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Costi standard e spending review. Mai viste regioni così taglienti!

di Ivan Cavicchi

Le regioni, pur di tenersi stretto il loro prezioso Titolo V della Costituzione, sembrano disposte anche loro ad attingere alle misure lineari. I costi standard sono criteri lineari non ponderati con lo scopo di livellare i pesi demografici, sociali, epidemiologici, geografici della domanda di salute

01 NOV - Ho letto con interesse le cronache del convegno tenutosi a Verona “Tre sanità a confronto” in cui tre regioni di centro destra, Lombardia, Veneto, Piemonte hanno raccontato le loro esperienze offrendoci la possibilità di comprendere l’orientamento non solo delle più grosse regioni del nord ma indirettamente anche quello di uno schieramento politico a volte poco intelleggibile.
 
Confesso anche che mi ha incuriosito che il convegno fosse chiuso dall’ex assessore dell’Emilia Romagna, oggi presidente dell’Agenas ma non perché egli sia stato l’espressione di una regione guida e del defunto riformismo sanitario di sinistra, ma perché il suo discorso dimostra che sulla sanità le storiche differenze culturali tra destra e sinistra si sono uniformate, perché uniformate ormai dagli stessi pesanti problemi. E’ vero che ci sono 21 sistemi sanitari regionali ma è anche vero che essi sono come coordinate da un pensiero unico. La spending review è una forma di nazionalizzazione dei tagli e in quanto tale è come se avesse ricostruito recessivamente l’unità del servizio sanitario nazionale del 78.
 
Ma quale è questo pensiero? E’ quello che da una parte aggiorna gli approcci “micro”del marginalismo degli anni passati con degli approcci appena più “macro” quindi con una specie di riordinalismo del sistema(riordino ospedaliero e riordino del territorio) ma restando sempre dentro il sistema che c’è, e dall’altra punta tutto sulla funzione salvifica dei costi standard per finanziare il sistema e per allocare risorse nel sistema. Questa sarebbe la risposta delle regioni al definanziamento della sanità pubblica. Da questa posizione emerge uno zelo inusitato, si dice addirittura che sia possibile risparmiare ben 13 mld per “evitare i tagli” e, come l’esecrabile Bush, tirano fuori, come da un cilindro, una idea di “guerra preventiva ai tagli attraverso i tagli”. Oggi che siamo ben oltre le politiche di contenimento, vediamo le regioni che senza una vera politica alternativa hanno dato inizio ad una specie di gara a chi taglia di più cioè a chi spinge più gente fuori dal pubblico. Vi riporto un virgolettato del convegno di Verona: si tratta di “avere risparmi ben superiori ai tagli del governo”. Sinceramente sono impressionato mai viste regioni così taglienti! 
Le regioni, pur di tenersi stretto il loro prezioso Titolo V della Costituzione sembrano disposte anche loro ad attingere alle misure lineari. I costi standard sono criteri lineari non ponderati per allocare risorse e calcolati con una discutibile metodologia di benchmark con lo scopo di livellare i pesi demografici, sociali, epidemiologici, geografici della domanda di salute ecc. Eppure se consideriamo che vi sono realtà sociali altamente eterogenee quali sono i territori delle nostre regioni, non di costi standard avremmo bisogno ma di criteri analiticamente ponderati. La differenza sostanziale tra la standardizzazione e la ponderazione è tra una visione lineare e una visione discreta. I costi standard sono una delle tante espressioni della logica lineare come i tetti di spesa, i prezzi di riferimento, gli sconti imposti, il taglio dei posti letto ecc.
 
