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Ssn: 10 anni di cure per accorgersi che il malato sta morendo. Meglio cambiare terapia

di P. Da Col, A. Trimarchi

L’intervento del Senatore Mario Monti conferma che le spese sanitarie sono investimenti positivi e consente di valutare l’impatto delle politiche improntate all’austerità. Le entrate fiscali sono certamente indispensabili per sostenere il Ssn, ma generano equo vantaggio solamente se in un quadro di indifferibili politiche espansive. Per questo serve abbandonare il pensiero dominante del neo/ordoliberismo, incompatibile con un Ssn ed un welfare protettivo dei più deboli, e ritornare a sane ispirazioni post-keynesiane

13 GEN -

Puntuale e prezioso come sempre, Quotidiano Sanità ci ha informati sulla dichiarazione di voto del Senatore Prof. Mario Monti. Ci ha colpito un passaggio che immaginiamo avrà fatto sussultare anche molti altri operatori ingaggiati in sanità pubblica e per questo qui lo riprendiamo con alcune osservazioni. Ci piace immaginare che anche questo fosse uno degli scopi dell’articolo.

Questo il passaggio: “Io stesso (Monti, nd AA), che pure mi assumo la responsabilità di avere, in un momento straordinariamente difficile e con il consenso di quasi tutto il Parlamento, frenato determinate voci di spesa, sono il primo a dire che ora che abbiamo scoperto quali sono i danni sistemici, economici, sociali di una pandemia, per esempio, abbiamo il dovere di considerare molto più la spesa sanitaria come investimento e fare di tutto per non essere costretti poi, dalle corde strette della borsa, a ritirarlo... Ecco perché mi sento di dire di essere preoccupato dalla piega che viene data, visto che è un elemento politicamente qualificante. Per questo lo sottolineo come significativo e non casuale e come elemento che mi preoccupa molto”.

Siamo grati al Senatore Prof. Monti per la sua autorevole conferma dell’idea che la sanità è da considerare un investimento e non un costo, convinzione che confidiamo avrà modo di diffondere negli influenti ambienti da lui frequentati, notoriamente non sempre concordi su questa visione. Gli siamo altresì grati perché, condividendo del tutto le sue preoccupazioni, ci ha stimolato a ricordare quanto la sanità pubblica fu allora “frenata”, per capire dal passato come sarebbe bene orientarsi oggi.

Ripartiamo quindi con una breve analisi dal 2012, quando fu il suo governo ad avviare una robusta cura a base di austerità, per la quale ammette responsabilità. A distanza di tempo, noi pensiamo che quelle scelte strozzarono la domanda interna, aumentando la povertà; la spending review della spesa pubblica ha da allora fortemente penalizzato la sanità pubblica ed aperto le porte alla sanità privata, soprattutto out of pocket, con aumento delle disuguaglianze di salute, costringendo alla rinuncia alle cure moltissimi soggetti deboli e rafforzando le tendenze di pensiero dominante sulla (falsa) inevitabilità di apportare restrizioni del nostro welfare in generale.

Le recenti dichiarazioni del Senatore ci hanno ricordato quelle che l’allora Presidente Prof. Monti pronunciò nel 2012 all’apertura di un Convegno in cui era intervenuto in videoconferenza in occasione della presentazione a Palermo del progetto del nuovo Centro per le biotecnologie e la ricerca biomedica della fondazione Rimed “Il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento”, che provocò immediate repliche ed un lucido editoriale di Gavino Maciocco.

Ricordiamo che per contenere le polemiche si rese necessaria una nota di Palazzo Chigi che tentò di spiegare che quelle parole non erano volte a mettere in dubbio il finanziamento pubblico del sistema sanitario; piuttosto, riferendosi alla sostenibilità futura, ad evidenziare la questione dell’opportunità di affiancare al finanziamento a carico dei contribuenti nuove forme di finanziamento integrativo.
Da allora, ininterrotte si sono susseguite le voci ed i provvedimenti, anche dei governi successivi, incentivanti restrizioni al Ssn e l’introduzione di “terze gambe” in sanità quali ineludibile supporto al Ssn “malato” (indebolendolo così in realtà di forza e risorse; netto è il nostro disaccordo su ogni forma di tali azioni).

La prima fonte di dati per le nostre riflessioni è al massimo grado istituzionale: il rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2018 della Corte dei Conti 2018.

I prossimi grafici (tratti da pag. 100 del rapporto) sono eloquenti: dal 2011/2012 le curve in discesa precipitosa della spesa in sanità, come nell’istruzione, bene dimostrano l’efficacia dei tagli programmati su due assi portanti della vita del Paese. Non sfugga la drammatica caduta della ricchezza nazionale (PIL pro capite).

