“Continua a crescere la percentuale di persone che ha dovuto rinunciare a visite specialistiche o esami diagnostici di cui avevano bisogno per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio, passando dal 6,3% del 2019 al 9,6% nel 2020 e all’11% nel 2021. Il 53,3% di chi rinuncia riferisce motivazioni legate alla pandemia da COVID-19”. È quanto scrive l’Istat nel nuovo rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) del 2021.
I dati riflettono l’impatto della pandemia in termini di eccesso di mortalità dovuto al Covid anche se nel 2021 il fenomeno è diminuito. Aumenta però la speranza di vita in buona salute e diminuiscono le persone in eccesso di peso. Preoccupano gli adolescenti (14-19 anni) dove aumenta sedentarietà e disagio mentale. Cresce la fiducia nel personale sanitario.
“Il tema della salute – scrive l’Istat -, con il diffondersi della pandemia da SARS-CoV-2, ha dominato la scena internazionale negli ultimi due anni, mobilitando ingenti risorse umane e finanziarie per scongiurare i forti rischi di perdita di quote importanti di popolazione, soprattutto fragile, di collasso dei sistemi sanitari e l’acuirsi di una crisi socio-economica di enorme portata. Il nostro Paese, abituato negli ultimi decenni a un progressivo consolidamento di elevati livelli di longevità, è stato tra i più colpiti, anche tenuto conto del maggior peso demografico dei grandi anziani rispetto agli altri Paesi europei”.
La sintesi del Capitolo Salute
Eccesso mortalità in calo nel 2021.
Nel 2020 l’eccesso di mortalità ha caratterizzato soprattutto le regioni del Nord, mentre nel 2021 cambia la mappa del contagio, con un impatto che interessa tutto il territorio nazionale, ma che cresce nel Mezzogiorno. Il Nord resta sempre la ripartizione con una proporzione maggiore di decessi COVID-19 su decessi totali, con un valore medio della ripartizione per il 2021 del 9%. Rispetto all’anno precedente, tuttavia, si è assistito a un calo di questa percentuale: quasi tutte le regioni settentrionali presentavano infatti nel 2020 valori superiori al 10%, con punte di oltre il 20% in Valle d’Aosta. Di contro, nelle regioni centro-meridionali la quota è aumentata nel 2021 rispetto al 2020, dal 6,9% al 7,7% al Centro e dal 5,3% al 7,6% nel Mezzogiorno.
L’eccesso di mortalità ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita alla nascita di oltre 1 anno di vita a livello nazionale (da 83,2 nel 2019 a 82,1 anni nel 2020), ma i dati stimati evidenziano un accenno di ripresa per il 2021 con un valore pari a 82,4 anni.
Migliora dato su speranza di vita in buona salute.
Nonostante la flessione degli anni di vita attesi nel 2020, l’indicatore della speranza di vita in buona salute alla nascita ha subito un inaspettato miglioramento e si è attestato a 61 anni, con un guadagno di 2,4 anni rispetto al 2019. Nel 2021, il miglioramento nella speranza di vita in buona salute osservato tra le donne nel 2020 (+2,5 anni rispetto al 2019) si ridimensiona, con una flessione di circa 10 mesi, arrivando a 59,3 anni da vivere in buona salute.
Tra gli uomini, invece, il valore della speranza di vita in buona salute alla nascita nel 2021 (pari a 61,8 anni) si mantiene simile a quello del 2020, anno in cui era aumentato di +2,1 anni rispetto al 2019. L’incremento della buona salute nel 2020, comune a molti paesi europei, è effetto di un aumento della quota di persone che, nel contesto della pandemia, ha relativizzato la propria condizione di salute, valutandola con maggior favore di quanto non avrebbero fatto in passato.
Peggiorano condizioni di salute degli adolescenti.
Nel 2021 si osserva un peggioramento nelle condizioni di benessere mentale tra i ragazzi di 14-19 anni. In questa fascia d’età il punteggio rilevato (misurato su una scala in centesimi) è sceso a 66,6 per le ragazze (- 4,6 punti rispetto al 2020) e a 74,1 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020). Aumenta, infatti, la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale (punteggio dell’indicatore di salute mentale inferiore al primo quintile della distribuzione, pari a 52 punti), che passa dal 13,8% nel 2019 al 20,9% nel 2021.
Continua a ridursi la proporzione di anziani di 75 anni e oltre affetti da gravi limitazioni o condizioni di multicronicità, sebbene i livelli permangano comunque elevati e riguardino nel biennio 2020-2021 quasi la metà della popolazione in questa fascia di età (47,8%).
Sempre meno i sedentari.
Sia nel 2020 sia nel 2021 l’indicatore che monitora la sedentarietà segna un ulteriore miglioramento in linea con il trend registrato negli ultimi anni, tuttavia, la diminuzione non ha riguardato i giovanissimi di 14-19 per i quali si è assistito ad un aumento significativo della quota di sedentari che è passata dal 18,6% al 20,9%.
Diminuisce nel 2021 l’eccesso di peso tra la popolazione adulta di 18 anni e più rispetto a quanto registrato nel 2020 (passando dal 45,9% al 44,4%) e si riattesta al livello del 2019 (44,9%), ma il decremento riguarda soltanto la quota di persone in condizione di sovrappeso, mentre la proporzione di persone in condizione di obesità risulta in lieve ma costante aumento, raggiungendo la quota dell’11,4% nel 2021 a fronte del 10,5% nel 2019 e del 10,9% nel 2020.
Aumentano i fumatori.
Nel 2021, è pari al 19,5% la quota di fumatori di 14 anni e più, quota stabile rispetto al 2020 (19,1%) e in lieve aumento rispetto a quanto registrato nel 2019 (18,7%).
