È un quadro di luci e ombre quello che emerge dalla Relazione annuale del Cnel sui servizi pubblici, presentata oggi a Villa Lubin. Molte buone pratiche, importanti miglioramenti, ma anche tante sfaccettature che riflettono antiche fragilità e significativi divari territoriali e sociali. Bene gli indicatori di benessere relativi alle speranze di vita (83,1 anni) e alla salute degli anziani (37,8% in buona salute). In aumento il livello di risorse finanziarie per la protezione sociale, la prevenzione sanitaria e i servizi all’infanzia.
Molte delle criticità vengono addebitate al livello insufficiente di impegno economico e di risorse messe in campo per l’attuazione degli obiettivi strategici prefissati, in molti casi ben al di sotto rispetto al livello dei grandi paesi europei con i quali è possibile confrontarsi. E ciò riguarda la gran parte dei settori analizzati.
Emblematico è il caso della sanità, dove la spesa pubblica, benché in risalita a partire dal 2020, è ancora tra le più basse d’Europa (75,6% del totale), mentre la spesa privata dei cittadini continua a crescere (+ 5% solo nell’ultimo anno), a fronte di liste di attesa per l’accesso ai servizi spesso insostenibili e contrarie al principio dell’appropriatezza. Di conseguenza si estende il fenomeno della rinuncia alle cure necessarie per problemi economici ed organizzativi (che ha raggiunto nel 2023 il valore del 7,6% della popolazione) e cresce la realtà dell’impoverimento determinato da cause legate alla salute (che tocca l’1,6% delle famiglie).
Il persistere e l’accentuarsi delle disuguaglianze
Negli ultimi 10 anni il numero di MMG è diminuito di oltre 6.000 unità, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 202243, dato previsto in ulteriore peggioramento nei prossimi anni in conseguenza dei pensionamenti che si presenteranno. La carenza di MMG riguarda soprattutto il Nord, con 59,9 MMG per 100.000 abitanti, a fronte di 63,9 al Centro e 72,0 nel Mezzogiorno. Il numero di assistiti per MMG è quindi fortemente aumentato, da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022 e la percentuale di MMG con più di 1.500 assistiti (limite superiore fissato dalla normativa nazionale vigente) è passato dal 27,3% al 47,7% (con una forbice amplissima tra 71,0% della Lombardia e 22,4% della Sicilia). L’Italia con 423,4 medici (generici e specialisti) ogni 100.000 abitanti nel 2022 (+3,3% rispetto al 2019) si colloca al quattordicesimo posto tra i paesi dell’Unione europea – con una dotazione più elevata rispetto alla Francia (318,3) e più bassa rispetto a Germania (453,0) e Spagna (448,7)45.Rispetto alle aree diverse geografiche, la dotazione è maggiore al Centro (477,5), con un massimo pari a 501,8 nel Lazio, e più bassa nel Nord-ovest (398,1), con un minimo pari a 339,3 nella PA di Trento.
Anche la presenza di infermieri è, da molti anni, particolarmente bassa rispetto al contesto europeo: si tratta di 621,3 infermieri ogni 100.000 abitanti nel 2021, a fronte di 1.203,2 in Germania, 858,1 in Francia e 633,9 in Spagna. Considerando anche le ostetriche, il dato più recente relativo al 2022 ammonta a 682,5 unità (+6,6% rispetto al 2019), con una dotazione più elevata al Centro (743,5) e minima nelle Isole (621,6)47. A livello regionale, tassi più elevati si registrano in Liguria (809,6), PA di Bolzano (831,7), PA di Trento (833,6) e Molise (883,3), mentre sono solo 585,2 in Calabria, 604,0 in Lombardia, 604,7 in Sicilia.
Servizi per la salute e il benessere, con riferimento all’obiettivo 3 dell’Agenda Onu 2030
La situazione dei servizi per la salute ed il benessere appare, rispetto alla analisi condotta nel precedente anno, tendenzialmente stazionaria. Per quanto riguarda gli input di sistema, permane e si accentua lo squilibrio demografico determinato da una natalità sempre più bassa ed una popolazione sempre più anziana. Le condizioni di salute degli anziani tendono mediamente a migliorare, ma aumenta anche l’impatto delle fragilità, delle patologie croniche e del disagio da solitudine. Le risorse finanziarie, strumentali e di personale a disposizione del sistema risultano ancora insufficienti nonostante gli aumenti introdotti nell’ultimo anno.