Per noi attenti ai determinanti sociali della salute, il dato della diminuzione del PIL appare allarmante quando si analizzano i dati della tabella che riporta gli indicatori di disagio sociale, comparati con l’area euro. Spicca il dato sulla povertà assoluta, sulla grave deprivazione e di rischio di esclusione sociale (non ricordiamo a riguardo espressioni di preoccupazione a quel tempo). Spicca la differenza di valore quasi doppio di “grave deprivazione sociale” tra l’Italia e gli altri Paesi europei.

Per inciso, oggi sappiamo che in Italia vivono cinque milioni di poveri. Sembra quindi lecito concludere che le scelte politiche del tempo oggettivamente provocarono meno protezioni sociali in ambiti essenziali, andandosi a ripercuotere su una platea sempre più ampia di persone in povertà assoluta.

La tabella successiva mostrava molto bene come in sanità dal 2011 al 2013 si sono ridotti i valori delle prestazioni globali e quali le voci della sanità modificate. Balza all’occhio la riduzione della spesa farmaceutica, dell’assistenza medico-generica, di quella ospedaliera, delle uscite totali e dei “redditi da lavoro dipendente” (stipendi).

Abbiamo capito meglio la situazione globale grazie al grafico successivo, relativo all’andamento dei finanziamenti per il Ssn (fonte: I Quaderni della Fondazione Farmafactoring - I conti della sanità: consuntivi del 2018 e prospettive future).

Appare evidente cosa accadde tra il 2011 e il 2013 nella spesa sanitaria: è l’unico periodo della serie storica ventennale in cui l’istogramma va sottozero, concomitante con l’appiattimento della curva di spesa (né poteva essere diversamente, dati i tagli).

Per completezza, ricordiamo ancora che all’epoca gli “austeritologi” avevano imposto in sanità il programma dei Piani di rientro per le Regioni “cattive e malate (di deficit)”, colpite da massicci tagli, da cui tuttavia non furono indenni nemmeno quelle “sane-quasi buone” (vedi il grafico successivo).



La nostra memoria sull’impatto delle azioni governative si è rafforzata dopo aver riletto oggi la Nota di Aggiornamento (NADEF) del 2012, presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Vittorio Grilli.

Nella Tavola 3a, alla voce “SPESE” il programma economico-finanziario per la PA del Governo appariva chiaro. Questa, ad esempio, la riduzione progressiva dei “redditi da lavoro dipendente” (ovvero sostanzialmente le spese per il personale) negli anni dal 2010 al 2013 (valori arr. in milioni di euro): 172.00, 170.000, 167.000, 166.000; questo il trend della spesa sanitaria: 112,7; 112,0; 113,5; 112,9. Infine, queste le variazioni delle spese totali in conto capitale, ovvero per investimenti: 53,8; 47,9; 46,8; 45,9. Dunque il programma era azzerare lo sviluppo degli investimenti.

Interessante l’aumento previsto alla voce ENTRATE (totale entrate finali dal 2010 al 2013): 723,9; 736,2, 764,4; 784,1.

In conclusione le cose sono andate a finire esattamente come voluto: noi cittadini abbiamo pagato molte più tasse e ricevuto meni servizi; si sono fatti meno investimenti pubblici.

A fugare ogni possibile dubbio per possibili nostre interpretazioni tendenziose dei dati, valgono le parole della stessa relazione (pag. 17) L’azione del Governo, sul fronte dei conti pubblici, si è concentrata nel corso del 2012 sulla correzione strutturale degli andamenti tendenziali della spesa.” Ed ancora appare ben più chiara (pag. 18) l’esplicitata volontà di riduzione del finanziamento del Ssn (dal 2012 a 2015): 900 milioni di euro nel 2012, e poi 1.800 milioni; 2.000 milioni; 2.100 milioni. Dunque un trend crescente di “frenate” di risorse che non potevano che generare crisi del sistema sanitario pubblico, già non ben dotato in partenza. Oltre ogni difficoltà interpretativa è quanto si legge a pagina 20: “Il decreto legge n. 95/201215 introduce vari interventi la cui comune finalità è il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica.” Insomma, noi più semplicemente diremmo: via libera a tagli e razionamenti.

Per chi si ricorda in quale stato di malessere versava il Ssn già nel 2011 e come andarono ad evolversi in seguito le condizioni del “malato” (Ssn), non sorprende che si sia giunti alla sua condizione attuale quasi agonica, da tutti oggi accertata (certo, anche a causa della pandemia, a cui però giungemmo impreparati proprio a causa della situazione creatasi allora e perpetuata nel decennio successivo).