Si riduce l’abitudine al consumo di alcolici.
L’abitudine al consumo a rischio di bevande alcoliche ha riguardato nel 2021 il 14,7% della popolazione di 14 anni e più. Dopo l’aumento tra il 2019 e il 2020 (dal 15,8% al 16,7%), nel 2021 si osserva una riduzione significativa pari a 2 punti percentuali. La flessione nella quota dei consumatori a rischio ha riguardato sia il consumo abituale eccedentario (tornato ai livelli del 2019) sia le ubriacature.
Aumentano le persone che rinunciano alle cure.
Nel secondo anno di pandemia continuano ad aumentare le rinunce alle prestazioni sanitarie Nel 2021, l’11,0% delle persone che avevano bisogno di visite specialistiche (escluse le visite dentistiche) o esami diagnostici ha dichiarato di averci rinunciato per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio. Nel 2021 cresce la quota di persone che ha dovuto rinunciare a visite o accertamenti di 1,5 punti percentuali, 765 mila persone in più (+ 1,5 punti percentuali), confermando l’aumento già osservato nel 2020, pari a +3,3 punti percentuali rispetto al 2019. La quota di quanti riferiscono di aver dovuto rinunciare per motivi legati al COVID-19 è aumentata passando dal 51,4% del 2020 al 53,3% del 2021 (valore che sale al 60,1% nel Nord-est). Queste rinunce e il loro incremento destano preoccupazione, in quanto sottintendono un rinvio nelle prestazioni, che potrebbe da un lato comportare un futuro aumento delle richieste, con un impatto sulle liste di attesa, dall’altro causare incrementi in termini di mortalità evitabile per la mancata tempestività delle cure.
Fino al 2019 la rinuncia a prestazioni sanitarie mostrava un gradiente territoriale Nord Mezzogiorno, a svantaggio di quest’ultimo mentre negli ultimi 2 anni, la situazione pandemica ha reso il problema della rinuncia a visite e accertamenti omogeneo sul territorio. Al livello regionale, permangono comunque alcune situazioni particolarmente critiche, come ad esempio in Sardegna, dove la percentuale di persone che hanno rinunciato a visite o accertamenti nel 2021 è pari al 18,3%, con un aumento di 6,6 punti percentuali rispetto al 2019; in Abruzzo la quota si stima pari al 13,8%; in Molise e nel Lazio la quota è pari al 13,2% con un aumento di circa 5 punti percentuali rispetto a due anni prima. Vivere in un comune centro dell’area metropolitana è un’altra condizione che determina maggiori incrementi nella rinuncia a prestazioni, infatti, negli anni della pandemia la percentuale di chi ha dovuto rinunciare a una visita o a un accertamento sale al 12,8% in queste aree (era il 7,3% nel 2019).
Aumenta numero personale sanitario e fiducia dei cittadini.
Dal punto di vista della dotazione di personale sanitario, si è registrato un leggero incremento di medici e personale paramedico, indispensabili per far fronte all’emergenza sanitaria: nel 2021 ci sono 4,1 medici ogni 1.000 residenti (erano 4,0 nel 2020); infermieri e ostetriche passano al 6,6 per 1.000 residenti nel 2020 (erano il 6,5 nel 2019). I dati trasmessi dalle Regioni e Province autonome al Ministero della Salute riferiti al periodo marzo 2020 - aprile 2021, confermano che sono stati reclutati 83.180 operatori per far fronte alla situazione pandemica, di cui 21.414 medici e 31.990 infermieri. Al livello di territorio regionale si nota che la disponibilità di medici è superiore alla media nazionale in Liguria (4,7 medici per 1.000 abitanti), Emilia-Romagna (4,4), Toscana (4,5) e Umbria (4,6), Lazio (4,8), Sicilia (4,5) e Sardegna (4,9) mentre si registrano valori minimi in Basilicata (3,4), nelle Province Autonome di Bolzano e Trento (3,4 e 3,3) e in Veneto (3,6). Anche per gli infermieri la situazione è diversificata a livello regionale, con più di 8 infermieri per 1.000 abitanti in Liguria, nelle province autonome di Trento e Bolzano e in Molise, mentre si registrano valori minimi in Lombardia, Campania e Calabria. Negli ultimi due anni anche grazie all’impegno dimostrato durante la pandemia, la figura di medici e infermieri è stata al centro dell’attenzione pubblica. Per la prima volta nell’indagine Aspetti della vita quotidiana sono stati inseriti due quesiti sulla fiducia che le persone nutrono verso medici e altro personale sanitario grazie ai quali è emerso che il livello di fiducia degli italiani per queste figure è mediamente elevato: nel 2021 il voto medio è stato 7,3 per i medici e 7,2 per il personale sanitario, valori simili a quelli espressi nei confronti delle Forze dell’ordine e dei Vigili del fuoco.
Queste figure riscontrano un’ampia fiducia da parte della popolazione: circa il 50% dei residenti di 14 anni e più ha dato loro un punteggio di fiducia uguale o superiore a 8 (su una scala da 0 a 10).
In calo il fenomeno della mobilità sanitaria.
Nel 2020 il 7,3% delle persone si è spostato in un'altra regione per effettuare un ricovero. Le restrizioni imposte dalla pandemia, che hanno impedito gli spostamenti fuori dalla propria regione, e il sovraccarico dei servizi ospedalieri dovuto ai pazienti Covid, hanno comportato un calo di 1 milione e 700mila ricoveri di pazienti residenti fuori regione rispetto al 2019, anno in cui il tasso di emigrazione ospedaliera era pari all’8,3%.