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La bioetica non è uno “scatolone” ma uno “spazio etico” va definito

di Luisella  Battaglia 

Lo “spazio etico” - da intendersi come luogo di ascolto e di incontro in diversi ambiti, a partire da quello sanitario, - si propone di dar voce ai singoli cittadini e alle associazioni che li rappresentano al fine di favorire il dialogo, di condividere esperienze di vita e di contribuire allo sviluppo di un “welfare di comunità”. Ivan Cavicchi ha colto l’interesse di questa proposta, definendola “un esempio di come la bioetica in piena crisi della medicina scientifica, a certe condizioni, potrebbe contribuire al ripensamento della medicina stessa”

01 GIU -

“Scienza della sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema”: così nel 1971 il medico oncologo Van Potter in un celebre testo definiva la bioetica, la nuova disciplina che avrebbe dovuto basarsi su un incontro tra “le due culture”- scientifica e umanistica - dando vita, per realizzare il suo ambizioso progetto, ad un gruppo interdisciplinare illustrato, tra gli altri dai nomi dell’antropologa Margaret Mead e dal teologo Teilhard de Chardin.

La sua visione conteneva un’intuizione precorritrice, quella di una bioetica globale, in cui medicina, scienze della vita, ecologia, etologia entrassero in dialogo con la filosofia e l’etica per assicurare la sopravvivenza dell’uomo, inteso come membro dell’ecosistema, della comunità di vita della terra.

Oggi, a causa dell’emergenza pandemica, - che ci ha messo con lo spillover di fronte alla strettissima interrelazione tra problemi relativi alla salute umana,  ambientale e animale (non a caso si parla di One Health) - siamo in grado di valutare l’importanza della sua prospettiva globale e della necessità di un approccio interdisciplinare – esemplato più modernamente dal pensiero della complessità di Edgar Morin – per dare risposte adeguate alle sfide che ci attendono. In tal senso la bioetica è qualcosa di più e di diverso, per sua vocazione e ambizione teoretica, rispetto a una versione moderna e aggiornata dell’etica medica, come tuttavia viene comunemente intesa.

Occorre ricordare che non era questa l’idea di Van Potter né di colui che per primo ne coniò il termine, nel lontano 1927, il filosofo tedesco Fritz Jahr, che pensava ad un’etica allargata al bios, all’intero mondo vivente. Sarebbe troppo lungo ricordare le contingenze storiche che hanno indotto il riferimento esclusivo della bioetica alla sola pratica medica - che viene spesso convenzionalmente indicata come suo ambito specifico - perdendo in tal modo il significato autenticamente innovativo della sua proposta euristica. Basti accennare al fatto che i due centri presso cui si svilupparono le ricerche della bioetica furono, negli USA, lo “Hastings Center” e il “Kennedy Institute”, entrambi indirizzati allo studio dei problemi etici connessi con la medicina.

Così configurata e intesa, la bioetica varcò rapidamente i confini degli Stati Uniti e si diffuse rapidamente nel resto del mondo. Ciò fece sì che non si considerassero appartenenti alla bioetica questioni di grande rilievo come il nostro rapporto con la natura o i problemi relativi al trattamento degli animali: una situazione, questa, che oggi si può ritenere largamente superata grazie al recupero dello spazio originario proprio della bioetica, conseguenza della natura eminentemente complessa dei problemi affrontati che esigono un’apertura interdisciplinare e una prospettiva rigorosamente sistemica.

Per le ragioni che ho qui sommariamente richiamato non mi sentirei di definire la bioetica uno “scatolone”, per usare il termine impiegato da Ivan Cavicchi, a cui sono tuttavia profondamente grata per aver avviato col suo intervento sul mio libro Bioetica, un dibattito particolarmente utile per chiarire taluni nodi problematici e dissipare una serie di equivoci su una parola che evidentemente continua ad essere ancora ‘misteriosa’.

Molte e intriganti sono le questioni specifiche sollevate da Cavicchi (a partire dai rapporti tra bioetica ed escatologia) che esigono una discussione molto più approfondita e argomentata di quella che può svolgersi in questa sede. Non mancheranno certamente prossime occasioni di confronto.