La domanda che ci poniamo è: che fare ora, come uscirne? Praticando forse la stessa cura, magari a dosi maggiori? Riteniamo che sarebbe meglio cambiare. Ma si può cambiare?

Qui bisogna ricordare l’altra eredità, la più pesante, del Governo Monti: l’introduzione del fiscal compact in Costituzione, con la modifica dell’art. 81, che impone il pareggio di bilancio, in ossequio (eccessivo, non così fece la Francia) alle regole europee (volte a garantire la salute della moneta più che delle persone). Ci convince la necessità del cambiamento delle scelte politiche la tabella successiva ed il commento soprariportato (tratto ancora dalla NADEF 2012). L’impatto macroeconomico della spending review (titolo della tabella) prevedeva una crescita zero o di segno negativo sia del PIL sia delle altre voci di “ricchezza”. Un Paese quindi bloccato. In tutto. E peggiora il nostro sconforto la frase che sottolinea che gli effetti positivi della manovra avverranno nel lungo periodo. Bene, ora siamo arrivati a 10 anni di distanza, dunque il lungo periodo è trascorso: noi non vediamo gli attesi effetti positivi sulla crescita, anzi l’opposto, mentre si prosegue con le stesse strategie. Siamo pertanto convinti che è evidence based: occorre cambiare terapia.

Per inciso, appare oggi perfino paradossale che le terapie a base di dosi massicce di austerità, così dolorose per tanti cittadini-contribuenti, che avrebbero dovuto mantenere prezzi stabili oggi si confrontano con tassi di inflazione a due cifre.

Così, tra NADEF, tagli, fiscal compact e l’art. 81 revisionato della Costituzione - in verità allora approvato dai 2/3 del Parlamento (relatore l’on. Giorgetti – sì, proprio l’attuale Ministro) - si iniziò un ciclo con cui si volle scientemente soppressa ogni possibilità di debito espansivo per politiche pubbliche (keynesiane), unica e sola base per un vero SSN in salute. Ancora, è dimostrato che l’adesione incondizionata al fiscal compact ed alla moneta unica ci priva oggi della possibilità di una crescita economica, blocca i salari (già bassi), senza la possibilità di adeguarli all’inflazione. Assistiamo quindi alla vittoria del capitale (“i mercati”) sul lavoro (il nostro) ed alla inevitabile sconfitta del welfare, tra cui il servizio sanitario pubblica. Non potranno quindi che aumentare i poveri ed i bisogni essenziali scoperti; le criticità di tutti i determinanti sociali della salute; le fasce di popolazione non curate a causa della riduzione dei servizi pubblici. Ci domandiamo quanto ancora potremo invocare il “diritto della salute” sempre più tuttavia così “condizionato” (dalle risorse) e come vantare la virtù dei LEA, sempre meno espressione di garanzia di diritti e sempre più di incompatibilità economica.

Occorre cambiare. Del resto, quale dei nostri pazienti non eccepirebbe sulla scelta dei medici (responsabilità) che da 10 anni, ininterrottamente, hanno voluto pervicacemente continuare a curare un malato grave (SSN) sempre con la stessa terapia (austerità), addirittura a dosi crescenti, a fronte di continuo peggioramento? Ogni dogmatismo ideologico (neoliberismo) contro ogni evidenza, anche scientifica, ci sembra quantomeno incoerente illogico inopportuno.

Riteniamo che non saranno quindi le “terze gambe” o i fondi integrativi a riportarci in sicurezza, né tantomeno ulteriori tagli o razionalizzazioni o efficientamenti o anche la mera retorica dei proclami “salviamo il SSN”. Per portarci fuori dai guai, non basteranno inasprimenti fiscali né le critiche ad un governo appena nato da parte di chi è stato medico curante a lungo negli anni passati. Occorre unanime convinzione e ammettere gli errori del passato e del presente; occorre non più frenare ma accelerare verso una rapido e indifferibile cambio di rotta.

Riavviciniamoci ai porti sicuri delle politiche favorevoli alla vera espansione (keynesiane); abbandoniamo i territori della dottrina neo/ordo liberista (della Commissione Europea), per sua natura - convinciamocene tutti, è provato dalla teoria e dai fatti - incompatibile con un servizio sanitario pubblico e, più in generale, con un welfare generativo, realmente protettivo dei più deboli.
Questo serve, ora e subito. Altro porterà solo ulteriori sofferenze, lacrime, e guai sempre peggiori.

Paolo Da Col e Antonino Trimarchi
Già Direttori Sanitari di Asl e di Distretto



13 gennaio 2023
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