Continuano ad aumentare la spesa privata dei cittadini per ottenere prestazioni appropriate a fronte di liste di attesa in molti casi assolutamente insostenibili, il fenomeno della rinuncia alle cure per problemi economici ed organizzativi (che ha raggiunto nel 2023 il valore del 7,6% della popolazione) ed anche quello dell’impoverimento per cause legate alla salute (che tocca l’1,6% delle famiglie). Ed aumentano anche le disuguaglianze tra la popolazione immigrata e quella autoctona rispetto all’accesso alle cure, agli esiti di salute materno-infantile e all’appropriatezza di utilizzo dei servizi del sistema sanitario.
In termini di offerta, circa un quarto dell’attività di ricovero e circa il 35% di tutti i ricoveri chirurgici sono erogati da strutture private accreditate, con una importante variabilità a livello regionale. Aumenta l’attività professionale intramoenia ed aumentano anche le risorse destinate alla prevenzione, alla spesa farmaceutica ed alle prestazioni di tipo monetario.
Per quanto riguarda la valutazione delle performance del settore, i dati del Piano Nazionale Esiti (PNE) di Agenas mostrano una sostanziale ripresa nell’erogazione dell’assistenza, con un riallineamento del numero delle prestazioni ai livelli pre-pandemici. Ma permangono discrepanze rilevanti tra regioni e territori sub-regionali, sia in termini quantitativi che in termini qualitativi, come rilevato anche da Istat e da Crea-Sanità.
Rispetto alla misurazione del Benessere Equo e Sostenibile (BES), condotta da Istat sulla base di un accordo con il Cnel, gli indicatori del 2023 mostrano miglioramenti a livello nazionale per la speranza di vita, la salute degli anziani, la mortalità evitabile ed alcuni comportamenti a rischio (come il fumo e la sedentarietà), ma permangono forti le disuguaglianze per molte delle variabili analizzate.
Per quanto riguarda l’obiettivo 3 dell’Agenda dello Sviluppo Sostenibile, secondo le analisi dell’ASviS il paese ha registrato un trend migliorativo costante tra 2016 e 2019, grazie alla riduzione dei comportamenti a rischio (come alcol e fumo), all’aumento della speranza di vita ed alla diminuzione della mortalità per malattie non trasmissibili. Miglioramenti comunque inadeguati rispetto al raggiungimento dei target previsti per il 2030, a causa delle numerose lacune dal punto di vista delle risorse, della debole copertura vaccinale per gli anziani, della riduzione dei posti letto, della carente integrazione tra sociale e sanitario, della debolezza della medicina di comunità e degli sprechi. Insufficiente risulta anche la consapevolezza dell’importanza delle interconnessioni tra salute, benessere, ambiente, economia e mondo delle istituzioni, e dell’approccio One Health e “Salute in tutte le politiche”. E ciò nonostante alcuni significativi passi avanti previsti dalla Missione 6 del PNRR e dall’Atto di Indirizzo di marzo 2024 del Ministero della Salute.
Prevenzione e vaccinazioni
In area Ocse la crescita media annuale della spesa sanitaria per prevenzione (in termini reali) è stata pari al + 2,3% nel periodo 2015-2019, contro il 49,5% degli anni 2019-2021, accelerazione evidentemente legata all’impatto della pandemia di Covid che ha dato vita ad una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza della prevenzione.
Per le attività di prevenzione l’Italia spende una quota di spesa sanitaria pubblica maggiore della media europea, collocandosi in ottava posizione. Va però detto che in termini reali pro-capite (euro a parità di potere di acquisto), il livello di spesa italiana pone il Paese in undicesima posizione.