Per intanto, per ciò che  riguarda un’accusa particolarmente seria rivolta alla bioetica ‘istituzionale’ – quella di aver “detto tanto poco” sulla crisi della medicina messa drammaticamente in evidenza dalla pandemia nè di aver dato indicazioni di lavoro – vorrei sommessamente ricordare che forse sarebbe stato il caso di dedicare maggiore attenzione ai ben 13 pareri che il CNB, tra il 2020 e il 2022, ha dedicato ai problemi bioetici posti dal Covid e rinvenibili sul sito web del Comitato Nazionale per la Bioetica.

Ecco alcuni titoli: Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica"; Covid-19: salute pubblica, libertà individuale, solidarietà sociale;  La sperimentazione biomedica per la ricerca di nuovi trattamenti terapeutici nell’ambito della pandemia Covid-19: aspetti etici;  Covid-19 e bambini: dalla nascita all’età scolare; I vaccini e Covid-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzione ;  La solitudine dei malati nelle strutture sanitarie in tempi di pandemia; Urgenza vaccinale: aspetti bioetici; Passaporto, patentino, green pass nell’ambito della pandemia ;Covid-19: aspetti bioetici; Vaccini e placebo; Vaccini anti Covid-19 e adolescenti.   

Di grande interesse è il ruolo – opportunamente richiamato da Cavicchi - della bioetica in quanto etica applicata, chiamata a elaborare proposte e a promuovere iniziative in ambito sociale e politico. Si tratta di un ruolo ‘creativo’ della bioetica che mi sta particolarmente a cuore e che anima fin dalle sue origini, nel 1992, l’Istituto Italiano di Bioetica che ho fondato.

La proposta cui si fa riferimento è quella dello “spazio etico”, voluto fortemente dal nostro Ístituto, e approvato dal CNB con un apposito parere. Centrale è la questione della vulnerabilità – messa in evidenza dalla pandemia.- intesa sia come condizione specifica di soggetti deboli che richiedono particolare attenzione e tutela, sia anche, e soprattutto, come riconoscimento di una condizione umana strutturale che tutti ci accomuna – e la risposta positiva di un’etica della cura che richiama il medico al duplice, inscindibile ruolo del curare (cure)  e del prendersi cura (care) in cui è possibile ravvisare, per riprendere la visione del filosofo Paul Ricoeur, la sua vocazione più autentica.

Lo “spazio etico” - da intendersi come luogo di ascolto e di incontro in diversi ambiti, a partire da quello sanitario, - si propone infatti di dar voce ai singoli cittadini e alle associazioni che li rappresentano al fine di favorire il dialogo, di condividere esperienze di vita e di contribuire allo sviluppo di un “welfare di comunità” in grado di costruire nuove forme di assistenza e di cura.

Nasce, potremmo dire, dalla consapevolezza che le circostanze della malattia coinvolgono molteplici problemi morali e spirituali, diverse tradizioni culturali, specifiche vicende biografiche: in altri termini, il mondo della vita in tutta la sua varietà e complessità. La condivisione del percorso clinico ed esistenziale della malattia chiama infatti in causa i familiari e gli amici, oltre i medici e gli operatori sanitari, sottoposti essi stessi ad un moral distress che la pandemia ha indubbiamente acuito e che richiede, per non trasformarsi in burnout massima attenzione e cura. E’ dunque l’intero contesto della malattia a richiedere non solo una medicina di prossimità, ma anche una rete di sostegno materiale, sociale e psicologico.

Ivan Cavicchi ha colto, perfettamente, con la sua competenza e la sua sensibilità, l’interesse di questa proposta, definendola “un esempio di come la bioetica in piena crisi della medicina scientifica, a certe condizioni, potrebbe contribuire al ripensamento della medicina stessa”.

Dovrebbe essere questo, in effetti, il ruolo insieme critico e costruttivo della bioetica. Ora si tratta di lavorare insieme al fine di “trasformare – per riprendere le parole stesse di Cavicchi – l’idea importante di spazio etico in una proposta di riorganizzazione delle prassi professionali e dei servizi”. Non si potrebbe dir meglio: questo è il compito che ci attende.

Potremo parlarne insieme in un prossimo Convegno organizzato dall’Istituto Italiano di Bioetica che si terrà a Genova in presenza e on line il 23 giugno presso la sede dell’Istituto dalle ore 9,30 alle 18.

Luisella  Battaglia 

Componente del Comitato Nazionale di Bioetica
Già Ordinario di Filosofia Morale e Bioetica Università degli Studi di Genova - Presidente dell’Istituto Italiano di Bioetica



01 giugno 2022
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