La combinazione di più biomarcatori può permettere di individuare le persone a maggior rischio di sviluppare demenza tra quelle che soffrono di un disturbo cognitivo lieve, che sono quindi i candidati ideali per erogare precocemente i primi trattamenti che agiscono sui meccanismi biologici di sviluppo della malattia come quelli di recente approvati dalle Autorità per il Farmaco americane e di prossima approvazione da parte dell’agenzia europea. Lo dimostrano i primi risultati del progetto nazionale Interceptor, promosso e finanziato nel 2018 dal Ministero della Salute e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), presentati oggi durante un Convegno organizzato dall’Osservatorio Demenze del Centro Nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute (CNaPPS) dell’ISS, dal Dipartimento Neuroscienze – Unità Clinica della Memoria del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dal Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele.
Lo studio è nato sul finire del 2016 in risposta alla possibile approvazione da parte della Food and Drug Administration del primo farmaco contro l'amiloide, il cui accumulo nel cervello viene ad oggi considerato una delle principali cause della demenza di Alzheimer. Promotore e coordinatore è stato Il Prof. Paolo Maria Rossini che all’epoca era il direttore dell’Unità Operativa di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS (attualmente responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele-Roma). Si è basato sulla considerazione che le terapie sono più efficaci se somministrate precocemente, che le persone con disturbo cognitivo lieve (o MCI, Mild Cognitive Impairment) sono a maggior rischio di andare incontro a demenza entro tre anni e che le nuove terapie presentano importanti effetti collaterali, il che rende necessario individuare i candidati con miglior rapporto rischio/beneficio. Inoltre i costi altissimi e il fatto che solo il 30-40% degli MCI progredisce verso la demenza, rendono impossibile una somministrazione su larga scala (i pazienti con MCI in Italia sono circa 950mila).
Il Presidente dell’ISS Rocco Bellantone ha sottolineato “il ruolo estremamente importante dell’Istituto in questo progetto di grande rilevanza per la sanità pubblica che si è concretizzato nell’elaborazione di un modello predittivo per il calcolo del rischio a 3 anni di conversione dal MCI a demenza di Alzheimer”.
Il Prof. Camillo Marra, Ordinario di Neuropsicologia e neuroscienze cognitive all’Università Cattolica e Direttore della Clinica della Memoria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS rileva che “le valutazioni cliniche e neuropsicologiche hanno rappresentato il principale elemento predittivo nel modello di conversione da MCI a demenza e che in generale solo l’integrazione tra dati clinici e dei biomarcatori permette di raggiungere una buona accuratezza nella predizione della demenza di Alzheimer “
“Solo l’integrazione tra dati clinici e biomarcatori nel modello predittivo - ribadisce Nicola Vanacore, ricercatore del Cnespss-Iss - permette di superare la soglia dell’80% di accuratezza predittiva, considerata adeguata per programmi di screening e prevenzione di salute pubblica”.