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Un patto per il lavoro per il personale sanitario. “Un ritorno al futuro” nel segno della 833

di Roberto Polillo e Saverio Proia

Un nuovo “patto per il lavoro medico, sanitario e sociosanitario” che superi la crisi investendo sulla qualità della risorsa umana e non solo sul rafforzamento di organici demotivati e frustrati. Facendo sì che, invece, essi diventino protagonisti convinti e consapevoli della ricostruzione del SSN dopo l’infausto periodo dei tagli rifondando, contestualizzando e rivitalizzando i valori fondanti della legge 833/78, sempre quanto mai attuali, un vero e proprio “ritorno al futuro”

07 MAR - Premessa
La crisi della “presenza” medica nelle strutture del SSN, così come degli infermieri e degli altri professionisti della salute non è solo quantitativa per carenza di organici; essa al contrario ha profonde ragioni “esistenziali” se con tale termine intendiamo la percezione del valore che si attribuisce al lavoro sanitario.
 
Una crisi profonda che nasce da decenni di svilimento delle professionalità, dell’autonomia decisionale e della capacità di incidere dal basso per creare
 
nuove sinergie indispensabili per trasformare il lavoro individuale in impresa collettiva.
Da qui bisogna partire per rifondare il lavoro; per questo proponiamo “un patto del lavoro sanitario e sociosanitario” che getti le basi per creare quel general intellect attraverso cui rilanciare partecipazione e innovazione nelle pratiche sanitarie e sociosanitarie.
 
Il “Documento programmatico Fabbisogni di personale sanitario” delle Regioni
Il “Documento programmatico Fabbisogni di personale sanitario” del Tavolo Tecnico Interregionale "Area Risorse Umane, Formazione e Fabbisogni Formativi" delle Regioni e delle Province autonome è la certificazione del fallimento delle politiche sanitarie degli ultimi due decenni sia in termini di finanziamento del SSN che di gestione delle risorse umane.
 
Per quanto riguarda il primo aspetto asseverativo è l’incipit del documento “L’aumento del livello di finanziamento disposto dalla legge n. 234/2021 risulta del tutto insufficiente, considerato che la totalità delle risorse incrementali è a destinazione vincolata e non consente alle regioni di destinare le necessarie risorse alla realizzazione degli interventi finalizzati all’esigenza, imprescindibile, di mantenere strutturalmente i servizi sanitari regionali in continuità con le politiche avviate a partire dal 2020”.
 
Per il secondo aspetto giudizio non meno drastico perché in tema di politiche del personale a fronte dell’obiettivo dichiarato dall’art. 1, comma 268 della stessa legge, “di garantire un rafforzamento strutturale dei servizi sanitari regionali, anche al fine di finanziare le iniziative di stabilizzazione del personale precari, appare chiaro che il livello di finanziamento è incompatibile non solo con l’obiettivo dichiarato, ma anche con il mero mantenimento dei livelli strutturali raggiunti”.
 
Le soluzioni proposte dalle Regioni
A fronte di una situazione di tale difficoltà il documento da un lato sottolinea con forza “l’esigenza di un incremento del Fondo sanitario nazionale più consistente di quella prevista dall’art. 1, comma 258, della legge n. 234/2021 e/o dai finanziamenti ad hoc disposti al di fuori del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario standard a cui concorre lo Stato”; dall’altro avanza una serie di proposte per fare fronte alla carenza di personale su cui è necessario aprire una discussione.
 
Dall’estrema rigidità alla massima flessibilità
Il motivo dominante del documento per fronteggiare la carenza di personale è lo smantellamento del rigido sistema di inquadramento del personale per quanto riguarda vincolo di disciplina, orario di lavoro e compatibilità.
 
Si vuol dunque superare un modello pieno di divieti e privo di flessibilità favorendo la deregulation del rapporto di lavoro per incrementare l’occupabilità del personale con due meccanismi diversi; uno in entrata consentendo l’accesso al rapporto di lavoro agli specializzandi (primo o terzo anno) e ai medici in formazione per la medicina di base e lasciando completo far west nelle assunzioni con rapporti flessibili, precari, sottopagati e sfruttati ; l’altro a rapporto di lavoro vigente o in uscita consentendo ampliamento dell’orario di lavoro, attività fuori dai reparti di appartenenza, flessibilità di disciplina e superamento dell’età pensionabile.
 
Per il primo aspetto le proposte, seppure positive, sono viziate dal difetto di non riconoscere alle strutture del SSN la capacità di formare i futuri specialisti. Un’assurdità che andrebbe superata con una modifica legislativa che equipari il servizio prestato presso i reparti specialistici ospedalieri a quello presso il polo universitario e che lasci come obbligo formativo presso le facoltà solo le lezioni, i seminari universitari e la tesi finale.
 