A livello nazionale, per il Livello Essenziale di Assistenza “Prevenzione collettiva e sanità pubblica” si stima per il 2021 una spesa di € 7,19 miliardi, con un aumento del 15,9% rispetto al 2020 e pari al 5,2% (4,8% nel 2020) della spesa pubblica complessiva. A livello regionale, si evidenzia una elevata variabilità, che passa da € 84,6 pro-capite del Friuli Venezia Giulia a € 157,9 della Valle d’Aosta.
Per gli screening oncologici, si registra una spesa di € 7,7 pro-capite (€ 7,3 nel 2020), in calo rispetto a quelli pre-pandemici.
Per le vaccinazioni la spesa ammonta a € 29,0 pro-capite (+66,8% rispetto al 2020). In particolare, nel 2021 si è registrata una ripresa della spesa per vaccini (+6,7% rispetto al 2020), seguita nel 2022 da una riduzione significativa (-9,0% rispetto al 2021, anche qui con una forte variabilità regionale.
Assistenza specialistica ambulatoriale
Per quanto concerne la rete di assistenza specialistica ambulatoriale, si può notare una relazione diretta tra il numero di strutture erogatrici e il numero di residenti, con una maggiore frammentazione nelle regioni del Sud, determinata dalla presenza di strutture di dimensioni inferiori rispetto alla media nazionale. Rispetto alla riduzione registrata durante la pandemia in termini di volumi di prestazioni totali, non si evidenzia ancora un completo recupero.
Per quanto concerne la spesa per la specialistica ambulatoriale, si osserva un calo del 31,5% dei ricavi legati alle compartecipazioni per le prestazioni erogate da strutture pubbliche nel 2022 rispetto al periodo pre-pandemico. Nonostante un incremento graduale rispetto al drastico calo osservato tra il 2019 e il 2021, i valori rimangono al di sotto di quelli precedenti alla pandemia.
Interessante è invece il recupero riportato nel 2022 per i ricavi dell’attività in intramoenia, che addirittura supera le medie osservate precedentemente. Il che indica la continuazione del trend di progressivo direzionamento della domanda assistenziale verso il settore privato.
Assistenza farmaceutica e dispositivi
La spesa farmaceutica si attesta nel 2023 su € 33,5 miliardi. La spesa pubblica rappresenta circa il 70% del totale ed è cresciuta rispetto al 2015 dell’1,6% annuo. La spesa a carico dei cittadini (comprendente il ticket di compartecipazione alla spesa, i medicinali di “classe A” acquistati privatamente e i farmaci di “classe C”), pari a € 9,9 miliardi, è in aumento del 2,7% rispetto al 2020. La spesa farmaceutica potenzialmente compresa nei LEA è pari a € 25,8 miliardi (77,3% della spesa farmaceutica totale). L’acquisto diretto da parte delle famiglie di farmaci di “classe A” come anche la compartecipazione dei cittadini, riducono complessivamente del 7,0% l’onere pubblico per l’erogazione dei LEA.
A livello regionale si rileva il permanere di un rilevante gap di ricorso ai farmaci equivalenti che non comportano oneri per il SSN nel meridione, probabilmente anche a causa della carenza di una adeguata informazione dei cittadini in merito.
Da un punto di vista della governance del settore, va osservato che continua a sussistere in Italia il meccanismo del payback, a seguito del quale la spesa pubblica effettiva per famaci viene ridotta del 5,5%. Il che non impedisce che si continui a verificare, nonostante l’introduzione, nel 2021, dei nuovi tetti di spesa, di un cospicuo lo sforamento.
Per quanto riguarda i dispositivi medici (DM) il costo annuo sostenuto dal SSN si colloca tra €13,8 e 15,7 miliardi. Considerando che la spesa media europea pro-capite per tecnologie medicali è pari a € 312,0, e che l’onere medio pro-capite stimato per l’Italia risulta nel range € 232,6 – 264,3, la spesa media italiana risulta inferiore a quella europea del 15-25%.
In termini di dinamica temporale, rispetto al 2019 (anno pre-pandemico) si è registrata una crescita della spesa media pro-capite per DM del +19,9%, maggiore per i “Dispositivi medico diagnostici in vitro” (+5,2 punti percentuali), per via della casistica relativa ai tamponi per il Covid.
G.R.