Ma se si invocano i costi standard per risparmiare…vuol dire che si vuole “allocare per tagliare” il che non mi sembra una gran trovata perché si scade nella standardizzazione dell’instandardizzabile cioè si scade nella banalizzazione e nella indebita semplificazione della complessità sanitaria. Non c’è cosa più ingiusta che snaturare la complessità della domanda sanitaria con un pensiero banale. Insomma questa passione da parte delle regioni per i costi standard, idea strettamente abbinata al federalismo fiscale, rischia di apparire come una passione per il predefinito, il meccanico e l’automatico, il banale, il semplificatorio che ci conferma, ancora una volta i limiti intellettuali di chi non riesce a ragionare in un altro modo cioè a governare sul serio la complessità. Dopo la spending review le regioni a corto di idee vogliono massimizzare non la salute dell’individuo e della collettività come sarebbe logico fare per rispondere al definanziamento, ma il risparmio a qualsiasi condizione, per cui non meraviglia se per loro alla fine i costi standard si pongono come i migliori valori possibili per ottenere linearmente il massimo risparmio possibile al punto tale da essere considerati addirittura più efficenti della spending review.
Ma l’idea di prevenire i tagli con i tagli è autolesionista.
 
Come è autolesionista rispondere al definanziamento con il definanziamento. A parte la questione del pensiero debole che è il vero punto di debolezza, mi sembra di capire che la spending review di Monti, sia vissuta dalle regioni come una critica alla loro capacità, alla loro affidabilità, alla loro serietà…quindi come un attacco ai loro poteri, per cui niente di più logico da parte loro dimostrare al mondo che “ce l’hanno più lungo” di Monti (chiedo scusa per il colorito padanismo) semplicemente tagliando più di lui. E questo è una follia. Io a Monti risponderei più o meno a saldi invariati con un cambiamento strutturale dei modelli di assistenza, quindi del sistema, cioè non solo riordinando ma cambiando, mettendo in campo politiche che riducano la gigantesca antieconomicità del sistema ma senza rinunciare a produrre salute.
 
Il problema non è definanziare la spesa con i tagli o i costi standard, perché la spesa keynesanamente parlando resta un valore, ma il grado di antieconomicità che è in essa. Cioè risponderei in modo discreto non in modo lineare. Le regioni purtroppo sono lontane dal solo concepire questa possibilità e a loro volta cavalcano pedissequamente un altro postulato della tanto odiata spending review che è quello che sostiene che si può tagliare linearmente in costanza di servizi. Assumere questo postulato per le “regioni taglienti” è quasi una ammissione di colpa vuol dire che i servizi si possono salvare perché sopra sotto e intorno ci sono un mucchio di soldi risparmiabili e che sino ad ora sono stati quantomeno male impiegati. Se è possibile tagliare senza toccare i servizi vuol dire che le regioni sono disposte a tagliare sulla loro inefficenza e non solo. Il che lo ammetto sarebbe già un bel risultato. Cioè per rispondere alla spending review di Monti ci propongono una spending review sulla loro immoralità e sulle loro incapacità. Facendo il gioco di chi il gioco glielo vorrebbe togliere di mano.
 
Devo dire che se triste è lo spettacolo che nel loro insieme le regioni danno di se stesse (qualcuno mi ha detto che assomigliano a pugili rintronati dai cazzotti) non meno triste è rendersi conto di quanto esse siano senza idee, senza politiche convincenti, senza un moderno progetto di welfare fino ad essere poco difendibili da coloro, governo in testa, che ne chiedono il ridimensionamenti dei poteri. Dare l’immagine all’opinione pubblica di essere capaci solo di rubare non aiuta le regioni a rifarsi una credibilità. Meno che mai aiuta restringere i confini del pubblico , e ancor meno a tassare i cittadini. Ho sempre sostenuto che un vero federalismo avrebbe permesso alla sanità il salto riformatore necessario, nonostante tutto resto ancora di questa opinione ma preferire delle regioni naturalmente meno “taglienti” e più “discrete” e con politiche diverse da quelle francamente stupide di prevenire i tagli con i tagli. Se il definanziamento fosse una malattia io non la cureri con il principio “similia similibus curantur” ma con quello “contraria contrariis curantur”.
 
Ivan Cavicchi

01 novembre 2012
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