E’ vero altresì che sarebbe quanto mai più adatto evolvere l’attuale borsa di studio in veri e propri contratti di formazione lavoro regolamentati in una specifica sezione nel CCNL della dirigenza medica e sanitaria sin dal primo anno di corso facendo sì che gli specializzandi entrassero, seppur con contratto a tempo determinato, nelle attività del SSN riconoscendo loro una progressiva autonomia determinata dalla verifica positiva delle competenze specialistiche acquisite.
 
Ovviamente questo modello contrattuale normativo ed economico varrebbe per le specializzazioni mediche, compresa la formazione del MMG, riformando così l’attuale corso regionale ma anche per le specializzazioni delle altre professioni della dirigenza sanitaria; ed è a questo punto utile ricordare come in Parlamento già sia depositato un ddl AS 2372 a firma della senatrice Paola Boldrini costruito con il confronto di sindacati, università e rappresentanze dei specialisti che potrebbe rappresentare il punto di partenza.
 
Per il secondo aspetto, difficile non vedere nelle proposte un aspetto estremamente strumentale in quanto finalizzate solo a superare la criticità delle carenze di organico trascurando forse l’aspetto più inquietante della crisi della medicina pubblica che spinge i medici a fuggire dagli ospedali: lo svilimento professionale, la perdita di status e la condizione di totale sudditanza nei confronti di un management delle strutture sanitarie che nel suo complesso non ha preservato i conti né migliorato la qualità del sistema.
 
Di questo nulla viene detto e l’unico obiettivo resta quello di una cottimizzazione incentivata della professione; un tentativo di monetizzare il disagio crescente della professione senza affrontare le altre questioni sul tappeto che riguardano il ruolo dei professionisti.
 
Le proposte avanzate
Entrando nel merito, il documento propone una sorta di libera tutti per infermieri e medici che terminato l’orario di servizio potrebbero svolgere la propria attività in regime libero professionale o convenzionato presso altre strutture. Non si capisce come da questo potrebbe derivare un miglioramento dell’assistenza e come si potrebbe superare la direttiva europea sul lavoro che detta rigide regole sugli orari e sui turni di riposo.
 
Non sembra che questa possa essere la strada percorribile anche perché le specializzazioni con maggiore carenza di organico restano “disabitate” perché i professionisti si rifiutano di sopportare carichi di lavoro fuori misura e crescenti responsabilità in tema di malpractice e conflittualità con i pazienti.
 
Così come sugli infermieri le proposte fatte sono tese a dilatare l’impegno lavorativo, anche qui non si capisce come non possa non violare la normativa europea sull’orario di lavoro, superando l’esclusività del rapporto di lavoro solo e soltanto in un ulteriore impegno lavorativo nelle RSA.
 
La necessità di un patto per il lavoro
E nostra convinzione che non si possa uscire dalla crisi della “presenza medica e degli altri professionisti della salute” con semplici meccanismi di incentivazione individuale in termini di orario di servizio.
 
Una prospettiva sbagliata anche perché la crisi è di altra natura e va risolta certamente attraverso l’introduzione di meccanismi di flessibilità; e fra questi valga in primis la possibilità del cambio di disciplina al semplice possesso di titolo di specializzazione o di servizio prestato e certificato nella specialità di afferenza. Altrettanto importante riformare il sistema di formazione post-universitaria nel senso da noi indicato.
 
Accanto a questo bisogna rifondare il sistema di relazioni sindacali riportando l’orologio ai primi anni dl 2000 quando la concertazione era un obbligo vincolante per le aziende.
 
La partecipazione va declinata in nuovi termini e va riconosciuta al professionista un’autonomia effettiva che non può essere compressa dal management aziendale, trasformatosi col tempo in uno strumento autoritario e oppressivo.
Per questo riteniamo le proposte delle Regioni locali del tutto insufficienti e improduttive.
 
Quello che proponiamo è invece un nuovo “patto per il lavoro medico, sanitario e sociosanitario” che superi la crisi investendo sulla qualità della risorsa umana e non solo sul rafforzamento di organici demotivati e frustrati facendo sì che, invece, essi diventino protagonisti convinti e consapevoli della ricostruzione del SSN dopo l’infausto periodo dei tagli rifondando, contestualizzando e rivitalizzando i valori fondanti della legge 833/78, sempre quanto mai attuali, un vero e proprio “ritorno al futuro”.
 
Patto per il lavoro che potrebbe far svolgere al Ministero della Salute, finalmente, un ruolo realmente di indirizzo e programmazione nazionale sul mercato del lavoro nel SSN con la partecipazione, la condivisione e il protagonismo positivo dei professionisti e degli operatori della Salute e delle loro rappresentanze sindacali e professionali.
 
Roberto Polillo e Saverio Proia

07 marzo 2022
© Riproduzione riservata


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