oltre cinquanta anni e del valore di queste strutture considerate nel documento del Forum quasi una sorta di eversione organizzativa dell’ultima ora.
 
Merita un commento anche la chiosa finale che il nuovo Forum fa alle sue proposte: “È emersa quindi l’esigenza largamente condivisa di riformare profondamente il DM 70 ed abbandonare tutte le politiche di deospedalizzazione che purtroppo hanno riguardato il settore negli ultimi 40 anni”, una posizione confermata anche nelle dichiarazioni alla stampa del nuovo Forum del 2 febbraio.
 
Su questa condanna delle politiche di deospedalizzazione del Documento può essere di stimolo ai suoi sottoscrittori la lettura di un intervento dal titolo “Gli ospedali hanno ancora senso? I motivi per una decentralizzazione della assistenza sanitaria” e sottotitolo “Il futuro è qui: spostare l’assistenza dall’ospedale a casa e nella comunità”. Questo intervento non viene da qualche sostenitore entusiasta del PNRR, ma dal New England of Journal of Medicine Catalyst Innovations in Care Delivery in cui nel dicembre 2017 venne pubblicato appunto un contributo dal titolo “Do Hospitals Still Make Sense? The Case for Decentralization of Health Care”.
 
Traduco un estratto delle prime frasi dell’intervento: “Dalle sue umili origini come ospizi di carità per i poveri e gli indigenti che non potevano ricevere assistenza a casa, gli ospedali sono evoluti fino a diventare istituzioni di grandi dimensioni, redditizie (nota del traduttore: siamo pur sempre negli Stati Uniti), costose, a forte contenuto tecnologico e al centro dell’universo dell’assistenza sanitaria. Quasi ogni comunità ha almeno un grosso ospedale generale centralizzato e molti ne hanno più di uno. Ma la sanità sta cambiando. La crescita esponenziale della sanità digitale e virtuale, la penetrazione più a fondo delle tecnologie avanzate nella comunità e lo spostamento di attività per acuti sempre più complesse a livello ambulatoriale creano la opportunità di un passaggio da una sanità centralizzata in grandi strutture a una sanità fatta da strutture più piccole, più rapide e più efficienti in cui l’assistenza sanitaria è più accessibile, più alla portata, più personale e più vicino a casa.”
 
Credo che il nuovo Forum possa meglio dare il suo contributo se oltre a difendere  e promuovere rilanciandolo il ruolo dell’ospedale in Italia aggiornerà la sua posizione alla luce di ciò che è da anni patrimonio comune di chi si occupa di sanità pubblica nel mondo. Negare valore a ciò che il PNRR ha giustamente valorizzato non fa bene a nessuno, nemmeno a chi lavora in ospedale.
 
Claudio Maria Maffei

04 febbraio 2022
© Riproduzione riservata


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