Il sistema delle Conferenze, messo al mondo per facilitare il confronto tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali, sta diventando un serio problema per la governabilità del Paese. Meglio, perché la stessa sia celere nelle scelte ed efficace. La sua presenza costituisce da tempo un ostacolo al godimento dei diritti di cittadinanza e di quelli sociali. Un di più inutile, fatta eccezione per le Regioni che ne dominano le decisioni. Per il resto, più che realizzare Intese nell’interesse della Nazione generano contenziosi, duri e spesso strumentali ad interessi di parte. L’alleanza tra le Regioni forti rappresenta un discapito per quelle più deboli, spesso incapaci di comprendere la loro storica messa nell’angolo, dal quale escono solo quelle rette dai pochi governatori leader nella politica nazionale.
Quasi un intralcio, e il ministro lo sa
Da qui, viene a realizzarsi una presenza ingombrante nell’esercizio delle politiche pubbliche, direttamente incidenti nell’esigibilità dei diritti sociali da parte delle persone. Specie di quelle residenti nel Mezzogiorno.
L’ultimo brutto episodio si è concretizzato sulle liste di attesa che sono da considerarsi l’ostacolo reale all’accesso alla sanità pubblica delle persone. Un muro difficile a varcare che, di sovente, costa la vita a qualcuno. Fa bene il ministro Schillaci a volere commissariare le Regioni inadempienti che, nonostante ciò, hanno la faccia di contestare le iniziative ispirate a portarle fuori da una sanità non erogata, perché da anni in rianimazione. Persino incapaci di comunicare i dati relativi alla loro produzione di salute, forse perché presi dalla vergogna per i saldi indecenti. Fanno malissimo le Regioni a non esercitare la dovuta autocritica, addirittura dichiarando di impugnare alla Consulta un eventuale commissariamento sostitutivo, senza comprendere quanto male si faccia alle persone in quelle Regioni ove si distraggono i soldi dedicati a colmare le liste di attesa.
Veniamo al punto centrale del problema
Esercitando un siffatto ruolo, combina “guai” da decenni. Meglio, assume l’improprio ruolo della negoziazione degli interessi, più interni ad essa che con lo Stato, esprimendo così prepotenze da parte di chi è politicamente più forte. Ciò sia in conformità alle maggioranze parlamentari ovvero in difformità. Con questo, rispettivamente, favorisce – ripagandosi – l’attuazione delle politiche statali ovvero ritardando sensibilmente la loro messa a terra. Insomma, è da ben oltre un decennio che la funzione esercitata dal sistema delle Conferenze somiglia un po' a quello di un mercato delle spezie, ove ciascuno vende ciò che ha a chi è comunque costretto a comprare per andare avanti.Il problema era stato invero ben affrontato con la revisione costituzionale proposta da Renzi-Boschi passata in Parlamento nell’aprile 2016 e bocciata nel referendum celebrato nel dicembre successivo. Il testo - oltre all’ampliamento della lettera m) del comma 2 dell’art. 117 della Carta nel senso di ivi inserire la competenza esclusiva dello Stato per le disposizioni generali e comuni per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare - prevedeva la soluzione a tutto ciò. L’individuazione del Senato delle autonomie territoriali, quale organo legislativo che avrebbe risolto ogni cosa con la partecipazione diretta delle Regioni alla formazione delle leggi e con la conseguenziale soppressione del sistema delle Conferenze. Quest’ultimo non sempre espressione della leale collaborazione tra il centro e la periferia istituzionale, rappresentata unicamente dalle Regioni più forti (e nell’ipotesi della formula comprensiva degli enti locali, dall’Anci governata dai Comuni metropolitani) con naturale defaillance delle istanze di quelle più deboli.
I temi sul tappeto sono tanti, molti dei quali fattori determinanti di sofferenze sociali per essere giocati da maggioranze politiche e interessi di parte. L’esistenza delle Conferenza trovava la sua ratio nello “sdrammatizzare” il fattore politico in senso proprio elevando il confronto sulla base dell’interesse concreto della collettività nazionale, esaltando la solidarietà e la perequazione. Così non è divenuto e così rimarrà. Al riguardo, viene fuori una sensazione di comune intolleranza verso l’invasione, spesso determinante, del ruolo delle Conferenze. Si registrano, in proposito, diversi episodi in tal senso, alcuni dei quali obiettivamente incomprensibili e per molti versi insopportabili.
I fatti che costituiscono la prova
Di recente, sono accaduti alcuni fatti che mettono davvero in cattiva luce l’esistenza di un siffatto sistema in relazione al godimento reale dei diritti fondamentali delle persone. Un esempio allarmante è quello determinatosi dalla mancata collaborazione autocritica in rapporto al grave problema delle liste d’attesa, a fronte del quale si è registrata da parte delle Regioni una grave inerzia della spesa, tale da raggiungere un valore medio del 25% con una cifra massima vicina al 90% di quanto reso disponibile cash dallo Stato. Non solo. È risultato davvero allarmante, per come lamentato dal ministro Schillaci che tali contributi, di circa un miliardo e mezzo, concessi a scopo vincolato siano stati utilizzati da alcune Regioni per coprire i loro buchi di bilancio. Nondimeno è risultata grave, in un momento nel quale la medicina di prossimità è pressoché nulla, la denuncia del ministro della salute di essere ancora in attesa dalla Conferenza delle Regioni della promessa proposta regolatoria della disciplina riformatrice della medicina di famiglia. Un’offerta essenziale per la Nazione che è oramai doverosamente in procinto di cambiare pelle, quanto a status giuridico e trattamento economico.
Ettore Jorio